L’Italia del pallone risorge da una prolungata fase di appannamento piazzando tre squadre nelle finali delle Coppe europee. Una per ogni competizione. Un’impresa che nella storia calcistica aveva centrato già altre quattro volte, ma fra il 1989 e il 1994. E, in ciascuno dei quattro precedenti, aveva sempre portato a casa un trofeo. Nel ’90 realizzò addirittura l’en plein: Coppa dei Campioni (non si chiamava ancora Champions) al Milan, Coppa delle Coppe (poi scomparsa) alla Sampdoria, Coppa Uefa (oggi Europa League) alla Juve.
Nei successivi 30 anni non siamo però usciti del tutto di scena: il Milan ha vinto due Champions, la Juve una (e per due volte si è affacciata in finale nell’ultimo decennio), l’Inter una (l’ultima conquistata da una squadra italiana nel 2010). La Lazio si aggiudicò l’ultima edizione della Coppa delle Coppe nel ’99. Il Parma nel suo periodo magico portò a casa un paio di coppe Uefa. Bagliori che hanno concorso a mascherare la perdita di appeal del nostro campionato (che era considerato il più bello del mondo) dovuto anche alla crescita esponenziale del football inglese e di quello spagnolo in grado di calamitare un maggior afflusso di investimenti e di allestire squadre più competitive.
Il nostro calcio aveva perso un po’ di smalto a livello di club. Decisamente meno per quanto riguardava la Nazionale, vincitrice del titolo mondiale nel 2006 in Germania e di quello europeo in Inghilterra nel 2021. Anche se a lungo andare l’invasione dei campioni stranieri, a detrimento dei vivai, ha prodotto la nostra esclusione dai due ultimi mondiali (quasi un’onta per una superpotenza che, come la Germania, vanta quattro titoli ed è seconda solo al Brasile che ne ha vinti cinque).

ANSA / MATTEO BAZZI
Oggi, abbastanza inattesa, la rinascita dei club. Che spinge sul podio continentale Inter (Champions), Roma (Europa League) e Fiorentina (Conference League), tre squadre dal rendimento in campionato incostante ma molto concentrate sull’obiettivo europeo a cui Milan e Juve (le altre due semifinaliste) hanno dovuto rinunciare. Con il paradosso che nel lotto delle cinque aspiranti mancava il Napoli neoscudettato che aveva ammazzato il campionato, esprimendo il calcio più spettacolare e convincente, ma nei quarti di Champions si era fatto estromettere da un Milan in versione più concreta.
Imperscrutabile, a questo punto, l’epilogo. Si può certo affermare che in Champions (10 giugno a Istanbul) l’Inter non parte favorita contro il Manchester City di Guardiola che, dopo aver demolito il Real Madrid (un’altra corazzata) per 4-0, è considerata attualmente dagli esperti la squadra più forte del mondo. Ma, come sosteneva Gianni Brera, il calcio è un mistero. Dove la tecnica può essere sopraffatta dalla fortuna, la strategia dalla tattica, la superiorità dalla fatalità, l’abilità dal capriccio dei centimetri. Se prendi un palo hai fallito, se però poi per un rimbalzo favorevole la palla schizza dentro la porta sei un eroe.
L’Inter dell’ultimo mese ha sicuramente le risorse per arginare la macchina da guerra messa a punto da Guardiola. Ha i meccanismi difensivi per disinnescarla e le capacità offensive per colpirla in contropiede. In una finale secca può succedere di tutto anche quando si parte con lo sfavore del pronostico. Senza considerare che, come Champions vinte (due), Guardiola è fermo ai tempi del Barcellona, e ha poi fallito il traguardo sia con il Bayern Monaco e finora con il Manchester City. Mentre, su sponda interista, Simone Inzaghi che non ha ancora mai vinto uno scudetto, è sua pur a livello nazionale un superspecialista di Coppe (due Coppe Italia con possibilità che diventino tre nella prossima finale del 24 maggio contro la Fiorentina, e quattro Supercoppe).
Non agevole neanche il cammino della Roma che a Budapest (31maggio) dovrà affrontare il Siviglia (detiene il record nella conquista dell’Europa League con sei trofei). Sarà uno scontro fra il pragmatismo cinico di Mourinho, maestro inarrivabile nell’organizzazione difensiva, e l’irruenza non facilmente imbrigliabile degli spagnoli che però possono prestare il fianco a sbandamenti in retroguardia. A favore della Roma gioca il mito dell’imbattibilità di Mourinho che non ha mai perso una finale europea (con Porto, Inter, Manchester United e Roma ha vinto tutte le Coppe per complessivi cinque trofei). E nella sua escalation capitolina sbriglia già i sogni di gloria della tifoseria giallorossa. Dopo la Conference dell’anno scorso e l’eventuale Europa League di quest’anno sarà la volta della Champions nel 2024?
Sulla carta un po’ più abbordabile per la Fiorentina sembra il West Ham (7 giugno a Praga) nella Conference League. Gli inglesi sono quindicesimi in campionato e non appaiono irresistibili. La Fiorentina (che in ambito europeo ha vinto una sola Coppa delle Coppe nel ’61) è oggettivamente più forte. Ma, come abbiamo già rilevato, in una partita secca si insinuano fattori imprevedibili, spesso più emotivi che razionali, che possono stravolgere equilibri e previsioni.
In ogni caso i precedenti, con i dovuti scongiuri è il caso di ripeterlo, sono incoraggianti. Con tre squadre in lizza non siamo mai tornati a casa a mani vuote.
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