Tra le innumerevoli problematiche causate dalla pandemia da Covid-19, ce n’è una di cui si sta parlando poco: la condizione degli expat italiani negli Stati Uniti. A causa del Travel ban istituito dall’ex presidente Donald Trump nel marzo 2020 con lo scopo di limitare i contagi, e da allora mai revocato, migliaia di italiani si trovano in un limbo che pare non avere mai fine. Le uniche persone autorizzate a entrare sul suolo degli Usa, infatti, sono i cittadini americani e i detentori della Green Card. Restano così esclusi tutti i possessori di visti lavorativi, dei quali le Istituzioni paiono essersi completamente dimenticate. In tale condizione si trovano molti lavoratori italiani ed europei, che vedono negato il loro diritto di rimettere piede nella nazione in cui hanno famiglia, pagano le tasse, hanno investito capitali e aperto attività.
Ma non finisce qua: ad aumentare il senso di frustrazione ci ha pensato la decisione dell’Europa di aprire i confini, dallo scorso 16 maggio 2021, ai turisti americani vaccinati o che presentano un tampone negativo. Una contraddizione che rende ancor più incomprensibile la drammatica situazione di chi non può tornare a casa propria in America. Gli accessi negli Stati Uniti dai Paesi europei dell’area Schengen – in cui è garantita la libera circolazione delle persone, senza frontiere e passaporti – sono, infatti, ancora oggi, negati sia ai turisti che ai lavoratori possessori di visto. Un altro punto critico delle scelte prese, che considera sullo stesso piano i vacanzieri e i Visa holders.

Chi realmente è toccato da questa privazione di tutele è la categoria dei lavoratori: persone bloccate negli Usa senza poter tornare in Italia per paura di non poter più rientrare; persone che aspettano da tempo il rinnovo del proprio visto in Ambasciata a Roma o nei consolati tra Milano, Firenze e Napoli; persone che per urgenti motivi familiari sono ritornate in Italia e ora non riescono più a varcare il confine degli Stati Unti.
Le storie di expat italiani che vedono negati i propri diritti e che rischiano anche il posto di lavoro sono infinite. Sono studenti, ricercatori, medici, manager, investitori, imprenditori, impiegati e molti altri, che stanno vivendo l’incubo americano. Le loro storie, seppur differenti per vari aspetti, si intrecciano in trame di elementi comuni. Come Paolo V., il quale, pur gestendo uno studio fotografico a Los Angeles da più di 10 anni e possedendo un visto in corso di validità, si trova costretto a Roma. Lo scorso 21 febbraio 2021, infatti, dopo aver appreso della morte del fratello, è tornato dalla sua famiglia per supportarla in un momento tanto difficile e non è più riuscito a ripartire. Nonostante le richieste inoltrate all’Ambasciata, ancora oggi non ha ricevuto alcun certificato per poter rientrare liberamente nel territorio americano. Ma non solo: c’è chi come Rebecca, Luigi, Dalila e molti altri, non torna dalla propria famiglia da prima della pandemia, per paura di non riuscire a rientrare.

Sono tante le situazioni di disagio che questa condizione ha creato, sia dal punto di vista economico che emotivo. Alessandra e Denis, ad esempio, sono due neogenitori che non sono ancora riusciti a far conoscere nonni e figli, a separarli un oceano di acqua e incertezze. C’è poi Valeria, che da un anno non rientra a Chicago, ma ha dovuto comunque continuare a sostenere le spese dell’affitto. Raffaele, Marcello e Gaia sono invece stagisti con Visa J1, impossibilitati a lasciare gli Stati Uniti per timore di non riuscire a rientrare in tempo per non perdere la documentazione per il soggiorno.
E infine, ci sono io, Isabel. Dal 2015 vivo e lavoro come Sales Manager per un’azienda di moda italiana a New York, di cui sono unica rappresentante della collezione donna in America. Sono regolare detentrice di visto lavorativo, che scade a luglio 2021 e, proprio per evitare di non poter poi rientrare, non torno in Italia dai miei genitori da un anno. Essere figlia unica fa soffrire ancor di più la lontananza dalla mia famiglia.

A dirla tutta, un escamotage per rientrare negli Stati Uniti c’è. Trascorrendo 14 giorni al di fuori dell’area Schengen, si può varcare il confine americano sia con il visto lavorativo che con quello turistico. Questo vuol dire che chi dispone di tempo e risorse economiche può alloggiare per due settimane, ad esempio, in Croazia o in Turchia e poi imbarcarsi tranquillamente su un volo per gli Usa. Si tratta però, sostanzialmente, di uno specchio per le allodole, in quanto solo i più privilegiati possono permettersi tale soluzione. C’è anche da dire che un dipendente americano, mediamente, ha tra i 5 e i 15 giorni di ferie l’anno, il che rende ancor più remota la possibilità di spendere 14 giorni in un altro paese per poter poi rincasare.
A questo punto sorge un’ulteriore domanda: come mai il rientro dall’Italia, dove ad oggi ci sono meno di 1000 casi di Covid-19 al giorno, è negato, ma si può invece soggiornare liberamente in Messico, in cui i contagi quotidiani sono 5000? È lecito, dunque, supporre che il Travel ban non sia solo uno strumento posto in essere per limitare i contagi, ma anche una misura con finalità politiche.
Una piccola luce in mezzo al buio si intravede grazie alla deputata della Repubblica italiana Fucsia Nissoli Fitzgerald, la quale rappresenta la circoscrizione dell’America settentrionale e centrale. L’Onorevole sta lavorando da mesi per ottenere la rimozione del Travel ban, portando l’attenzione del problema agli organi americani di competenza. La speranza è che, grazie al suo aiuto, il ban venga rimosso il prima possibile o che quantomeno sia eliminato per i detentori di visto lavorativo.
Essere un expat non è mai semplice, neppure in tempi normali. La nostalgia di casa è però tenuta a bada dalla consapevolezza di potersi muovere liberamente da un continente all’altro. Il Travel ban ha capovolto questa certezza, tracciando una linea netta e invalicabile tra l’Italia degli affetti e delle origini e l’America, terra di realizzazione lavorativa. Neppure con l’avanzare delle vaccinazioni anti Covid-19 la situazione è cambiata e i diritti dei lavoratori italiani espatriati negli Stati Uniti continuano a essere calpestati.