Bisognerebbe coniare una parola per sintetizzare l’intreccio tra le professioni di architetto e fotografo. È solo così che si potrebbe raccontare il percorso professionale di Leopoldo Rosati, considerato ormai, dopo oltre trent’anni di attività negli Stati Uniti, uno dei maggiori architetti d’interni italiani a New York. Ma anche fotografo, appunto.
Quella che infatti era sempre stata una passione, da tempo è diventata uno strumento per completare i suoi progetti. “Le immagini mi hanno sempre dato una grande emozione”, ci racconta Rosati, origini pugliesi, quando lo incontriamo alla Soho Photo Gallery, che ha ospitato tre sue fotografie. “Uno scatto ferma gli istanti, che così diventano per sempre; li porto con me, amo raccoglierli, elaborarli, catalogarli”.
Quando disegna gli interni di una casa, che sia un loft, una villa o un appartamento, è ormai prassi quella di inserire anche alcune delle sue immagini. “La fotografia entra nell’architettura in maniera funzionale, non solo decorativa. Per me è importante che abbiano un ruolo. Per fare solo un esempio, la foto che ho fatto al Flatiron Building è diventata lo sfondo di una parete da una cucina, dove sono state inserite delle mensole; oppure mi viene in mente un tavolo che ho realizzato, stampando sulla superficie piana la foto di oltre 400 uova. Si chiama infatti Eggs Table. Per farla ho dovuto comprare centinaia di uova, tante quante ne servivano per coprire lo spazio”.

Nonostante i numerosissimi lavori e le grandi soddisfazioni raggiunte, quando si parla di Leopoldo Rosati è impossibile non ricordare che sei anni fa divenne famoso per essere l’architetto della “prigione dorata” di Dominique Strauss-Kahn, la townhouse a Tribeca dove l’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale restò confinato agli arresti domiciliari dopo l’accusa di stupro. Al di là della tremenda vicenda di cronaca, resta intatta la magnificenza architettonica della residenza.
“Oltre ai titoli dei giornali, mi fece emozionare poi vedere il film “Welcome to New York”, dove la casa veniva ripresa in tutti i suoi dettagli. È stato come se in quella pellicola ci fosse anche la mia anima. La casa poi è stata comprata dalla cantante Taylor Swift; ovviamente mi ha fatto molto piacere che lei abbia apprezzato il mio stile”, ci dice ancora Rosati. Uno stile che associa all’innovazione nell’uso dei materiali, un gusto minimalista, ma di impatto. Proprio come quello delle tre fotografie che l’architetto ha deciso di presentare alla mostra di cui ha fatto parte, aperta al pubblico nel mese di agosto alla Soho Photo House.

I tre lavori, che si sono aggiunti a quelli di altri ventotto artisti, sono infatti intensi, ma essenziali, con pochi soggetti. “Puntano al contenuto, a trasmettere un pensiero in chi le guarda. Sono le foto mi rappresentano di più in questo momento della mia vita. Il risultato dell’evoluzione, sia nella ricerca estetica che nel rigore formale dei contenuti”. La prima si chiama “Art & Love”, scattata nel 2021 all’interno dello spazio Pirelli Hangar Bicocca di Milano, in occasione dell’installazione di Anselm Kiefer.

Due ragazzi, uno accanto all’altro, guardano di spalle una tela gigante. Tutti e due hanno un piede sul marciapiede, sono vestiti con abiti scuri, mentre davanti a loro prevale il pastello. “Riassume un tema a me caro e cioè la connessione che si crea tra un’opera d’arte e il visitatore”. In questa foto tutto è bilanciato. C’è una geometria centrale molto semplice: la coppia, perno d’equilibrio della composizione, si fonde con la tenue paletta cromatica della tela e il suo fondo nero.
“Molti visitatori – ci racconta – mi hanno confermato che a colpirli è l’intensità di tanta semplicità. Ed è vero. Pochi avrebbero pensato di immortalare quei due ragazzi. Ma la fotografia è proprio questo: uno stralcio di realtà che non tutti vedono”.

La seconda foto si chiama invece “Discovery”, anche questa scattata l’anno scorso, sempre all’interno dello spazio Pirelli Hangar Bicocca a Milano, durante l’esposizione dell’opera di Maurizio Cattelan, “Breath Ghosts Blind”. Nella foto è visibile la base della grande torre nera. A sinistra c’è un guardiano; a destra, mentre cammina in direzione opposta, una visitatrice. “La vicinanza dei due con il monumento è minima; il momento dello scatto coincideva con l’attimo prima che queste due figure scomparissero, fondendosi con il nero della torre”, ci spiega Rosati, inorgoglito mentre riguarda l’opera.

La terza foto che ha voluto selezionare è più ironica. Il titolo lo chiarisce bene “Live Art”. Immagine del 2018, scattata al MAIIAM Contemporary Art Museum in Tailandia. L’ opera sullo sfondo è di Navin Rawanchaikul e si intitola “Super(M)art Bangkok Survivor”. Lo scatto di Rosati aggiunge all’opera dell’artista la presenza di un ragazzo, seduto su una panca, che scruta la composizione. “Mi è piaciuto, perché chi osservava stava al telefonino, proprio come le due statue. Tutti con il cellulare, a conferma della società che stiamo vivendo”.

Grazie alle mostre a cui ha partecipato negli ultimi anni, Leopoldo Rosati ha pubblicato tre libri: sulla sua visione minimalista della realtà, sull’Asia e sulla Grecia. Da questi ultimi, ha attinto molto per individuare le foto che completassero l’arredamento di due ville. “Non scatto tanto a New York, le immagini migliori le faccio all’estero, quando sono in viaggio. Forse perché ormai ci vivo da troppo tempo e non ho più quella sensazione di stupore quando passeggio”.
E in effetti, nel 2027 saranno quarant’anni che vive in questa città. Nato a Taranto, è arrivato negli Stati Uniti molto giovane. Nonostante lavorasse in un importantissimo studio, aveva in mente già chiaro l’obiettivo di riuscire a esprimere la sua arte, non solo di eseguire gli ordini impartiti da altri.
E ci è riuscito a New York, a neanche due anni dall’arrivo. Dopo i primi tempi alle dipendenze, l’audacia di mettersi in proprio appena vinta la Green Card, il documento che gli permetteva di rimanere negli Usa e lavorare legalmente. “Iniziai subito a fare una intensa vita sociale. Ogni incontro poteva portarmi a un potenziale cliente. Il primo arrivò proprio durante un party. Mi disse che aveva appena comprato casa, andammo a vederla insieme e ricordo che rimase impressionato dalle mie idee. Mi diede il lavoro”. Da quel momento non si è più fermato.