Pietro Bonanno, di mamma americana e papà siciliano, è l’attuale Managing Director dell’Italian Community Services di San Francisco, un’associazione storica che si occupa di sostenere e informare la comunità italiana e italo-americana della Bay Area e che durante la pandemia ha avuto un ruolo fondamentale nell’aiutare tanti giovani e meno giovani che hanno perso lavoro o che si sono trovati in una condizione di forte solitudine ed isolamento.

Pietro, tu sei un orgoglioso siciliano ma anche un cittadino del mondo, ci racconti un po’ la tua storia?
“Sono nato in Sicilia da mamma americana e papà palermitano, quindi sono sempre cresciuto in una famiglia bilingue con un piede in Italia ed un piede nella Bay Area. Quando avevo nove anni la mia famiglia si è trasferita a San Francisco dove sono rimasto fino al liceo, mentre per gli studi universitari sono andato in Connecticut dove ho studiato Relazioni Internazionali, Letteratura Italiana ed Antropologia. Appena uscito dall’università ho lavorato per il corpo diplomatico americano svolgendo il ruolo di consulente politico presso l’Ambasciata Americana di Roma. Dopo questa esperienza mi sono trasferito a Milano per ottenere un MBA presso la SDA Bocconi (Scuola Direzione Aziendale). Tornato nella Bay Area ho sentito la vocazione di occuparmi del sociale e così ho avuto la possibilità di entrare nell’Italian Community Services e iniziare questa bellissima avventura al servizio della mia comunità”.
Quando è nato l’Italian Community Services e di cosa si occupa?
“ICS è nata nel 1916 ed è la Fondazione italiana più antica nel Nord America. La Fondazione è nata con l’obbiettivo di sostenere ed informare gli italiani ed italo-americani nella Bay Area. Da più di cento anni diamo un sostegno finanziario alle scuole che hanno un programma di lingua e cultura italiana e abbiamo due rami molto attivi. Il primo si dedica a dare un sopporto economico a chi è in difficoltà finanziaria, mentre il secondo si dedica ad aiutare a 360 gradi gli anziani che hanno bisogno di “care coordination”, cioè di un sostegno continuo. Oltre a questo organizziamo molte attività settimanali come pasti, presentazioni, gite per gli over 60. Con la pandemia ovviamente gli eventi e le gite si sono interrotte, ma abbiamo organizzato anche consegna di cesti natalizi e pasti per i più anziani”.
Lavorate anche con il Consolato e le altre associazioni italiane. Quali sono gli eventi che più hanno avuto successo?
“Con La Scuola International abbiamo organizzato una serata con il CEO di Apple, Luca Maestri e con l’ex numero due di Amazon Diego Piacentini. L’obbiettivo dell’evento era di far conoscere ad un pubblico più ampio le nostre due organizzazioni (ICS e La Scuola) e dare l’opportunità a due leader italiani nel settore del tech americano di raccontare la loro storia personale di emigranti che si sono trasferiti dall’Italia alla Silicon Valley. Un’altra iniziativa molto bella è stata quella che abbiamo fatto con gli studenti della quinta elementare e della prima media della Scuola italiana di San Francisco. All’inizio della pandemia sono stati assegnati agli studenti dei nominativi di persone over 70 anni e per quattro mesi si sono scambiati lettere via posta, raccontandosi le loro storie. È stato davvero molto bello vedere generazioni diverse, al di fuori di legami familiari, interagire e conoscersi”.

L’ICS ha a che fare con diverse generazioni di immigrati italiani, quali sono i nuovi problemi che avete dovuto affrontare durante questi mesi di pandemia?
“La generazione dei 30-40enni che lavorava nella ristorazione è in grave difficoltà. Abbiamo dovuto affrontare questo problema aprendo a loro il nostro programma di assistenza finanziaria. Adesso stiamo lanciando un programma di training, in modo da offrire a queste persone nuovi “skill”, cioè nuove competenze, in modo da poter intraprendere in futuro delle carriere diverse. Abbiamo anche visto che molte persone più avanti con l’età sono rimaste completamente sole, spaventate dal contagio e quindi senza neanche un circolo di amicizie e parenti sui quali poter contare. Per combattere questo grave problema abbiamo attivato 50 volontari che chiamano ogni settimana più di 250 persone. Parlandoci spesso abbiamo avuto modo di capire ancora meglio quali fossero i loro bisogni e così abbiamo potuto offrire altri servizi aggiuntivi come consegne gratuite di farmaci, di cibo, “care packages” o di materiale informativo sulla pandemia e su come tutelarsi. Ma non solo, abbiamo fatto in modo che ricevessero visite volte a controllare il loro benessere e qualità di vita, paghiamo per i loro Vital-Link (un prodotto medico che allerta il medico se la persona cade oppure si sente male) ed adesso stiamo provando a fornire tablet specificatamente ideati per gli over 70, con l’obbiettivo di poter connettere queste persone con i loro familiari, parenti e amici che non vedono da 11 mesi”.

Avete quindi dovuto aiutare tanti giovani che hanno perso il lavoro e ogni tipo di sussidio, oltre ai senior, secondo te questo allargamento della base dell’associazione potrà continuare anche dopo la pandemia?
“Assolutamente sì e sicuramente ci saranno anche altri servizi che potremmo fornire. Col tempo approfondiremo sempre meglio i bisogni della comunità e delle diverse generazioni che la compongono. L’associazione si trova nel cuore del quartiere di North Beach, dove ci sono ristoranti italiani e negozi che vendono artigianato o prodotti alimentari italiani”.
Come ha cambiato il volto del quartiere la pandemia e in generale come vedi il futuro della storica “little Italy” di San Francisco?
“Il quartiere è continuamente in evoluzione. Adesso tutte le attività soffrono per via del virus e le regole che penalizzano il commercio, ma sono fiducioso che si riprenderà. Siamo fortunati, molto fortunati perché i prodotti italiani sono sempre molto ricercati e amati qui a San Francisco”.
Hai già pensato a come ripartire appena si potranno organizzare nuovamente eventi di persona?
“Secondo me dovremmo fornire attività giornaliere visto che abbiamo più che quintuplicato il numero di persone che stiamo aiutando. Questa volta usufruiremo maggiormente del teatro Fugazi, uno spazio storico che ha ospitato uno spettacolo molto famoso per decenni e che si trova all’interno del nostro palazzo”.

Pensi che ci sarà un rinnovato entusiasmo nel potersi riabbracciare e rivedere o credi che le persone, soprattutto quelle più anziane, potranno rimanere ancora isolate?
“Secondo me c’è ancora tanta paura e le persone non sono pronte, anche dopo essere state vaccinate, a correre il rischio di tornare ad abbracciarsi. Anche se adesso, forse molto più di prima, abbiamo tutti bisogno di contatto umano”.
Cosa ami di più del tuo lavoro?
“Amo sapere che abbiamo potuto fare la differenza nella vita di molti che, non sapendo a chi rivolgersi, spesso vicini alla disperazione, si sono affidati a noi”.
Quali sono le cose che più mancano agli italiani che emigrano negli USA, quelle di cui sentono più nostalgia?
“Il senso di comunità e di famiglia che qui non esiste. La vita è troppo frenetica e soprattutto, mirata alla carriera quindi, purtroppo, spesso le connessioni e le “amicizie” si basano su come una persona può aiutarti e viceversa”.
Come ci si può iscrivere all’ Italian Community Services e come si può contribuire ai vostri progetti o semplicemente seguirvi sui social?
“Mi piacerebbe che sempre più persone ci possano seguire sui social. Basta andare sul nostro sito www.italiancs.com e trovare le nostre pagine su FB, IN, LinkedIn, Twitter e Youtube. Se qualcuno volesse anche aiutarci come volontario sarà sempre il benvenuto. Consiglio a tutti questa esperienza perché aiutare gli altri ci arricchisce moltissimo, il bene che si fa torna sempre indietro facendoci anche capire più cose di noi stessi e aiutandoci a mettere tutto nella giusta prospettiva”.