Sono passati 93 anni e mai come quest’anno è utile e necessario ricordare la figura di due italiani che furono giustiziati negli Stati Uniti per motivi, quasi esclusivamente, razziali. Quest’anno abbiamo assistito a durissime proteste come risposta alla brutalità della polizia che avevano portato alla morte di un cittadino afroamericano, George Floyd. Proteste che dal Minnesota si sono diffuse in tutti gli Stati Uniti e poi in varie parti del mondo. Quell’episodio di Minneapolis ha reso più che mai evidenti le disuguaglianze presenti nella società americana mostrando anche la violenza (razzista) che le tiene in piedi.
Negli anni 20 essere italiani significava appartenere ai gradini più bassi della società
Negli anni 20 oggetto di questa discriminazione, violenta, oltre che gli afroamericani, erano gli italiani. Essere italiani significava appartenere ai gradini più bassi della società civile; essere guardati con sospetto perché assimilabili alla mafia e alle organizzazioni criminali. Oggi, in parte, questo pregiudizio permane ma nei primi anni del secolo quel preconcetto poteva portare degli innocenti alla sedia elettrica. Fu quello che accadde a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti due italoamericani (il primo pugliese e il secondo piemontese) che furono incolpati ingiustamente di un reato mai commesso. Il 5 maggio 1920 vennero arrestati e accusati di una rapina avvenuta a South Braintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima, in cui erano stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere del calzaturificio «Slater and Morrill» e una guardia giurata.
Il sistema della propaganda razzista anti italiana
Nick e Bart erano due soggetti che apparivano perfetti da dare in pasto all’opinione pubblica e al sistema della propaganda razzista anti italiana di quegli anni. Erano immigrati italiani, considerati reietti, politicamente scomodi e con difficoltà nel parlare la lingua inglese. Nonostante contro di loro non c’era nessuna prova certa, ma addirittura la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che aveva ammesso di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti, dopo tre processi, i due italiani vennero condannati a morte nel 1921.
Le mobilitazioni internazionali per salvare la vita a Sacco e Vanzetti
A nulla valsero le mobilitazioni internazionali in favore dei due italoamericani Sacco e Vanzetti. Nel nulla caddero pure gli appelli di intellettuali e premi Nobel (George Bernard Shaw, Bertrand Russell, Albert Einstein, Dorothy Parker, Edna St. Vincent Millay, John Dewey, John Dos Passos, Upton Sinclair, H. G. Wells, Arturo Giovannitti, Anatole France) che chiedevano a gran voce la liberazione dei due. Finanche il governo fascista italiano si spese per Sacco e Vanzetti. Mussolini, nonostante i due giovani perseguissero ideali politici anarchici e socialisti, chiese più volte al governo statunitense di intervenire per ottenere una revisione del processo e per salvare la vita dei due condannati a morte.

Una riabilitazione tardiva
Il 23 agosto 1927, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham, furono fatti sedere sulla sedia elettrica e giustiziati per un duplice omicidio che non avevano commesso. “Il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi […] con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”. Con queste parole, 50 anni dopo, il 23 agosto del 1977, il governatore del Massachusetts, Michael s. Dukakis, riabilitò la memoria dei due sfortunati italoamericani chiedendo scusa per l’errore giudiziario commesso. Quelle parole sono ancora attuali e rappresentano ancora un monito anche oggi.
La vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti è stata raccontata in un film del 1971 diretto da Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté e con la splendida colonna sonora, “Here’s to you, Nicolas and Bart”, di Joan Baez ed Ennio Morricone.
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