Fino a cento anni fa la Sicilia era un’isola ricca di flora e fauna, coperta in parte da fitti boschi e attraversata da corsi corsi d’acqua modesti, ma dalle acque limpide e pescose.
Tra questi, il più celebre e leggendario, il fiume Oreto di Palermo. Antichi scritti vogliono che attorno all’antro che generava le sue acque, sotto il monte Mielgandone vicino a un monastero, vivessero fauni e ninfe bellissime, che non lasciavano mai il loro veneratissimo padre Oreto, il dio che viveva nel fiume. C’è anche chi dice che si trovassero paglie d’oro nel suo letto, quando gli arabi governavano Palermo.
Ma il fiume che ho sempre visto io è un canale, soffocato dall’uomo, che scorre sotto ponti dai quali non si affaccia nessuno. Durante il Sacco di Palermo finito (forse) che io ero appena nato, la mafia, infiltratasi violentemente tra le maglie dell’edilizia cittadina con il benestare dei politici, spinse l’espansione urbana ai limiti della follia. Più di 300 milioni di metri cubi di cemento sono stati versati in neanche 25 anni su tutta la Conca d’Oro. Vennero distrutte chiese, pozzi arabi, le ville liberty che caratterizzavano la città, ma soprattutto vennero cancellate per sempre le campagne coltivate ad agrumi che cominciavano appena fuori le mura antiche e che, quando soffiava brezza di terra, portavano fino al mare l’odore della zagara.
Io sono nato dopo quel periodo, nella Palermo di oggi che noi tutti conosciamo. Quando abitavo a Brancaccio, da bambino, passavo ogni giorno dal Ponte a Mare in Via Messina Marine. Mia madre mi raccontava del fiume Oreto con la classica frase che sento sempre “Ormai è una fogna”. Ma io ho sempre avuto la curiosità di sapere da dove nasce quella fogna e dove si insinua quel rigagnolo d’acqua sporca che sparisce tra i palazzi e che riappare dopo chilometri sotto altri ponti.
Da questa curiosità nasce la seguente storia.
Per la mia esplorazione del fiume decido di partire dalla foce e camminare, dove possibile, dentro il letto fino alle sorgenti, sperando di trovare ancora delle acque intoccate dalla cosiddetta civiltà. Chissà forse l’idea di fare un percorso che va sempre a migliorare è l’unico motivo che può invogliarmi a vivere un’esperienza simile. Attraverso non luoghi urbani, gole disabitate, discariche e cascate sconosciute, il fiume Oreto percorre circa 21 km dal punto in cui confluiscono in un solo letto, il fiume Lato e il S.Elia, fino alla foce a mare a S.Erasmo.
E’ una mattina di Maggio, il tempo è buono, il fiume ha una discreta portata d’acqua rispetto al solito. L’Oreto si presenta con una corrente debole, l’ acqua torbida, piena di chissà cosa.
Osservo la vegetazione che cresce sugli argini, tra le fessure della pavimentazione in cemento. Mi viene in mente una frase di Jurassik Park “La vita vince sempre”. Per la primissima volta nel fiume ho portato con me un amico, Giuseppe Battaglia, per documentare le discariche nel tratto cittadino e per fare delle foto per la stampa. Dalla prossima tappa sarò poi completamente solo. L’unico contatto con l’esterno saranno gli sms inviati a Giorgio Bisagna, amico e direttore del CNSAS in Sicilia, per tracciare il mio percorso in caso di emergenza. Sebbene l’Oreto non sia il Nilo, segnalare il proprio percorso a un parente, un amico, o ancora meglio agli addetti al soccorso è una regola fondamentale, ovunque si scelga di andare.
Il mio equipaggiamento è da “prima volta”, totalmente insufficiente. L’unica veste impermeabile è un pantalone in cerata che porto sopra i jeans , per i piedi un paio di stivali di gomma alti fino al ginocchio. Tutto ciò che abbiamo addosso è più d’impaccio che d’aiuto. In pochi minuti siamo fradici. Dopo un’ora di cammino appaiono i primi ponti. Le alghe acquatiche presenti sono un ripugnante filtro di immondizia ed escrementi.
Sebbene dall’alto sia chiara la supremazia del cemento rispetto al fiume, dal mio punto di osservazione sembra quasi di essere nella periferia di un paese di campagna. Gli stessi rumori del traffico a tratti scompaiono assorbiti dal suono delle acque e dal canto delle rondini. E’ anche una zona di scarichi fognari piuttosto sospetti, nonché cimitero di elettrodomestici e rifiuti “speciali”. In alcuni punti viene giù una specie di yogurt biancastro che non fa neanche puzza, ma si sedimenta in acqua come gelatina. Non voglio neanche pensare a cosa sia quella roba. Si trova veramente di tutto, persino un uomo che se ne sta seduto dentro una rientranza del cemento sul lato opposto a dove camminiamo. Sembra un signore anziano che si riposa dopo una notte insonne, ma per fortuna c’è già qualcuno che gli parla dal ponte, interessato al suo stato, e proseguiamo, anche perchè raggiungerlo è praticamente impossibile. Già da questi primissimi scorci si vedono gli effetti delle piene che schiantano detriti, rifiuti, alberi, canne secche, copertoni, contro i pilastri dei ponti. Temo che questo costituirà un problema man mano che si andrà avanti.
Continua… La prossima settimana: passaggio tra i canneti intricati del fiume, nuotata nelle fogne, riflessione sui nonluoghi urbani.