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February 7, 2016
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Morire per l’Egitto?

Qualcuno crede che in Egitto non ci sia giustizia? Allora non ci deve andare

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Morire per l’Egitto?

La protesta di cittadini egiziani per l'omicidio di Giulio Regeni (ph. da lapresse.it)

Time: 3 mins read

È preoccupante che basti un bombardamento mediatico per convincere la gente a bombardare. Due anni fa gli italiani avrebbero voluto spezzare le reni all’India: adesso tocca all’Egitto. I più moderati chiedono sanzioni, i più animosi rappresaglie: senza aspettare le indagini della magistratura e della polizia egiziane, tanto sono complici e corrotte, e comunque tutti sanno esattamente come è andata: l’hanno detto i giornali! Quelli stessi giornali che ormai non fanno che gossip e che ogni giorno manipolano i fatti per sostenere il regime renziano, ecco che quando fa comodo recuperano, intatta, la loro credibilità.

Non mi fido delle autorità egiziane ma lo stesso sono loro i legittimi rappresentanti del loro paese; per cui il loro operato va rispettato, salvo inconfutabile prova contraria, in riconoscimento della sovranità di quella nazione. Così come vanno rispettati i tribunali indiani che stanno giudicando i due marò. È semplice: se qualcuno crede che in India o in Egitto non ci sia giustizia e ogni abuso sia perpretrabile impunemente, non ci deve andare. L’alternativa, che la stampa e gli intellettuali liberisti promuovono incessantemente, è che il vero controllo passi a organismi sovranazionali, non eletti da nessuno, non responsabili presso nessuno e inevitabilmente manovrati da chi ha più soldi e potere. Tipo la Banca Europea o il Fondo monetario internazionale o le corti private di arbitrato previste dal TTIP. O le multinazionali dell’informazione.

Di paesi in cui gli oppositori vengono arrestati, picchiati, assassinati, ce ne sono parecchi e non bisognerebbe accorgersene solo quando a morire è un italiano, per poi scordarsene di nuovo non appena i media deviano l’empatia dei telespettatori su un altro evento. Bisognerebbe fare una lista di questi stati brutali, come si fa per i paesi che finanziano o sostengono il terrorismo: e in quei paesi non mettere piede. Perché mai recarsi, in questo momento, in Egitto o in Siria o in Arabia Saudita? Personalmente boicotto anche Israele e il Texas, nel senso che non ci andrei neanche se mi invitassero; non per paura: per incompatibilità. Gli egiziani hanno enormi problemi ma devono risolverseli da soli: e se non riescono a farcela in dieci anni se ne prendano altri dieci, e poi altri dieci. Ogni ingerenza non farebbe che provocare catastrofi come quelle in Libia o in Iraq, dove gli occidentali hanno fatto cadere dittatori spietati con il solo risultato di accrescere esponenzialmente la violenza e dunque le sofferenze di libici e iracheni. Contrariamente a quello che predicano i globalisti, la democrazia, la giustizia e la tolleranza non si possono né esportare né prescrivere: si possono solo conquistare, autonomamente: e chi dice il contrario e cerca di imporle al mondo sta cercando di continuare il vecchio colonialismo con altri mezzi.

Mi dispiace davvero per Giulio Regeni: sembra che fosse generoso, intelligente, buono. Leggo che aveva studiato Gramsci e Pasolini, i due autori che più mi hanno influenzato. Capisco anche il suo desiderio di misurarsi con realtà diverse dalla palude italiana. Non è giusto che queste cose accadano, non è giusto che accadano a giovani come Regeni. Ma la violenza esiste nel mondo, in alcuni luoghi più che in altri, e chi la subisce sono soprattutto coloro che abitano in quei luoghi, molto più che i visitatori occasionali. Non bisognerebbe dimenticarsene: l’Egitto è degli egiziani, ossia di coloro che vivono quella realtà quotidianamente e ne sono vittime, senza un’altra esistenza a cui tornare in caso di necessità. Sono loro che devono interrogarsi sulla morte di Regeni, scoprire cosa è successo, chiedere che gli eventuali responsabili vengano puniti. Non noi. Alcuni egiziani lo stanno facendo, con coraggio: a dimostrazione della simpatia che Regeni aveva saputo suscitare. Però se la maggioranza non li segue, peggio per lei, ma non nel senso che dovremmo mostrare i muscoli militari o commerciali e far capire che con l’Italia non si scherza, come tanti vorrebbero. No, peggio per gli egiziani nel senso che saranno loro a dover continuare a convivere con quel terrore, con quelle sopraffazioni. Noi, invece di minacciarli, dovremmo piuttosto compiangerli e ignorarli. Dovremmo tornare a lottare per la democrazia e la giustizia in Italia invece di andare a diffonderle in altre comunità, che non ci appartengono, a cui non apparteniamo.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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