Dopo i luterani, anche i cattolici ricorrono alle vie legali contro i tagli ai fondi per i rifugiati decisi dall’Amministrazione Trump. La Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti (USCCB) ha fatto causa all’Amministrazione per la sospensione improvvisa dei finanziamenti destinati ai programmi di assistenza ai rifugiati, fondi già approvati dal Congresso e in parte anticipati per coprire spese vive.
La Chiesa cattolica, come quella luterana e altre organizzazioni religiose – tra cui la Hebrew Immigrant Aid Society e la Church World Service – collabora dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con il Dipartimento di Stato per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati. Assistono persone in fuga da dittature, torture e persecuzioni, aiutandole a superare i durissimi test di sicurezza (che in media richiedono tre anni), fino all’arrivo negli Usa, dove nei primi mesi ricevono sostegno per integrarsi e trovare lavoro. Si tratta di migliaia di persone, gente che ha seguito la trafila legale e che ora si trova abbandonata: una firma di Trump ha congelato per 90 giorni gli aiuti umanitari.
La causa dei vescovi sottolinea che i fondi sospesi dall’Amministrazione – e la cui ripresa resta incerta – erano già stati approvati dal Congresso e in parte spesi. Il totale si aggira sui 65 milioni di dollari, di cui circa 13 milioni già utilizzati. La mossa ha causato licenziamenti e interruzioni dei servizi essenziali per rifugiati, sia quelli da poco arrivati sia quelli bloccati nei paesi di transito o nei campi profughi, e ha inferto un duro colpo ai progetti di integrazione.
La decisione di Trump fa parte della strategia di riduzione della spesa pubblica supervisionata dal Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk. Trump e Musk si sono reciprocamente fatti i complimenti, in una intervista a due alla Fox, per i tagli effettuati finora. Ma in realtà crescono le voci – spesso bipartisan – di chi critica le feroci sforbiciate per la loro arbitrarietà. Il programma di accoglienza dei rifugiati, ad esempio, è parte della tradizione umanitaria degli Stati Uniti, ed è stato sostenuto da Amministrazioni di entrambi i partiti per oltre settant’anni. Lo stesso va detto dei finanziamenti all’USAID, l’agenzia di aiuti internazionali, che denuncia crisi umanitarie crescenti in seguito alla paralisi dell’assistenza. Per di più, la politica dei tagli ha già mostrato falle evidenti, con errori clamorosi come il licenziamento dei tecnici nucleari dell’NNSA, poi disperatamente richiamati, e lo scivolone del Dipartimento dell’Agricoltura (USDA), che ha dovuto revocare il licenziamento di dipendenti chiave impegnati nella lotta all’influenza aviaria (proprio oggi il Minnesota è stato il terzo Stato a dichiarare l’emergenza, dopo la California e l’Iowa).
L’azione legale dei vescovi si basa su una duplice contestazione: la violazione dell’Administrative Procedure Act, che regola il funzionamento delle agenzie federali, e il mancato rispetto della separazione dei poteri, dal momento che il Congresso, unico titolare del potere di bilancio, aveva già approvato i fondi. La sospensione unilaterale viene quindi definita un abuso dell’esecutivo.
La risposta della Casa Bianca è stata affidata al vicepresidente JD Vance, convertito al cattolicesimo nel 2019, che ha attaccato frontalmente i vescovi: «Quando ricevono oltre 100 milioni di dollari per reinsediare immigrati illegali, si preoccupano davvero di questioni umanitarie o del loro bilancio?» Precedentemente, tensioni erano sorte anche con il Vaticano, dopo che Papa Francesco aveva criticato la severità della politica migratoria di Trump ed era stato bruscamente attaccato dallo “zar del confine” Tom Homan: «Si occupi della Chiesa, non dei confini americani».