Questa storia nasce da una scatola di cartone, come quelle che molti emigrati si portavano dietro, vecchie, consunte, ma piene di ricordi. È la storia di due famiglie molto unite che per destini e scelte diverse sono state costrette a separarsi. Una distanza siderale per l’epoca, con una guerra e un oceano in mezzo. Due foto sbiadite ci parlano di un tempo lontano, ma seppure attuale, fatto di privazioni, lontananza, indigenza. Non sono scatti commemorativi, ma istantanee di un vissuto, di due mondi che alla fine non si sono più incontrati. Queste due immagini racchiudono una vicenda che tante volte mia nonna ha raccontato, aggiungendo e sottraendo particolari a suo piacimento, ma con il solito finale dal sapore amaro, poiché rimasto incompiuto.

“In una tiepida mattina di fine estate viene recapitata una lettera da molto, molto lontano. Ci sono timbri e odori stranieri, c’è grande fermento nell’aprirla, nello scorrerla. Arriva dall’America, a redigerla è la sorella Creusa che ha abbandonato tutto precipitosamente, solcando mari tempestosi e assumendosi i rischi di un futuro incerto. Suo marito è morto da tempo, ma alla fine lei e i suoi figli sono riusciti a farcela, a ricostruirsi una vita nel Nuovo Continente.
Eccola seduta fra i nipoti, belli, eleganti, ormai distanti dall’Italia, con cui probabilmente non hanno più legami. Hanno l’aspetto fiero di chi ha lottato, ma nonostante tutto è andato avanti e ha trovato una sua collocazione, una nuova dimensione. Il silenzio pervade la grande cucina, si fa denso, serve per annodare i fili dei ricordi, per far spazio a tante domande, per riuscire a capire se fosse meglio essere partiti o essere rimasti. Nonno Serafino, il fratello, il capostipite della famiglia non ha dubbi: mai avrebbe intrapreso un viaggio così lungo e faticoso e nessuno mai avrebbe potuto abbandonarlo.
Nella lettera una richiesta implicita, non si attendono soltanto notizie, ci si aspetta di essere ricambiati con un’altra fotografia, per capire quanto la distanza abbia corroso i rapporti, cambiato le sembianze. Le cicale attorno cantano, ma in quella casa il silenzio si è fatto ancora più assordante. C’era da chiamare un fotografo, il più bravo ovviamente, per documentare una realtà se possibile migliore di quella vissuta. E alla fine arriva il giorno, fu un giorno di festa soprattutto per Mila, la più piccola, che per l’occasione riuscì a saltare la scuola.

L’intera famiglia si ritrova così riunita sotto un sole impertinente, sulla corte di casa, fra galline e pulcini che razzolano indisturbati e il vento che danza tra gli ulivi sollevando alcuni cumuli di polvere. Furono realizzati diversi scatti, ogni volta qualcosa o qualcuno non era al posto giusto. Pietro sudava e a tratti imprecava sotto il cappello di feltro e il suo vestito buono, l’unico, ma davvero troppo pesante per quella stagione. Vennero acquistati anche dei fiori recisi per impreziosire il quadretto, come a voler imprimere un segno di freschezza a quella scena.
Nessuno si accorse però che a nonno Serafino mancavano le scarpe, troppo tardi per metterle, o forse troppo tardi per comprarle. In un contesto contadino, fatto di solidità e robustezza, le scarpe potevano essere un accessorio inutile, quanto superfluo. In breve tempo quelle immagini vennero impresse su carta e consegnate a chi le aveva commissionate. Non c’erano specchi dentro la casa e queste foto rimandarono un riflesso del tutto inaspettato. Non erano bastati dei piccoli accorgimenti per mitigare una realtà difficile da vivere e improvvisamente tanto difficile da accettare. La differenza fra le pieghe di questa famiglia divisa fra i due mondi apparve improvvisamente troppo stridente. Forse per timore, per dignità o per vergogna le foto finirono inevitabilmente in fondo a un cassetto e non vennero mai più spedite”.