Un altro grande traguardo professionale ed accademico per Katia Passerini. Dal 5 giugno 2020 Provost e Vice Presidente Esecutivo alla Seton Hall University (New Jersey). Prima della Seton Hall è stata Preside della Facoltà degli Studi Professionali alla St. John’s, un’ università americana a New York che ha sedi anche a Parigi e Roma. Ha lavorato alla Booz Allen Hamilton (a Milano, Roma, Torino) ed alla Banca Mondiale (a Washington DC). Laureata in scienze politiche alla LUISS-Guido Carli, in economia e commercio all’ Università di Roma II- Tor Vergata). Ha completato master (MBA) e dottorato alla George Washington University, Washington DC.
Provost alla Seton Hall University? Cosa significa. Quali ruoli svolge un Provost?
“Sono il leader accademico. La ricerca e l’insegnamento sono sotto la mia direzione e, tramite il Provost, sotto la direzione del Presidente dell’Università. In pratica, quello che io definisco le parti più interessanti del lavoro universitario: la didattica e la ricerca scientifica”.
Come spiega la grande emorragia di capitale umano dall’Italia verso altre nazioni?
“I motivi sono molteplici e tra questi possiamo annoverare in modo sommario i seguenti:
-in primo luogo l’incertezza sul futuro . Cresce ogni giorno in questi giovani il timore di non avere la possibilità di ottenere in Patria un lavoro sicuro e corrispondente all’impegno profuso in anni di studio e di sacrifici quotidiani per raggiungere una qualifica culturale;
– secondariamente la verifica continua di una perdurante crisi politica ed economica che rischia di bloccare la speranza in un domani migliore non fa percepire segni di crescita sia nel breve che nel lungo termine.
– in terzo luogo la percezione del crescente divario tra la formazione scolastica ricevuta e le mutevoli esigenze del mondo del lavoro e della produzione: si richiedono nuovi saperi e nuove abilità che il sistema della formazione attualmente non riesce a garantire.
Una delle ragioni principali è la mancanza di fondi per la ricerca e l’incertezza di continuità dei già modesti finanziamenti verso il comparto scientifico.
Un’altra motivazione, non secondaria, potrebbe essere l’assenza di riconoscimento obiettivo della meritocrazia; per lo più le assunzioni ed i riconoscimenti professionali, attualmente, non si fondano esclusivamente sull’oggettivo merito, ma su altre logiche talvolta assai discutibili. In genere, per essere assunti in America, basta solo inviare un curriculum.
La elevata e crescente tassazione per ogni esercizio produttivo e la vessatoria lungaggine burocratica rallentano fortemente ed inesorabilmente il desiderio di mettersi in gioco e di programmare un diverso e migliore futuro. Ci vogliono pochi giorni e meno di duecento dollari per aprire una nuova piccola impresa in America. La gente ci prova, e se non riesce, le leggi sulla bancarotta sono a tempo limitato. Si ricomincia, e ci si riprova fino a quando si riesce ad emergere.
A queste ragioni di carattere economico e sociale potremmo aggiungere una considerazione altrettanto importante e di pertinenza culturale ed umana: nelle persone in generale e nei giovani in particolare e’ innato e predominante un atavico e cosiddetto “Spirito Ulissico” e cioè una irrinunciabile esigenza di scoperta del nuovo unita al desiderio di viaggiare e di conoscere nuovi mondi e nuovi stili di vita che ci permettano di sognare e di assaporare nuove e più attraenti esperienze, nuove ragioni e nuovi stili di vita”.
Queste eccellenze italiane all’estero possono essere coinvolte -secondo Lei- in un grande piano di cooperazione internazionale verso l’Italia? In quale maniera?
“Decisamente sì, a patto che il Nostro Paese sia in grado di acquisirle in una mutua collaborazione attiva con le Nazioni nelle quali ai settore della ricerca vengano erogati cospicui finanziamenti che promuovono nuove professionalità ed eccellenze.
Un esempio positivo di questo possiamo ritrovarlo anche nell’attuale “Crisi Pandemica”, in cui il ruolo dei ricercatori italiani del settore medico-sanitario ha avuto riconoscimenti internazionali ed ha permesso una interazione positiva con la maggior parte dei Paesi sviluppati.
Studiosi e scienziati italiani dislocati nel mondo, permettono al nostro Paese di superare condizionamenti e limiti aprendo spazi e possibilità nuove ed inesplorate, anche grazie ad una informazione generalizzata e continua permette in tempi reali di acquisire nuovi saperi e nuove opportunità di sviluppo rapido e concreto in ogni settore dello scibile umano”.
Quali rapporti accademici ha mantenuto con l’Italia?
“Frequenti occasioni di interazioni culturali (Convegni, Scambi culturali. etc., mi hanno permesso di incontrare vari esponenti di prestigiose Università italiane. Continuo a lavorare su progetti di collaborazione con il Politecnico di Torino, la Cattolica (a Roma e a Milano) ed altre. E’ necessario andare oltre gli scambi culturali e continuare con gli scambi di ricerca”.
Come valuta l’istruzione universitaria americana? Che consigli darebbe ad un/una giovane italiana che volesse proseguire i suoi studi in Italia? In America?
“Come è ben noto e come diffusamente riconosciuto, la formazione italiana è ampia e completa, soprattutto nelle discipline umanistiche e scientifiche. C’è da sottolineare che, lo studio del greco e del latino, largamente diffuso nella cultura italiana rimane il cardine base di ogni vero sapere e la premessa indispensabile per una formazione integrale della persona oltre ad essere un bagaglio a supporto di ogni altro apprendimento. In sintesi si potrebbe confermare la solida opinione che la formazione generale di base è opportuno acquisirla in Italia e le specializzazioni nei Paesi che spendono più direttamente nella ricerca e nella sperimentazione e tra questi decisamente ci sono gli Stati Uniti d’America”.
Dagli USA quali visioni ha maturato sull’Italia?
“Ritengo che l’Italia abbia una pluralità di giovani impegnati e competenti che, se opportunamente stimolati e supportati da adeguati centri di ricerca ad hoc, potrebbero decisamente consolidare l’immagine e la sostanza di eccellenza del Nostro Paese.
L’auspicio è quello che anche si reinvesta in maniera nuova e molto più organica nella Ricerca e negli Scambi Culturali e nelle Collaborazioni Internazionali. La mia Università è certamente interessata a proposte di sviluppo e possibilità di scambi e collaborazioni temporanee e permanenti, soprattuto considerando la nostra connessione non solo accademica, ma anche religiosa, vista la nostra natura di Università Cattolica e Diocesana. Mi piacerebbe esplorare possibilità di una sede nel territorio nazionale naturalmente, sperando che ci sia il supporto locale a queste esplorazioni, senza perdersi in perenni giri amministrativi e burocratici. Noi siamo pronti a viaggiare come Ulisse, alla ricerca di progetti di sviluppo comune”.