La situazione bellica in Ucraina sta sempre più disorientando il mondo occidentale per la sua brutalità, per la prossimità al resto dei Paesi europei e talvolta per la incomprensione dei reali motivi che hanno causato questo assurdo conflitto.
Per cercare di interpretare al meglio il significato di questi tragici avvenimenti, La Voce di New York ha incontrato e intervistato il professore Andrea Ruggeri, che insegna Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso il dipartimento di Politics & International Relations dell’Università di Oxford ed è fellow in Politics al Brasenose College.
Professore, le responsabilità della guerra sono tutte da attribuirsi ad una volontà imperialista di Putin? Come vede il ruolo dell’ UE e degli USA?
Nel momento critico del 2014, quando il regime di Putin ha annesso la Crimea ed è iniziato il conflitto nel Donbass – che ha portato a più di 14,000 morti – probabilmente la NATO, gli USA e la UE non sono intervenute con abbastanza fermezza, lasciando spazio di manovra a Putin e facendogli credere che l’attenzione nell’area non fosse sufficiente. Ma in questo momento non è molto proficuo ricercare le colpe. Bisogna invece capire le cause e gli errori per riuscire a trovare mediazioni al fine di uscire dal conflitto ed evitare una carneficina. Bisogna capire le richieste delle parti – e sia chiaro non intendo “condividere” le richieste – per spostare il conflitto dal campo di guerra al tavolo diplomatico.
Putin non sta facendo del suo meglio, i corridori umanitari non vengono rispettati e non si trovano accordi sui diversi tavoli di mediazione. Però vediamo tentativi di mediazione. E l’assedio tragico alle città ucraine ci deve portare ad esplorare qualsiasi modalità di mediazione e cessate il fuoco.

Professore, non pensa che se il presidente Zelens’kyj avesse trattato dall’inizio avrebbe potuto raggiungere un accordo dignitoso ed evitare la carneficina attuale ? Non ha forse, il presidente, sopravvalutato le proprie forze e l’appoggio dell’occidente ?
Comprendo le sue perplessità, ma sinceramente questo controfattuale mi è difficile. E si rischia anche di limitare la responsabilità del regime di Putin, resosi autore di violenza al diritto internazionale e totale violazione della sovranità dell’Ucraina.
La Russia poteva avere qualche ragione nel sostenere che troppi Paesi dell’est europeo avevano aderito alla NATO e percepire il desiderio dell’Ucraina di far parte dell’Alleanza come un’ulteriore minaccia. Inoltre come commenta le esercitazioni NATO sul terreno ucraino?
Continuo ad essere in difficoltà. Stiamo vedendo una guerra di aggressione da parte di Putin: più di 2 milioni e mezzo di rifugiati ucraini sono scappati e le agenzie umanitarie si aspetto almeno altri 7 milioni di rifugiati. Dobbiamo ragionare sulle ragioni di Putin per tale aggressione violenta? Io torno a sottolineare un punto, Putin teme di più la democrazia e le voci libere piuttosto che i missili. E lo sta facendo vedere reprimendo ogni forma di dissenso verso la guerra nel suo Paese.
Putin potrà sempre rivendicare che l’Ucraina non ha rispettato gli accordi di Minsk per otto anni, e, per citare Marc Bloch, ‘l’incomprensione del presente si rivela dalla ignoranza del passato’…
Noti che March Bloch nei suoi appunti sullo studio della storia – pubblicati postumi poiché ucciso dai nazisti in quanto membro della liberazione francese – ci ricorda che dobbiamo stare attenti alle spiegazioni mono-causali, al feticcio della singola causa. Diceva: il giudice dichiara chi è nel torto e chi nel giusto. Lo studioso pone delle domande, dei “perché?”, ed accetta che le risposte sovente non siano semplici. E, visto che lei ha citato March Bloch, inviterei a rileggere le pagine che scrisse nel 1940 quando la Germania di Hitler occupò Parigi. La sua passione patriottica per la difesa del territorio francese è enorme.
La questione degli accordi di Minsk è molto controversa, vi sono stati diversi tentativi (Minsk 1 e Minsk 2) e la stessa interpretazione dei trattati non è lineare. Ma Putin avrebbe potuto portare la questione del Donbass al cospetto delle Nazioni Unite e seguire una procedura di risoluzione del conflitto all’interno di una cornice multilaterale. Invece ha preferito una logica del sopruso anziché una grammatica del diritto. Purtroppo, oramai è chiaro che lo stato di diritto, i diritti umani e il rispetto della carta dell’ONU non sono pilastri inviolabili per Putin.
Quale è il senso dietro la decisione di armare gli ucraini ?
Un esercito ucraino armato ha ostacolato e rallentato la campagna militare russa, cosa non prevista dall’esercito di Mosca. Credo anche in parte perché Putin, per rimanere al potere, metta nei punti cardine del regime ed esercito persone di cui si possa fidare anziché persone preparate. La difesa sta creando una realtà in cui gli ucraini possono avanzare alcune richieste sul tavolo delle trattative. A questo serve il notevole supporto da parte dell’UE e della NATO nell’invio di armamenti difensivi: portare Putin ad una mediazione e rendere più forti gli ucraini al tavolo delle trattative. Tuttavia, bisogna stare attentissimi alla linea che differenzia supporto di armamenti offensivi e difensivi, che è sottilissima. La deterrenza se percepita come minaccia può portare ad un allargamento – geografico e di violenza – del conflitto.
Si noti che l’Assemblea delle ONU ha votato una risoluzione di condanna all’invasione della Russia con 141 voti a favore e 35 gli astenuti solo 5 contrari. Il documento è politicamente, ma anche giuridicamente, molto significativo. Questo ci indica quanto la comunità internazionale sia fortemente unita contro la volontà di violenza di Putin.
Dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio, la comunità internazionale e, soprattutto l’Europa si è trovata davanti ad un dilemma: alzare le mani in forma di resa o intervenire in qualche modo in aiuto alla difesa della sovranità dell’Ucraina. L’invio delle armi e le sanzioni sono state la scelta di compromesso adottate.
Infatti, sia l’Europa che la Nato hanno preso una posizione chiara di non intervento e di non aderire alle richieste di no fly zone. Si sta lavorando sul terreno diplomatico. C’è un’impossibilità del pacifismo puro e l’insostenibilità di un militarismo spinto. In questa situazione non possiamo essere puri militaristi e puri pacifisti. Dobbiamo trovare una posizione intermedia per rendere l’azione violenta di Putin troppo costosa per lui e il suo regime.

Ma la logica vuole che più si inviano armi, più la battaglia si protrae e più aumenta il numeri di morti, e si sa che la guerra è sempre contro i civili.
Sì ma adesso siamo in una posizione di stallo e nello stallo si deve cercare di mettere un cuneo, fare leva per cominciare a parlare, trattare e trovare una soluzione. Altrimenti corriamo il rischio di una spallata da parte di Putin con la conseguenza di maggiori atti di violenza verso i civili ed uso di altri armi che dovrebbero essere un tabù nella storia umana.
Inoltre, le sanzioni che l’Unione europea ha messo in atto sono molto forti anche a detta di studiosi del campo. Ci saranno conseguenze economiche molto notevoli, anche tra le élites economiche vicino a Putin.
È pur vero che Putin è lo stesso Putin con cui gli Stati dell’Unione europea hanno da sempre fatto business. Ora non ci piace più.
Nella politica estera si creano delle collaborazioni tragiche anche con Paesi che non gradiamo, motivate dall’interesse nazionale. Collaborazioni che vengono meno nel caso in cui altri eventi lo impongano. La politica internazionale è molto poco stabile. Anche gli Stati Uniti hanno collaborato per anni con Saddam Hussein, poi lo hanno eliminato dopo aver occupato il suo Paese.
È risaputo che la Gran Bretagna ha accolto con piacere i capitali russi, garantendo inoltre ‘passaporti d’oro’ ai ricchi di tutto il mondo in cambio di un importante deposito finanziario nelle banche britanniche. E non solo in Gran Bretagna. Un cinismo di fondo con inevitabili conseguenze politiche che oggi stiamo pagando.
Tutte le armi che abbiamo gettato in Libia per liberarci di Gheddafi? E l’Arabia Saudita, con cui abbiamo interessi commerciali, ci sta bene? Altro esempio emblematico è la Cina, dittatura che calpesta i principi di diritti umani, eppure non poniamo abbastanza sanzioni per sottolineare i nostri principi di democrazia.
Però è fondamentale – e lo dico anche da docente – rimanere comunque aperti verso i cittadini di questi Paesi, al fine di permettere scambi sia commerciali che culturali. Intensificare il più possibile gli scambi umani e favorire un intenso processo di socializzazione potrebbe avere una funzione benefica a lungo termine.
Questo critico momento storico ci dovrebbe indurre ad un ripensamento di tutta la politica estera di questi ultimi 20 anni dall’11 settembre in poi. L’ essere giunti a questa situazione molto tragica e pericolosa deve farci ripensare ai nuovi principi della politica internazionale. La nostra difesa per i valori della democrazia e i diritti umani non può essere a fase alterne, e non può imporre le nostre norme democratiche, ma le dobbiamo difendere.

Come vede la posizione dell’Italia in questo conflitto?
L’Italia è un Paese fondamentale e costitutivo dell’UE, ed è un elemento centrale della NATO. Mario Draghi dopo il comunicato collettivo del Consiglio europeo tenutosi recentemente a Versailles ha sottolineato l’importanza di due autonomie da perseguire per l’UE: autonomia strategica ed autonomia energetica. Si sta perfezionando in questi giorni la stesura un documento della Commissione Europea dove si delinea la pianificazione della strategia difensiva della Unione europea, il “Strategy Compass”. L’Italia ha contribuito alla stesura del documento, che verrà presentato dal presidente francese Emmanuel Macron, come presidente di turno del Consiglio Europeo. L’autonomia strategica difensiva tenterà di superare la dipendenza difensiva dell’Europa dagli Stati Uniti, di concerto con la NATO. Sembra che l’invasione dell’Ucraina stia armonizzando la cacofonia di interessi che limitava una possibilità di autonomia strategica europea.
Vediamo anche la creazione di presupporsi per mirare ad un’autonomia energetica: è una questione fondamentale. Può l’Italia continuare a dipendere per più del 40% e la Germania per il 50% del fabbisogno di gas dalla Russia? Macron, dopo la riunione del 11 di marzo con tutti i presidenti e primi ministri dell’UE, ha detto che entro il 2027 saremo autonomi dall’import di gas e petrolio dalla Russia. È chiaro che c’è una necessità di un forte investimento e un ripensamento in relazione alla strategia energetica a livello europeo. Ma non solo su chi fornisce l’energia ma anche su che tipo di fonti di energia usiamo, puntando su nuove tecnologie ed energie rinnovabili.
In relazione alla strategia difensiva, l’Unione europea nasce come integrazione economica sia per promuovere sviluppo economico, attraverso gli scambi di servizi e di beni, sia per frenare gli istinti di conflitto. Questa nuova scelta non entra in conflitto con le origini del mandato comunitario?
La discussione di un esercito europeo nasce negli anni ’50, ma l’Assemblea Nazionale francese bloccò il progetto nel ‘54. La costituzione di un esercito europeo come lo si discute in questi ultimi anni, sarebbe finalizzato ad un uso esterno, difenderci da pericoli esterni.
Fino ad oggi abbiamo delegato gli sforzi della difesa agli USA e NATO. La triste esperienza del conflitto in Ucraina dovrebbe indurci a ripensare seriamente questa tematica.

E la Cina che ruolo ha in questo conflitto?
La Cina in questa situazione si sta giocando la sua credibilità perché gran parte dei Paesi UE della NATO hanno un ruolo fondamentale nell’economia della Cina. Siamo interconnessi. Pechino sta impiegando molta cautela per mettere in atto una strategia di lungo periodo al fine di salvaguardare i progetti della Via della seta e per non danneggiare la logistica commerciale a livello globale. Forti sono stati in questi ultimi vent’anni gli investimenti della Cina, adesso cerca di aspettare che questo periodo di violenza, nel centro d’Europa, passi e mira a proteggere i propri investimenti. In questo conflitto Pechino potrebbe avere un ruolo come mediatore. Ma avere la Cina al tavolo delle trattative vorrebbe dire darle legittimità e diventare in tal modo la potenza candidata ad una posizione egemonica.
C’è anche da chiedersi: veramente la Cina vuole esporsi così tanto? Con questo intervento in Ucraina, la Russia in parte ha fatto un favore alla Cina, svelando quale potrebbe essere la reazione degli Stati alleati degli USA di fronte ad eventuali atti di aggressione. Ma dall’altra parte non dimentichiamo che le forti sanzioni alla Russia andranno a colpire anche la Cina: una buona fetta del mercato globale si asterrà dal comprare i prodotti cinesi, questo non può che comportare preoccupazione al Dragone.
Le ultime notizie giunte dicono che la Russia ha richiesto supporti di armamenti alla Cina. Ecco forse la Cina dovrà fare una scelta. Scelta storica che può risolvere o esasperare il conflitto.
Cosa ha voluto significare l’astensione dell’ India alla votazione dell’ Assemblea dell’ONU alla risoluzione che condanna la Russia per l’invasione della Ucraina?
L’astensione dell’India va letta tenendo conto che Nuova Delhi ha relazioni importanti sia con la Cina (anch’essa astenutasi) sia con la Russia. Nello stesso tempo l’India ha un ruolo fondamentale nel fornire personale per i ‘caschi blu’ delle Nazione Unite. Come il Pakistan e il Bangladesh, anche questi Paesi si sono astenuti nella votazione della assemblea ONU. Solo questi tre Stati danno all’esercito della pace dell’ONU 15.000 soldati. La sua posizione di neutralità in una situazione di conflitto assicura all’India di non compromettersi e nello stesso tempo di poter giocare un ruolo come attore importante, speriamo, in uno scenario di post-conflitto.

Come prevede la risoluzione del conflitto?
I russi hanno imparato dall’esperienza cecena che è impossibile entrare con i carri armati in città e rischiare la guerriglia urbana. Stanno dando del tempo ai cittadini di lasciare la città, nonostante gli attacchi efferati ai corridori umanitari. La loro è una tattica di assedio, la tattica del boa che si cinge intorno alle città, pronto per lo strangolamento, come atto finale. Vogliono isolare la leadership ucraina dalla sua popolazione. Certamente non si aspettavano una resistenza così forte degli ucraini, e nemmeno una Europa così compatta. Difficile prevedere uno scenario diverso dallo sfondamento da parte dei russi e della conseguente occupazione dell’Ucraina. Però, credo che i russi stiano valutando anche le azioni di resistenza non-violenta dei cittadini ucraini nelle città occupate e dunque sono consci che il controllo sul Paese sarà comunque difficilissimo. Quindi una via d’uscita principale è la mediazione per raggiungere trattati di intesa.
Infine, poiché siamo in territorio britannico, come interpreta la richiesta di Boris Johnson di processare Putin per ‘crimini di guerra’? Non le sembra che sia una richiesta in questo momento che potrebbe solo inasprire gli animi dell’aggressore russo, invece di facilitare la diplomazia?
Questa è una reazione tipica di Boris Johnson, come anche il suo dinamismo militare forse troppo eccessivo. L’inizio della guerra in Ucraina ha coinciso con un periodo non felice per il primo ministro britannico a seguito del malcontento suscitato dai recenti scaldali che vedono Boris colpevole di malcostume nella sua condotta privata. Il primo ministro stava perdendo il consenso politico sia all’interno del suo partito sia nel suo elettorato. Questo protagonismo di Boris nel voler essere un leader interventista è un modo per fare ‘rumore’ e distrarre l’attenzione della popolazione in UK. Il tutto rientra nella sua logica di sopravvivenza: Boris è un animale politico senza una bussola morale. Quindi, temo che la guerra venga anche usata come occasione di distrazione dalla politica domestica. Le azioni di Boris Johnson vanno lette nella logica dell’agone nazionale.
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