Luigi Scarpelli, pugliese, dopo aver girato mezzo mondo a bordo di navi mercantili, 25 anni fa approda a New York e ne resta stregato. Per rimanerci avvia una fortunata carriera nella ristorazione. Recentemente ha aperto un nuovo ristorante che intende, con i sapori della cucina meridionale, “prendere per la gola” i vip di Manhattan.
Luigi ci racconti di questa sua avventura da marittimo a ristoratore di successo.
“Sono originario di Mola di Bari. Sarà stato il mare oppure lo spirito levantino della mia terra, ma ho sempre nutrito una vocazione al viaggio ed alla conoscenza di nuovi luoghi dei quali mi affascinava l’architettura”.
Ed allora quando prende il largo?

“A sedici anni mi imbarco come mozzo su una nave mercantile, ma era un lavoro troppo duro per un ragazzo. Allora opto per la cucina: aiuto cuoco. Sulle navi imparo i rudimenti della cucina e della sua gestione, senza tralasciare l’aspetto turistico. Approdammo in Australia, Africa, Medio Oriente, il Nord Europa. Ad ogni scalo visitavo le città, i ristoranti, cercavo di capire la cucina locale”.
Fino a quando approda a New York?
“Affatto. Mi toccò tornare in Italia per il servizio militare in marina, 14 mesi. Terminato il servizio militare mi imbarco nuovamente ed approdo a New York. Era il 1993. Fui affascinato dalla città, dal suo dinamismo e dalla grande quantità e qualità dei ristoranti. Forte della mia esperienza di aiuto cuoco di bordo inizio la trafila nella ristorazione italiana”.
Con quali ambizioni?
“Come sempre con quella di arrivare ad avere il mio proprio locale. Nel frattempo i miei viaggi internazionali mi avevano spinto a considerare il connubio architettura, space, ristorazione”.
Ci spieghi questo concetto.

“La ristorazione, se vogliamo il ristorante, è un concetto molto complesso. Non basta un buon business model per decollare. Bisogna valutare altri fattori: la demografia della location, l’architettura del quartiere, il design stesso del locale, senza tralasciare il menu, la qualità del cibo. Fattori non marginali che oggi danno un grosso valore aggiunto all’impresa. Non ultimo il fitto della location“.
Veniamo a La Villetta, il suo attuale ristorante.
“Dopo avere gestito vari ristoranti italiani nell’area di Midtown e nell’Upper East Side ed avere potenziato le mie competenze nei vini frequentando vari corsi di aggiornamento, individuai nell’area di Sutton Place –River House, una possibile location vincente. Riuscii con due partner americani ad individuare una ex rimessa di carrozze, dichiarata historical landmark dalla città di New York, che ospitava un caffè brasiliano, in fase di chiusura. Siglammo un contratto, per noi, vantaggioso. E’ una location molto affluente con pochissimi ristoranti italiani, soprattutto pugliesi e meridionali. Il concetto è semplice: portare una novità gastronomica meridionale in un quartiere che ospita residenti internazionali pronti a recepire l’offerta gastronomica”.
E come è andata?
“In questo mese compiamo un anno di attività e sono stati 12 mesi straordinari. Certo abbiamo lavorato tantissimo per creare un ambiente familiare e per far apprezzare ai nostri clienti, tra i quali tanti vip, la nostra cucina. La mia idea di unire, architettura, location and quality food sta funzionando. Siamo stati premiati con il Marchio di qualità per l’Ospitalità ristoranti italiani nel Mondo.
Ci parli adesso del ristorante, La Villetta.
“Il nome è stato scelto come concetto di un posto accogliente, familiare, situato in un quartiere altamente residenziale. Io mi sento un ambasciatore, un promotore, della cucina meridionale e delle bellezze del Sud tra i miei clienti. Menu, per la maggior parte rigorosamente meridionale, vini meridionali. Tutto molto apprezzato dai nostri clienti. Nel ristorante esponiamo anche foto e quadri a tema. Adesso abbiamo in corso una mostra fotografica su Venezia”.
Ma che c’entra Venezia con il Sud?
“E’ vero. Ma resta un gioiello dell’umanità. Si tratta di lavori di un nostro cliente che chi ha chiesto di esporre. Un buon motivo per ammirare la mostra e far conoscere il ristorante. Il messaggio culturale/ gastronomico nel nostro settore sta diventando sempre più importante”.
Progetti futuri?
“Crescere, ovviamente. Sia nella offerta gastronomica che culturale. Stiamo lavorando ad eventi culturali a scadenza mensile sia sulla cucina italiana sia sulla Storia culturale del Sud. Intanto abbiamo già ospitato una cena della prestigiosa Accademia Italiana della Cucina. Abbiamo, tra i clienti, un nutrito numero di diplomatici da ogni parte del mondo. Hanno una grande stima del nostro Paese, delle sue opera d’arte. Io spesso gli parlo del Sud, della gastronomia, dei vini. Se vuole la possiamo considerare soft diplomacy. E’ importante. Aiuta a crescere il nostro business ed a far conoscere meglio il Sud Italia. Inoltre sosteniamo la local community sponsorizzando eventi culturali del quartiere e stiamo lavorando a sostenere progetti culturali italiani e meridionali con alcune realtà culturali newyorchesi”.