È preoccupante che basti un bombardamento mediatico per convincere la gente a bombardare. Due anni fa gli italiani avrebbero voluto spezzare le reni all’India: adesso tocca all’Egitto. I più moderati chiedono sanzioni, i più animosi rappresaglie: senza aspettare le indagini della magistratura e della polizia egiziane, tanto sono complici e corrotte, e comunque tutti sanno esattamente come è andata: l’hanno detto i giornali! Quelli stessi giornali che ormai non fanno che gossip e che ogni giorno manipolano i fatti per sostenere il regime renziano, ecco che quando fa comodo recuperano, intatta, la loro credibilità.
Non mi fido delle autorità egiziane ma lo stesso sono loro i legittimi rappresentanti del loro paese; per cui il loro operato va rispettato, salvo inconfutabile prova contraria, in riconoscimento della sovranità di quella nazione. Così come vanno rispettati i tribunali indiani che stanno giudicando i due marò. È semplice: se qualcuno crede che in India o in Egitto non ci sia giustizia e ogni abuso sia perpretrabile impunemente, non ci deve andare. L’alternativa, che la stampa e gli intellettuali liberisti promuovono incessantemente, è che il vero controllo passi a organismi sovranazionali, non eletti da nessuno, non responsabili presso nessuno e inevitabilmente manovrati da chi ha più soldi e potere. Tipo la Banca Europea o il Fondo monetario internazionale o le corti private di arbitrato previste dal TTIP. O le multinazionali dell’informazione.
Di paesi in cui gli oppositori vengono arrestati, picchiati, assassinati, ce ne sono parecchi e non bisognerebbe accorgersene solo quando a morire è un italiano, per poi scordarsene di nuovo non appena i media deviano l’empatia dei telespettatori su un altro evento. Bisognerebbe fare una lista di questi stati brutali, come si fa per i paesi che finanziano o sostengono il terrorismo: e in quei paesi non mettere piede. Perché mai recarsi, in questo momento, in Egitto o in Siria o in Arabia Saudita? Personalmente boicotto anche Israele e il Texas, nel senso che non ci andrei neanche se mi invitassero; non per paura: per incompatibilità. Gli egiziani hanno enormi problemi ma devono risolverseli da soli: e se non riescono a farcela in dieci anni se ne prendano altri dieci, e poi altri dieci. Ogni ingerenza non farebbe che provocare catastrofi come quelle in Libia o in Iraq, dove gli occidentali hanno fatto cadere dittatori spietati con il solo risultato di accrescere esponenzialmente la violenza e dunque le sofferenze di libici e iracheni. Contrariamente a quello che predicano i globalisti, la democrazia, la giustizia e la tolleranza non si possono né esportare né prescrivere: si possono solo conquistare, autonomamente: e chi dice il contrario e cerca di imporle al mondo sta cercando di continuare il vecchio colonialismo con altri mezzi.
Mi dispiace davvero per Giulio Regeni: sembra che fosse generoso, intelligente, buono. Leggo che aveva studiato Gramsci e Pasolini, i due autori che più mi hanno influenzato. Capisco anche il suo desiderio di misurarsi con realtà diverse dalla palude italiana. Non è giusto che queste cose accadano, non è giusto che accadano a giovani come Regeni. Ma la violenza esiste nel mondo, in alcuni luoghi più che in altri, e chi la subisce sono soprattutto coloro che abitano in quei luoghi, molto più che i visitatori occasionali. Non bisognerebbe dimenticarsene: l’Egitto è degli egiziani, ossia di coloro che vivono quella realtà quotidianamente e ne sono vittime, senza un’altra esistenza a cui tornare in caso di necessità. Sono loro che devono interrogarsi sulla morte di Regeni, scoprire cosa è successo, chiedere che gli eventuali responsabili vengano puniti. Non noi. Alcuni egiziani lo stanno facendo, con coraggio: a dimostrazione della simpatia che Regeni aveva saputo suscitare. Però se la maggioranza non li segue, peggio per lei, ma non nel senso che dovremmo mostrare i muscoli militari o commerciali e far capire che con l’Italia non si scherza, come tanti vorrebbero. No, peggio per gli egiziani nel senso che saranno loro a dover continuare a convivere con quel terrore, con quelle sopraffazioni. Noi, invece di minacciarli, dovremmo piuttosto compiangerli e ignorarli. Dovremmo tornare a lottare per la democrazia e la giustizia in Italia invece di andare a diffonderle in altre comunità, che non ci appartengono, a cui non apparteniamo.