Quando mercoledì mattina Giulio Picolli ci appare al Memorial del WTC provenendo dalla direzione della vasca opposta a quella dove eravamo ad attenderlo, sprizza l’energia di un uomo di mezz’età. Si muove veloce, ha l’aria della fretta di chi ha ancora business da sbrigare. Picolli, residente del New Jersey, ha trascorso oltre due terzi di vita in America. Colui che da vent’anni cerca i nomi delle vittime dell’11 settembre di origine italiana, arrivò da Napoli a New York nel 1966. Aveva 25 anni allora e tra pochi mesi ne compierà ottanta. Mentre sfogliamo il libro con le foto dei caduti italiani del’11 settembre 2001 che lui ha fatto stampare in tempo per distribuirlo alla Cerimonia della lettura dei nomi che si terrà sabato al Consolato Generale d’Italia a Park Avenue, seguiamo Picolli mentre risponde alle nostre domande girando tra le due enormi vasche cinte delle lapidi in cui sono scolpiti i nomi di tutti i caduti dell’11 settembre a New York. Ogni tanto, indica con le dita nel libro la foto e poi posa la mano sul nome italiano scolpito. Di tantissimi ricorda qualcosa, da dove venivano, che mestiere facevano, o il dolore sentito per anni da una loro moglie, marito, fratello, sorella, figlio, genitore, mentre gli confermavano le origini italiane del loro caro.
Nel nostro giro a Giulio, mentre il nostro abile fotografo Terry Sanders lo insegue con l’obiettivo, diamo del tu perché ci conosciamo da tanto tempo.

Giulio, perché hai sentito subito dopo l’11 settembre 2001 l’urgenza di raccogliere i nomi degli americani di origine italiana morti nelle Torri Gemelle? Tu chi hai perso quel giorno e perché hai sentito così forte il bisogno di fare questa ricerca ancora non completa?
“Io ho perso Luigi Calvi, il mio figlioccio, nato e cresciuto con i miei figli in casa mia, tranne gli ultimi anni in cui poi si era sposato. Quando è morto aveva 34 anni. La necessità di questa mia ossessione di trovare i nomi di tutti gli italiani in America morti quel giorno a New York è nata il 13 di settembre 2001, quando, guardando la televisione italiana, un famoso giornalista disse ‘meno male che non ci sono italiani tra i morti delle torre gemelle’. È la cosa più assurda che avessi mai potuto ascoltare”.
Quando si girano le vasche del Memorial, infatti, si trovano tantissimi nomi italiani. Li riconosci?
“Esatto, e pensa la rabbia quando si arrivò a dire che non ci sono state vittime italiane! Guarda qui questo ragazzo, ci troviamo davanti, un ragazzo del New Jersey morto a 25, 26 anni, era originario di Salerno… Conoscendo le origini italiane diffuse tra i newyorkesi so benissimo che il 30, 35 per cento dei morti saranno stati di origini italiane. Quindi non mi possono dire che nelle torri gemelle non è morto un italiano!”

Ma forse quel giornalista famoso si riferiva agli italiani ancora di cittadinanza italiana…
“Di origine italiana, nato in Italia, con passaporto italiano io ne ho contati 7. Con passaporto italiano, non diventati americani”.
Però ce ne possono essere tanti altri che sono figli di italiani. Che quindi, almeno potenzialmente, potevano diventare cittadini italiani…
“Esattamente. Però mi è stato negato sia dal governo italiano sia dalle autorità americane di poter fare delle investigazioni sulle origini di queste persone, per sapere chi era nato qui e da quali genitori etc”.
Per ragioni di privacy?
“Per ragioni di privacy, che ho dovuto rispettare”.
Giulio chi ti ha aiutato di più in questa ricerca ventennale? Da chi hai ricevuto più aiuto?
“Da Giulio Picolli, questa la verità. Non ho avuto nessun aiuto. Adesso mi trovo davanti a Craig Damiani Lilore. Italiano? Italianissimo! Del New Jersey. Quando lui è morto, suo figlio è nato 4 mesi dopo. Io li ho conosciuti, perché loro abitavano a Hartford, NJ. Ma il figlio l’ho incontrato. Lui non ha mai conosciuto il papà. Vedi qua, Richard Michael Caggiano. Con questi nomi io non ho dubbi. Ho avuto dubbio su altri nomi”.
Tipaldi.
“Tipaldi, e qui Furmato”.
Sono proprio uno accanto all’altro.

“Però ecco qua. Questi sono due fratelli. Timothy Grazioso e John Grazioso. Due fratelli che ho nel libro, sono di New York…”
Ho capito quindi che tu nel far questa ricerca, non hai avuto aiuto. Ma l’hai fatto perché? Qual è stato il motivo principale?
“Perché io sono un grande estimatore della nostra etnia, ci tengo che vengano onorati i nostri sacrifici. Questi giovani non sono morti per un incidente stradale… Per quale motivo sono morti? Il fato? No, erano venuti a lavorare e questi terroristi hanno ammazzato 3000 persone che andavano a lavorare, come è possibile giustificarli? Bisogna ricordare questo, il loro sacrificio. A 20, 30, 50 anni… Ecco qui Vicario. Robert Anthony Vicario. Salvatore Fiumefreddo. Leggi leggi, sono vittime non di un incidente. Venti anni fa volevo che si ricordassero e si onorassero tutte le vittime italoamericane. Nel consolato, nel 2007, ho fatto erigere il monumento alle vittime italo-americane di 9-11, che si trova nella sala d’entrata del consolato di Park Avenue. L’ho fatto fare io quel monumento”.
Dove ogni hanno si tiene la cerimonia, infatti anche questo sabato 11 settembre.
“Esattamente e si leggeranno i loro nomi”.

Siamo giunti al ventennale e tu hai ricordato i loro nomi ogni anno. Ora c’è più attenzione, qui a New York viene anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden: per ricordare tutte le vittime, non solo quelle italiane, questo memorial che stiamo visitando per te è sufficiente? Sei soddisfatto di quello che si è fatto finora o pensi che si potesse e si possa fare di più?
“Io sono soddisfatto. Ecco qui Bridgitte Esposito. Lucia Crifasi. Lei è una campana. Questa è nata proprio in Italia. Io ho toccato con mano le storie di queste famiglie. Come la famiglia di Angelo Sereno. Non si può, hanno diritto… – Giulio si commuove un attimo mentre guarda i nomi e poi riprende – La tua domanda, scusa, sì io sono soddisfatto, onorato di vedere i nomi dei nostri connazionali qui”.
Cosa dovrebbe dire il presidente Biden, quando arriva qui, cosa ti aspetti dal Presidente degli Stati Uniti a vent’anni dal 9/11?
“Deve promettere che una tragedia del genere non potrà mai più avvenire, che si debba evitare a tutti i costi. Perché si poteva evitare. Otto anni prima dell’11 settembre 2001 c’era stato un altro attentato, qui nel garage…Ma che hanno fatto? Ecco, Michele Lepore. Ora io non ho avuto la possibilità, non posso sapere se questo sia italiano o no. Qui Giorgetti, potrebbe essere italiano o anche francese”.
Francia? Il nome sembra di origine italiana…
“No, io non l’ho potuto mettere perché non c’è nessuno che mi confermava che fosse italiano… Per esempio un altro nome, questo è Gerard. S. Passananti. Perché se io faccio riferimento al primo nome non lo è. Non è tipico della nostra etnia…”

Tornando al discorso di Biden. Secondo te il ritiro dall’Afghanistan a vent’anni, proprio in coincidenza, aiuta affinché la tragedia non si ripeta più o peggiora la situazione?
“Una domanda troppo difficile. Ma d’istinto dico no, non aiuta affatto”.
Cioè tu saresti stato per un ritiro più accorto?
“Si certamente, un ritiro dove si lascia un paese dove si può continuare a creare questi terroristi… Io avrei fatto tutto il possibile… Vedi questo nome, Salvatore Gitto. Spataro. Questa è una storia che ti posso raccontare”.
John Anthony Spataro.
“Il signor Spataro, Giovanni, nato in Italia, in Sicilia, poliziotto. È venuto qui, ha messo al mondo questo ragazzo, che poi si è sposato. Aveva 28 anni. Quando hanno trovato il corpo, dopo 6 mesi, hanno chiamato Giovanni Spataro per dirgli ‘il corpo di tuo figlio è stato trovato’. Allora lui ha detto, dov’è? Ah non te lo possiamo dire. Devi andare dalla moglie. Ma la nuora gli ha negato il luogo della sepoltura del figlio. Mi ha chiamato piangendo, chiedendo come potesse sapere dove fosse sepolto. Io ho chiamato il consolato, ho chiamato qui le autorità della città nessuno mi ha voluto aiutare. Per un motivo di privacy. Perché la moglie ha ottenuto pieno possesso del corpo del marito e né il papà né la mamma…”
Ma il figlio dell’ ex poliziotto Spataro venuto dalla Sicilia, che mestiere faceva?
“Il ragazzo era un broker di Wall Street”.
Il mestiere di tutti queste vittime che hai messo nel libro: cosa facevano questi italiani e italoamericani, in genere?
“Una domanda che mi permette di dimostrare che la nostra etnia si è completamente integrata. Lavoravano nei cambi valuta, nello stock market, lavoravano quasi tutti nella grande finanza. Nelle banche, nelle assicurazioni. Pochi erano nei servizi umili, che io sappia. Cantor Fitzgerald ha perso il 90% dei suoi impiegati, bene l’80% dei suoi impiegati era di origine italiana. Uno dei più grandi broker, capisci? Basta vedere la lista dei nomi dei morti. Italiani e italoamericani. Dal Connecticut. Long Island. Staten Island. New Jersey. Dove Gigi lavorava…”
Quindi questi americani di origine italiana erano in tutti i campi e le professioni. Sappiamo che c’era anche un ristorante, sul top dove magari lavoravano anche li?
“Si ma il ristorante era chiuso. Ancora non avevano aperto perché parliamo della mattina. Gli altri italiani morti non coinvolti nelle finanze potevano essere nel personale di servizio, in portineria, giù. La manutenzione. Il lavoro era enorme. Elettricisti, meccanici, tutti a lavorare per gli ascensori eccetera”.

Arrivi a New York da Napoli nel 1966. Quanti anni avevi e cosa facevi?
“Avevo 25 anni e ho fatto tanti lavori, attualmente ho messo su uno studio dentistico di implantologia, l’ho creato 20 anni fa, e lo sto curando tutt’ora”.
Sei dentista?
“No. Io mi sono risposato e la mia attuale moglie è dentista e prof.ssa alla New York University”.
E quando sei arrivato a NYC che lavoro svolgevi?
“Lavoravo per la Lagomarsino. Una ditta italiana che produceva calcolatori. Quelli meccanici. E loro mi hanno mandato qui perché a New York avevamo una ditta che li distribuiva. Io ero diciamo il tecnico, sono arrivato come tecnico riparatore, dopo tre anni sono diventato manager e dopo 4 anni sono diventato general manager per tutti gli Stati Uniti”.

Il sogno americano per te, molti anni prima dell’11 settembre, si era quindi già avverato?
“Assolutamente sì”.
Ma dopo l’11 settembre hai pensato che non solo il tuo sogno ma che l’America non esistesse più? L’11 settembre hai avuto paura che l’America crollasse?
“Sì. Ho avuto paura. Ho chiamato i miei figli, volevo sapere dove fossero e avevo paura che non fosse solo qui ma che fosse scoppiata una guerra. Aerei che vanno in un palazzo? Non si pensa ad un aereo passeggeri, si pensa ad un aereo militare. Quando poi dopo abbiamo saputo…”
Poi venne qui il presidente George W. Bush a dichiarare tra le macerie del Ground Zero guerra ai terroristi… Poi New York per vent’anni accelererà il suo sviluppo. Tu, nei giorni dell’11 settembre, ti aspettavi che New York si sarebbe poi ripresa così?
“Onestamente no. Il mio pensiero era che andavamo davanti ad una guerra mondiale. Io mi stavo preparando per lasciare gli Stati Uniti con i miei figli e tornare in Italia”.
Avevi così tanta paura?
“Sì. Perché eravamo alle soglie della guerra. Ho pensato, qui scoppia la guerra. E non volevo che i miei figli andassero a morire in guerra”.

I tuoi figli quanti anni avevano nel 2001?
“Erano giovanissimi, avevano tra i 25 e 30 anni”.

Sei arrivato negli USA che avevi 25 anni, nel 1966. Li porti molto bene gli anni, Giulio. Ti ricordi la prima volta che visitasti le torri gemelle?
“Io le ho viste crescere le Twins Towers, perché lavoravo a 4/5 isolati da qua. E dovevo venire ogni giorno da queste parti. I palazzi qua davanti erano tutti uffici, alle spalle andavo anche a Wall Street e in tutti gli uffici attorno c’erano i broker. Il mio compito era di entrare e riparare i calcolatori perché avevano bisogno… Noi riparavamo i calcolatori della Lagomarsini e della Olivetti”.
Ma non erano in concorrenza le due aziende italiane?
“Sì certo erano in concorrenza, ma qui ho dovuto lavorare per tutte e due le ditte. Perché se entravo qui dentro a riparare un calcolatore mi dicevano “ripara anche questo!”. E io va bene lo riparo”.
Quindi lavoravi riparando le macchine di due ditte italiane che conquistavano l’America con i calcolatori.
“Corretto”.

Peccato che poi il business dei computer gli italiani se lo sono fatti scappare…
“Mah, hanno tentato. Lagomarsino tentò andando in Svizzera e producendo dei calcolatori che erano un fallimento. Olivetti ha provato per qualche anno. Anche loro sono falliti”.
Giulio, la tua è un’altra storia simbolo degli italiani in America il cui sogno si è avverato, hai avuto successo. Se dopo questo ventennale del 9/11, volessi mandare un messaggio a tutti quegli italiani che vedono l’America da fuori, dall’Italia o da altri posti nel mondo, tu che cosa vorresti dirgli? Come stanno oggi gli italiani in America che hanno vissuto l’11 settembre, e che poi hanno vissuto la pandemia? All’inizio di questa intervista tu hai detto “io sono un grande estimatore dell’etnia italiana in America”, ecco ma che significa? Perché gli italiani d’America dovrebbero essere secondo te d’esempio agli altri italiani? Perché dovrebbero essere presi in grande considerazione?
“Perché gli italiani, tutti, dall’agricoltore al falegname che sono arrivati qui in America, hanno fatto, costruito questa nazione. Quando si parla di prodotti italiani poi… Ma sai quanti piccoli commercianti ritornando al paese riportavano i prodotti locali e poi qui avevano successo e aiutavano così l’economia italiana. L’ingegno degli italiani è qualcosa di eccezionale”.
Quindi secondo te l’America è ancora predisposta ad accogliere bene gli italiani?
“Sì assolutamente sì, e non ci sono ostacoli. Io ho detto che sarei partito e me ne sarei tornato indietro. Ma alla domanda oggi, se dovessi dire a un mio figlio in Italia se valesse ancora la pena di andare in America, io direi cento volte sì”.
Eppure ancora c’è questo Travel Ban che non fa arrivare dall’Europa. Ecco che vorresti che Biden magari facesse anche in onore dei cittadini europei caduti il giorno del 9-11…
“Dovrebbe eliminarlo il travel ban. Io ho lottato per i primi anni per aumentare la quota dei visti riservati agli italiani, all’epoca avevamo una quota infatti, ma volevamo aumentare le migrazioni degli italiani qui. A Washington incontravo i politici, non ci sono riuscito perché poi la voce piccola del singolo non serve a niente. Però noi eravamo in un momento difficile dell’Italia, negli anni 70 e 80 in cui sì c’era un grande sviluppo, ma anche un’enorme disoccupazione. I nostri ragazzi potevano emigrare qui, ma non li facevano venire. Oggi vengono a studiare qui, vengono i nostri scienziati, vanno a Boston. Quanti italiani che si fanno onore. Qui alla NYU dove mia moglie lavora insegnando implantologia, ci sono ragazzi italiani che vengono dall’Italia per specializzarsi. Noi italiani abbiamo e possiamo dare ancora all’America e a tutto il mondo tantissimo”.

Tu hai vissuto qui a New York l’11 settembre e hai vissuto anche il primo anno terribile della pandemia quando c’è stata tanta paura a New York. Dopo 9/11 NYC si è ripresa. Dopo il covid? Anche questa volta New York ce la farà o questa volta la botta è stata troppo forte?
“No, gli USA e in particolar modo New York hanno delle risorse che sono infinite. Noi ce la faremo, batteremo la pandemia, batteremo tutto e questa nazione risorgerà. Tranquillamente, un’altra volta”.

Ma Napoli non ti manca?
“Napoli mi manca moltissimo, mi manca soprattuto il suo mare, però oggi io ho vissuto qui più di mezzo secolo, e questa è diventata anche la mia patria. Non posso certamente mettere da parte Napoli o l’Italia, non lo faccio. Sono contento che tutti i miei figli abbiano la doppia cittadinanza. I miei nipoti gli ho fatto prendere la cittadinanza italiana. Devono avere questo sentimento dentro di loro. Essere di sangue italiano, non napoletano, ma italiano. Noi siamo un popolo veramente eccezionale. A volte non glielo vogliamo riconoscere, ma non c’è un’altra etnia che ha fatto negli USA quello che hanno fatto gli italiani. Non c’è”.
Abbiamo finito il giro di tutte e due le vasche. Visto centinaia di nomi italiani. Giulio c’è qualcosa che non ti ho chiesto e di cui vorresti ancora parlare?
“Io vorrei chiedere a tutte le autorità di fare un piccolo sacrificio. Va bene la privacy, va bene, nessuno chiede informazioni particolari. Ma chiedere semplicemente se un morto “è italiano o non è italiano?” Ecco vorrei una semplice risposta: lo è o non lo è? Punto”.
Ha collaborato alla stesura di questa lunga intervista Emma Pistarino
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