Marco Gaetano Castrenze Messina nasce a Brooklyn ventisei anni fa da padre trapanese e madre piacentina. In uno dei suoi primi ricordi di infanzia, è domenica mattina e la famiglia è riunita attorno al televisore per seguire il campionato italiano. Le sorelle, i nonni e i genitori tifano Roma e Inter, ma Marco si innamora della Vecchia Signora, che sostiene dallo Juventus Club locale in un bar tuttora aperto al pubblico. A un isolato da 18th Avenue, gli anziani avventori italoamericani gli trasmettono l’amore per la Serie A gridando a pieni polmoni contro i ventidue in campo sullo schermo. Nel quartiere di Bensonhurst, Marco non è l’unico appassionato di pallone: sui campi di cemento si sfidano figli di immigrati da ogni parte del mondo e il calcio è lingua franca per comunicare persino con chi non parla inglese.
Ci incontriamo in una mattina fredda di novembre. Gli ho dato appuntamento in un caffè di Manhattan West, un quartiere nuovissimo a ridosso del leggermente meno nuovo Hudson Yards. Nonostante il clima quasi invernale, mi sono svegliata di buon umore: da quando è iniziata la stagione 2021/2022, la mia squadra del cuore ha collezionato nove vittorie, due pareggi e zero sconfitte ed è in testa alla classifica di Serie A.
Sono contenta di discuterne con lui, che è diventato a sua insaputa uno dei protagonisti del mio campionato da tifosa italiana a New York. Anche se non l’ho mai visto di persona prima di oggi, come milioni di telespettatori ho conosciuto Marco nel salotto di casa, durante la diretta pre e post partita e il collegamento dallo studio nell’intervallo. Da agosto Marco è infatti analista per CBS Sports, che ha acquistato i diritti di Serie A e Coppa Italia per i prossimi tre anni.
Gli chiedo come ci si sente a lavorare al fianco di leggende del calibro di Giuseppe Rossi e di professionisti come Matteo Bonetti. “Mi sembra di vivere un sogno. Sono cresciuto guardando i match in tivù e ora sono uno di quelli che li commenta”, mi risponde incredulo. Nella sua voce non c’è un briciolo di arroganza o falsa modestia. Per lui è ancora difficile spiegarsi come un ragazzo normale, uno che è non stato né calciatore né allenatore possa essere arrivato fin qui. Dopo più di un’ora e mezza di conversazione, per me invece appare chiaro che non possa esserci una conclusione più adatta alla sua storia.
Come tanti suoi coetanei dall’altra parte dell’oceano, anche Marco da bambino vuole fare il calciatore. “Ho capito presto però che non ero abbastanza bravo per competere ad alti livelli”, mi dice con una nota di rammarico. L’universo ha in serbo altri piani per lui. Al liceo scopre Twitter e dal suo account accumula followers cinguettando di Serie A e condividendo notizie tradotte dall’italiano all’inglese.
Negli Stati Uniti monopolizzati da Liga e Premier League, Marco rimane sempre fedele al suo vero interesse. “In questo Paese erano tutti o del Real Madrid o del Barcellona o del Manchester United, così ho pensato: devo creare una piattaforma che sia esclusivamente dedicata alla Serie A e alle squadre italiane”. Prima ancora di lanciare un canale Youtube, Marco scopre che Alessandro Del Piero giocherà a Chinatown in un’amichevole di beneficenza per la Steve Nash Foundation e ottiene dall’organizzatore l’opportunità di porre un paio di domande al suo idolo.
Often think about how crazy the inspiration we get at a young age is & how that leads to the people we become. If the Calcio seed was planted by my Nonno & father, then ADP was the guy who watered it every week
Watching him made me fall deeper in love with the game to purse it pic.twitter.com/YmeSJRbnUJ
— Marco Messina (@IFTVMarco) November 9, 2021
“Ho passato la notte in bianco per studiare e prepararmi. Non avevo mai girato un video, non sapevo nemmeno come gestire le riprese. Mi sono messo a leggere un intero libro su Alex e sulla sua carriera. Al termine dell’evento, ho postato il materiale online e ho ricevuto ‘likes’ da moltissimi amanti di Serie A che desideravano un contenuto in inglese del quale discutere. Sono rimasto sbalordito: ero riuscito a inventare qualcosa dal nulla”.
Dopo il successo dell’intervista con Del Piero, Marco comincia a capire di avere per le mani l’occasione di incanalare il suo entusiasmo in un business. Pochi mesi più tardi, nell’estate del 2012 il Paris Saint Germain parte per il New Jersey per la tournée estiva nordamericana. Marco prova a contattare il club per intervistare Verratti, che ha da poco firmato con i francesi e non ha ancora rilasciato dichiarazioni sul suo trasferimento. Di fronte al silenzio della società, con un paio di amici decide di guidare da Brooklyn fino all’hotel dove l’ex Pescara sta alloggiando. “Mi sono mostrato sicuro di me, mi sono presentato alla reception, ho fatto il nome e cognome dell’addetto stampa e ho chiesto di chiamarlo in camera. Contro ogni aspettativa, il concierge mi ha passato la cornetta”. Un’altra notte in bianco e alle sette di mattina del giorno dopo il gruppo è di nuovo lì, questa volta accanto a Verratti.
Nonostante l’ansia che la tecnologia giochi brutti scherzi, il risultato finale è ottimo. Nel suo primo incontro con i media da centrocampista del PSG, Verratti parla di Ibrahimovic e ammette di essere sempre stato tifoso della Juventus. I ragazzi propongono il video a decine di testate giornalistiche e ricevono una sola ma importante risposta da goal.com, che acquista il contenuto.

Marco non ha mai nascosto alla famiglia di desiderare una carriera nel mondo del calcio. I nonni ridono a questa prospettiva strampalata: sbarcati negli Stati Uniti con cinque dollari in tasca e senza conoscere una parola di inglese, hanno faticato a lungo per guadagnare sicurezza economica nel Nuovo Mondo e considerano l’istruzione, il duro lavoro e il risparmio gli obiettivi di una vita “normale”. A Marco però questi aneddoti danno una motivazione in più: “Mi sono sempre considerato fortunato a essere cresciuto qui, grazie ai miei nonni che hanno abbandonato il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore. Se non provassi a realizzare i miei sogni, mi sembrerebbe di sprecare i loro sacrifici”.
A sostenere la sua filosofia è un altro figlio di immigrati, Michael Kantaris. La loro amicizia è frutto di una pura coincidenza: in seconda media sono vicini di banco e Marco viene a sapere che quel bambino di origine greca è in realtà il fratello della sua insegnante di scienze preferita. Tanto basta a renderli inseparabili. Michael si innamora del calcio italiano e nei pomeriggi dopo lezione i due trascorrono ore a commentare ogni singolo dettaglio delle partite. Un giorno decidono di registrare la loro conversazione per postarla in rete e dare il via a Italian Football TV (IFTV), che si incorporerà come azienda nel 2017.
Non tutti sono convinti del potenziale della Serie A. All’università il preside del dipartimento di comunicazione crede che il loro sito sia destinato a fallire. Il campionato è troppo piccolo, troppo di nicchia, meglio concentrarsi su La Liga o sulla Premier League, don’t do it. Senza demoralizzarsi, Marco e Michael si rivolgono al vice preside, che li incoraggia a perseverare e offre anzi un paio di lezioni base su editing e montaggio.
Marco e Michael cercano di ritagliarsi del tempo libero dagli studi e dal lavoro per questo nuovo progetto. Nei weekend però Marco è impegnato in un’agenzia immobiliare e deve mettere momentaneamente da parte gli schermi. “Ricordo di essere rientrato a casa una sera dopo un fine settimana pienissimo. Ho dato un occhio alla mia busta paga. Avevo guadagnato una cifra assurda per un ragazzo di diciotto anni, ma dentro di me sentivo il vuoto. Ero arrabbiatissimo per essermi perso tutti i match della giornata di campionato! in quel momento ho capito che i soldi non contavano niente rispetto alla mia passione. Non avevo bisogno di cose materiali, volevo solo essere felice”.
[Con IFTV] stavamo vendendo qualche intervista, a poco a poco e lentamente iniziavamo ad avere delle entrate. Ho detto a Michael: licenziamoci dal lavoro. Dedichiamoci a tempo pieno. Se non lo facciamo ora, ce ne pentiremo per il resto delle nostre vite.
Marco prende coraggio e chiede al nonno di poter usare il suo garage come ufficio dal quale ripartire. “Lo pulisci al posto mio? Per me va benissimo”, è la risposta del signor Giovanni. Nonostante le zanzare d’estate e il gelo di inverno, quello spazio si trasforma nel rifugio perfetto per Michael e Marco, che arrivano alle 7 di mattina e chiudono alle 9 di sera e passano ore a creare idee per il loro canale. “Con gli occhi di oggi quei contenuti sono pura spazzatura, sono tremendi. La gente ci commentava: ‘Ragazzi, state bene? Siete stati rapiti? Siete entrati in una setta?’. Ci filmavamo con i nostri telefoni appoggiati a una pila di libri, usavamo le cuffie dell’iPhone attaccate con lo scotch sotto al tavolo per mascherare i fili. Credevamo di essere dei geni”.
Il loro budget è limitato, gli investimenti cauti. È solo quando la Sampdoria li contatta sui canali social per invitarli a Genova che Marco e Michael si rassegnano a comprare una videocamera professionale. Anche il biglietto per l’Italia viene dai loro risparmi: “Era un’opportunità unica per noi. Mio padre mi ha sgridato: ‘Non ti pagano, non andare. È così che funziona’. Nel salutarlo all’aeroporto, potevo leggergli la delusione negli occhi e mi sono rattristato pure io”.
A Genova lo sconforto lascia rapidamente il posto al buon umore. Marco e Michael sfidano Patrick Schick e vincono la gara di rigori con le vertigini; chiacchierano con Luis Muriel di tagli di capelli, balli e musica. All’uscita dell’impianto sportivo, il colombiano li vede camminare sul ciglio della strada e insiste per dare loro un passaggio in macchina fino al centro storico a più di mezzora di distanza. Muriel vuole ringraziarli per la loro simpatia durante l’intervista. I ragazzi lo hanno fatto divertire come ben pochi giornalisti prima di allora.
Marco conserva stretta questa immagine nella memoria. Sin dai tempi del video con Del Piero, la sua energia da tifoso è il bigliettino da visita di ogni incontro con i calciatori. IFTV si è sempre dissociata dalle logiche di mercato che premiano i titoloni da scandalo, le dichiarazioni distorte, il dramma, gli insulti dalle curve. La linea del sito riflette le regole e i valori degli italiani vecchio stampo con i quali Marco è cresciuto, che gli hanno insegnato ad esempio a sostenere sempre le squadre di Serie A nelle competizioni europee.
Quel viaggio in Liguria nell’aprile del 2017 è una pietra miliare per la popolarità di IFTV. Al ritorno dall’Italia, il garage del nonno viene adattato a negozio online di abbigliamento e accessori promozionali. La prima partita di cappellini è sold out in pochi minuti. Marco e Michael esordiscono con una linea di magliette a marchio IFTV ma i margini di guadagno sono bassi perché, gli spiega il rivenditore, i loro tessuti troppo costosi. Pur di non rinunciare alla qualità, i due acquistano una macchina con la quale stampare le t-shirt a mano e corredano le spedizioni con lettere personalizzate a penna. “Il fratello di Michael ci ha riso in faccia perché era la cosa più ridicola che avesse mai visto”, mi racconta Marco. “Finché un giorno su Instagram abbiamo ricevuto il selfie di una ragazza con David Beckham e con il logo del nostro podcast sullo sfondo. Ci ha detto di essere sua amica e ha chiesto di mandare dei vestiti per lui. Non credevamo nemmeno per un istante che Beckham fosse un nostro fan, pensavamo che ci stessero imbrogliando con un trucco da Photoshop”. In preda a un senso di fiducia cieca nei confronti dell’umanità, Marco le spedisce comunque un pacco del valore di qualche centinaia di dollari. Mesi dopo, la ragazza si rifa viva: “‘Stiamo per decollare, ora vi mando una cosa’, era il suo messaggio. Quei cinque minuti di attesa prima che il file si caricasse sono stati eterni, io e Michael non abbiamo scambiato una sillaba. Quando si è aperta la foto di Beckham sul suo jet privato e la nostra felpa Calcio, siamo impazziti! Non solo, l’abbiamo condivisa sui nostri account e quando tutti urlavano al falso, Beckham in persona ha commentato per ringraziarci e per comunicare quanto gli fosse piaciuto il nostro regalo!”
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Ancora oggi gli ordini continuano a arrivare dai followers di IFTV in più di ottanta Paesi, dagli Stati Uniti all’Indonesia, l’Arabia Saudita, gli Emirati, il Canada, l’Inghilterra. C’è un bisogno di contenuti in inglese al quale Marco e Michael hanno dato risposta. Diversamente dalla Premier League, il campionato italiano non è stato protagonista di una campagna di marketing aggressiva al di fuori del Belpaese. IFTV si è inserita in questo vuoto per promuovere quella che considerano la competizione migliore del panorama calcistico internazionale. Marco è felice di contribuire con due nuovi strumenti a disposizione: la recente alleanza tra Serie A e IFTV sul mercato nordamericano e la sua posizione da commentatore per CBS Sports.
I meriti della prima vanno all’amministratore delegato di Lega Luigi De Siervo, che ha scommesso su Michael e Marco e ha seguito il loro lavoro a partire dalla collaborazione con la Sampdoria quattro anni fa. A proposito della seconda, Marco non riesce ancora a descrivere la gratitudine per la fiducia che gli ha corrisposto il network tv.
“Quando mi hanno chiamato da CBS, mi hanno chiesto subito cosa amassi della Serie A. Mi hanno colto un po’ di sorpresa e non è stato facile, ma ho iniziato a articolare la risposta nel dettaglio e ho compreso che condividevamo le stesse idee sul campionato italiano. In nessun altro Paese al mondo avrei avuto questa opportunità”. Superata la paura delle prime dirette e archiviati i consigli e le preoccupazioni dei genitori (Dal padre: “Sorridi di meno! Hai la voce troppo allegra! Sembra che tu ti stia divertendo troppo!”; dalla madre: “Sei troppo magro, stai mangiando?”), Marco si è adattato velocemente al formato televisivo. Oggi ha la possibilità di diffondere storie che verrebbero altrimenti relegate in secondo piano rispetto a statistiche e analisi tecniche. Sa di poter convincere un’intera generazione di telespettatori a seguire la Serie A, così come ha convinto molti amici americani a tifare il David Atalanta contro il Golia PSG in Champions League. Si sente orgoglioso di rappresentare la cultura italoamericana con la sua presenza. Può sedersi in studio senza preoccuparsi che il microfono stia funzionando, come invece controllo io più volte durante la nostra chiacchierata.
Il suo animo gioviale e ottimista lo accompagna in tv. “Alcuni giornalisti si prendono troppo sul serio, c’è negatività anche in questi ambienti. Va bene criticare quando serve, ma non sempre. Questa non è la mia personalità, non è quello che mi ha insegnato mio nonno”. Marco pensa a lui prima di ogni collegamento. Il nonno è venuto a mancare l’anno scorso prima del suo esordio su CBS.
Potrei parlare con lui di calcio per ore, ma l’anticipo di campionato tra Empoli e Genoa sta per iniziare e dobbiamo separarci. Prima dei saluti, gli domando se ha consigli da dare a chi vorrebbe lasciare il lavoro e dedicarsi a tempo pieno alle proprie passioni.

“Non è realistico dire a tutti di licenziarsi. Vorrei però suggerire di testare il terreno nel tempo libero per capire se c’è uno spiraglio, un’opportunità. È importante essere onesti con se stessi su quello che si può e si vuole realizzare. Tante persone hanno paura del fallimento e dell’opinione degli altri e preferiscono non provarci nemmeno”. Nonostante anni di esposizione mediatica, Marco è consapevole di quanto sia difficile gestire i giudizi negativi. “C’è sempre un commento brutto che ne cancella cento di positivi. Sto ancora imparando a non prenderla sul personale, a non leggere o rispondere a ogni singola frase e a tenere in mente che i social media non rappresentano la vita reale”.
Al di fuori del mondo virtuale, dopo quasi due anni di piani cancellati dalla pandemia Marco mi anticipa in esclusiva che è in cantiere un watch party di grande dimensioni. L’evento sarà aperto a tifosi di calcio e curiosi. “Mi metto nei panni di un dodicenne e rifletto su ciò che mi avrebbe reso felice da piccolo. Mi immagino a guardare una partita circondato da fan, gelati, pizze e biliardino. Voglio dimostrare che chi non segue la Serie A sta rinunciando a un’atmosfera magica”.
A quell’ex bambino italoamericano di Brooklyn è rimasto ancora un sogno nel cassetto per il futuro. Per quanto figlio della Grande Mela, Marco spera che la carriera lo riporti un giorno a vivere in Italia, ripercorrendo il viaggio dei nonni in direzione contraria a oltre quarant’anni di distanza.