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Il rifinanziamento della Guardia Costiera libica è l’ennesimo colpo ai diritti dei migranti

10 milioni, 3 in più del 2019, i fondi destinati all'assistenza della Guardia Costiera libica, che oltre a riportare indietro i migranti ne gestisce il traffico

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Il rifinanziamento della Guardia Costiera libica è l’ennesimo colpo ai diritti dei migranti

OCHA/Giles Clarke A detainee mother, with sleeping baby on her back, feeds her other child some bread inside the female room of a detention centre in Benghazi, Libya.

Time: 5 mins read

È ufficiale: la “cooperazione” delle autorità italiane con la Guardia Costiera libica, assoldata per bloccare il passaggio dei migranti nel Mediterraneo, è stata confermata. La votazione, che riguardava il rifinanziamento delle missioni internazionali, è avvenuta giovedì 16 luglio alla Camera, e riguardava anche i vari interventi del nostro Paese nella Libia sconvolta dalla guerra civile.

Così, il testo in questione è passato con due votazioni separate: il primo, che non riguardava la Libia, ha visto 453 voti favorevoli, nessuno contrario e 9 astenuti; il secondo, che comprendeva anche il dossier di politica estera più caldo per l’Italia, è stato approvato con 401 sì, 23 no e un’astensione.

Questi numeri raccontano di una maggioranza divisa (ma non troppo) di fronte al controverso stanziamento di 58 milioni di euro – approvato il 7 luglio scorso dal Senato – per la missione in Libia, con 10 milioni, 3 in più dello scorso anno, destinati alla missione di assistenza della Guardia Costiera libica. Guardia Costiera che diverse inchieste giornalistiche e le stesse Nazioni Unite hanno appurato essere in mano alle milizie che fomentano e gestiscono il traffico di esseri umani nel Paese, e che controllano diversi centri di detenzione dove i migranti vengono sistematicamente torturati a poche miglia dalle nostre coste.

Secondo l’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni, sarebbero attualmente almeno 2.300 i migranti detenuti in Libia in condizioni drammatiche. L’OIM ha ribadito ancora una volta che, dal punto di vista del diritto internazionale, la Libia non può considerarsi un porto sicuro dove riportare i migranti intercettati in mare, un’evidenza di fronte alla quale il Governo italiano e tutta Europa continuano a mostrarsi indifferenti. L’OIM stima inoltre che, nel 2020, più di 5.800 migranti, tra cui donne e bambini, siano stati recuperati in mare e riportati nel Paese, mentre nel 2019 sono stati 9.225.

Poco prima che la Camera approvasse il rifinanziamento della missione di supporto della Guardia Costiera libica, l’Organizzazione aveva fatto appello all’Europa: “La situazione continua a peggiorare”, ha avvertito Federico Soda, il capo della missione OIM in Libia. “Innumerevoli vite sono andate perdute, altre sono detenute o trattenute dai trafficanti in orrori inimmaginabili. L’UE deve agire per porre fine ai respingimenti in quel limbo per i migranti che è la Libia, e mostrare maggiore solidarietà con gli Stati in prima linea”.

Nelle stesse ore in cui si teneva il voto alla Camera, Alarm Phone segnalava un barcone in difficoltà con a bordo 65 persone vicino alle coste europee. “Stiamo morendo, nessuno ci aiuta”, è stato il grido disperato dei migranti. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, sono trascorse più di 26 ore dalla prima richiesta d’aiuto e ancora nessuno – né le autorità maltesi né quelle italiane – è intervenuto. Secondo quanto riporta Repubblica, inoltre, il contatto con il barcone sarebbe stato perso.

Il 9 febbraio scorso, il Ministero degli Esteri aveva annunciato di aver inviato al Governo libico una richiesta di modifica del Memorandum d’Intesa sui migranti, firmato nel febbraio 2017 e rinnovatosi automaticamente proprio a febbraio di quest’anno. La Farnesina, in particolare, aveva affermato di voler introdurre “significative innovazioni per garantire più estese tutele ai migranti, ai richiedenti asilo ed in particolare alle persone vulnerabili vittime dei traffici irregolari che attraversano la Libia” e di voler promuovere “il rispetto dei princìpi della convenzione di Ginevra e delle altre norme di diritto internazionale sui diritti umani”. Quindi, a giugno si è saputo che il 2 luglio sarebbero stati avviati i negoziati con Tripoli: Di Maio, in particolare, aveva sottolineato che la proposta libica di modifica doveva essere “approfondita”, ma sembrava andare “nella giusta direzione per quanto riguarda le richieste italiane di tutela dei diritti umani”.

Ma a febbraio, alcuni parlamentari e diverse ong avevano denunciato l’insufficienza delle modifiche proposte da Roma, e avevano sottolineato come soltanto la cancellazione completa del Memorandum, e dunque la sospensione del patto di cooperazione con la Guardia Costiera libica, avrebbe potuto concorrere alla “tutela dei diritti umani” evocata a parole nel comunicato della Farnesina.

Anche il passaggio sul rispetto dei principi della Convenzione di Ginevra pare controverso. Come ha fatto notare in passato la giornalista Annalisa Camilli su Internazionale, la collaborazione con la Guardia Costiera libica viene interpretata da alcuni analisti come uno stratagemma per effettuare “respingimenti per procura”: si delega, cioè, alla Libia il compito di riportare i migranti nel Paese – certamente non un porto sicuro –, per evitare di incappare nella violazione del principio di non-refoulement. A questo proposito, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha osservato che, “tramite il sostegno alla Guardia costiera libica, il Governo italiano ricerca un’ immunità da pesanti responsabilità di tipo giuridico: la delega alle autorità libiche della conduzione delle operazioni di soccorso in mare tramite la fornitura di supporto logistico, non esime lo Stato italiano da responsabilità per i c.d. respingimenti delegati e per la violazione degli obblighi di soccorso, laddove si rifiuta sistematicamente di assumere il coordinamento delle operazioni di soccorso lasciandole alle autorità libiche, le quali o non intervengono o riportano i migranti nei centri di detenzione della terraferma dove i loro diritti sono violati”. Parlando del Memorandum in questione, inoltre, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini ha sottolineato in queste ore che “siamo ancora in attesa, come ci è stato promesso, di sapere se è stato cambiato e come”.

L’approvazione alla Camera del rifinanziamento spalanca inoltre un grave problema politico per il Partito democratico di Nicola Zingaretti, tanto che, intervistato da Linkiesta, l’ex presidente Pd Matteo Orfini parla di “una delle pagine più nere del Partito democratico”. Il sostegno di buona parte del Pd al testo rappresenta infatti una clamorosa marcia indietro rispetto all’impegno, assunto in assemblea, “di votare contro una mozione del genere e di non sostenere più chi stupra, commette omicidi e torture”, spiega Orfini. Che ricorda come, nel 2019, “non partecipammo alla votazione sul rifinanziamento della Guardia costiera libica”. “Tutti sanno cosa fa la Guardia costiera libica, non siamo a tre anni fa”, sottolinea l’esponente dem. E prosegue: “Ma il Partito democratico ha calpestato la questione, fregandosene della sistematica violazione dei diritti umani. E poi c’è un errore gravissimo anche nel metodo: un partito che dice una cosa e nella sostanza fa l’opposto, rompendo un patto di lealtà interno, è un partito che non esiste”.

Altro “varco politico” al quale il Pd zingarettiano è atteso è quello dell’abolizione dei Decreti Sicurezza, perentoriamente bocciati dalla Consulta per la norma che preclude l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo. Il Segretario Pd ha reiterato, in passato, la promessa di stracciare l’eredità più controversa dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Il dossier bollente è per ora ostaggio della discussione interna alla maggioranza. Ma accanto a buone notizie – come il ventilato ripristino del permesso di soggiorno per motivi umanitari e del sistema di accoglienza diffuso sul territorio (Sprar) –, ne emergono anche alcune tutt’altro che rassicuranti: sembrerebbe, al momento, che la sanzioni alle ong che salvano vite in mare siano destinate a rimanere, semmai riportate alla dimensione più contenuta prevista dal primo decreto (tra i 15mila e i 50mila euro). A pagarne le spese sarà, ancora una volta, chi prova a scappare da quelli che il Segretario Generale ONU non ha esitato a chiamare gli “orrori indicibili” dei campi di detenzione libici.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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