Questa puntata di “American Dream, Italian Way” è stata realizzata grazie al sostegno di Associazione Culturale Italiana NY.
A New York capita spesso di incontrare italiani di successo. Italiani che hanno “realizzato” il sogno americano. Quando li incontri, molti di questi italiani, hai come la sensazione che New York li abbia cambiati, li abbia “induriti”. Insomma come se il prezzo pagato per il loro successo sia stato anche quello di perdere molto di quell’animo tanto speranzoso quanto timoroso di quando erano arrivati. Te ne accorgi, si atteggiano magari troppo pieni di sé, insomma come se aver successo a New York imponga di sfoggiare una corazza di invincibilità.
Quando incontriamo invece Joseph Meccariello, un uomo che da anni si gode il successo della sua MECC, l’azienda di costruzioni che ha fondato quasi quarant’anni fa a New York specializzata negli scavi delle strade dove passano tutti i tubi elettrici, del gas, telefonici della metropoli, ci colpisce per quel suo sorriso caloroso con il quale ci accoglie negli uffici della sua impresa nel Queens. Bastano due minuti con il Cavaliere Meccariello, per capire che il successo e la conseguente ricchezza, in questo caso, non gli hanno scalfito quel bonario carattere meridionale: Joe tratta tutti da “paesano”, senza darsi delle arie.
Giuseppe Meccariello, nato ad Airola, provincia di Benevento, arriva a New York nel 1968 a 21 anni. In Italia, un principio di studi da architetto e poi tre anni nell’aviazione militare. Giovanissimo sposa, sempre in Italia, Clementina, la ragazza del cuore con cui era cresciuto fin da bambino, che avendo i parenti stretti in America gli propone subito il grande salto a New York.
Siamo andati a trovarlo al lavoro in azienda, nel Queens. Nel suo ufficio le immagini della famiglia in Italia, il golfo di Napoli e anche quelle del suo successo in America: notiamo l’hobby delle auto sportive, Ferrari e Lamborghini d’epoca e nuovissime, che Meccariello non solo colleziona, ma guida in circuiti da corsa sparsi nel Nord America. Meccariello è anche molto attivo nella comunità e ha, per esempio, rilanciato anni fa la San Pasquale Society, organizzazione italoamericana di Ozone Park, Queens, fondata nel 1907 e che alla sua guida ha ritrovato linfa per continuare nelle sue attività associative e benefiche.
In questa lunga conversazione con Meccariello, in cui si capisce come si può realizzare il sogno americano rimanendo sempre italiani, restiamo colpiti da come Joseph alterni così bene l’italiano e l’inglese, senza eccedere o confondere l’interlocutore. E così Joe ci appare come un italoamericano di successo che però non hai mai lasciato la nuova patria prendere il sopravvento su quella di nascita, riuscendo miracolosamente a farle convivere insieme, fin dall’utilizzo delle lingue, in armonia e completezza.
Iniziamo con Joseph che ci racconta come dall’Italia arrivò in America:
“In realtà lasciai casa mia, in Campania, che avevo 14 anni. A casa eravamo 4 fratelli e due sorelle. Andai a Torino, dove viveva una mia sorella sposata e io andai per studiare, volevo diventare architetto. Poi feci la domanda da volontario nell’aeronautica italiana. Allora andai a Piacenza, dove ci restai quasi 3 anni. Ero già fidanzato, con la mia ragazza ci conoscevamo da bambini, dai tempi della scuola elementare. Quella bambina tutt’ora è mia moglie. Alla fine degli anni Sessanta, lei venne qui a New York per visitare suo fratello e mi scrisse una lettera mentre ero a Piacenza: ‘Guarda, se tu lasci l’aeronautica, qui ti piacerà’. Era il 1967”.
Siamo alla fine degli anni ’60 quindi. Joseph arriva a New York l’11 settembre del ’68.
“Decisi di lasciare nell’anno ’68, mi congedai a marzo, lei tornò in Italia, ci sposammo a maggio ad Airola, provincia di Benevento. Partimmo e arrivai qui a New York l’11 settembre. Proprio il 9/11, quello che poi diventerà il giorno delle Torri. Arrivammo qui con la nave, la Michelangelo. Scesi a New York un po’ impaurito, ero ancora un ragazzo… Non eravamo soli, ci venne a prendere il cugino di mia moglie, una mia cugina… Ed eccoci in America, avevo 21 anni. Mia moglie aveva affittato un appartamentino dallo zio, che ci faceva pagare poco”.
Dove? Al Queens?
“Sempre Queens, sempre qui, nella zona. Allora io volevo continuare a studiare. Non avevo finito gli studi di architetto, mi mancava un anno. Pensai, ‘Vado in America e me lo prendo là’. Invece… Qui mi hanno chiesto di fare 4 anni di college ma ci volevano soldi e chi me li dava questi soldi?”.
Già, c’era anche l’affitto da pagare…
“Allora cominciai a lavorare presso un’azienda di costruzioni come aiutante architetto, ma non mi piaceva perché quello che mi dava molto fastidio era la lingua, perché non capivo e io sono un tipo molto sensibile. Se non capisco una persona, devo domandare subito a qualcuno ‘ma quello che ha detto?’ Allora dissi a mia moglie: ‘Guarda, facciamo così. Mi do un anno di tempo. Se io in un anno non riesco a farmi capire e capire loro, torniamo in Italia’. Mia moglie mi disse, ‘Vabbè, come vuoi tu’. Allora cominciai, mi iscrissi a una scuola solo per la lingua. La mia era un’ossessione; non dormivo di notte se qualcuno mi parlava e io non capivo una parola. Dovevo domandare sempre cosa quella parola significasse. Ma dopo un anno parlavo inglese e leggevo inglese”.
Mentre Joseph comincia a capire l’inglese, cerca anche di conoscere New York.
“E così, dopo un anno, Dio volle che cominciai a capire questa lingua inglese, e cominciai a girare la città. Comprai una macchina vecchia solo per girare, solo per imparare a orientarmi. Quando, il giorno dell’arrivo con la nave, passammo sotto il Verrazzano Bridge, ricordo che dissi a me stesso: ‘Madonna mia, quando imparerò a girare questa metropoli?’ Perché quando si arriva da lì si vede tutta New York, ed è enorme…”
New York, così grande da far paura?
“Sì, sì, venendo con la nave, passando sotto il Verrazzano, da sopra la Michelangelo, mi ricordo come se fosse ieri, vedevi tutto, tutto il panorama. Uno viene da un paesino di 9 mila abitanti dall’Italia, arrivi qua e tutto appare così enorme. Cominciò così. Dopo che andavo a scuola la sera, lavoravo ma era un lavoro duro, fisico, nelle costruzioni…. Non avevo il fisico adatto, insomma sentivo che non potevo durare a lungo così”.
Joseph lavora e intanto fa tante amicizie e contatti.
“Allora parlando e parlando, un mio amico, Jack, già anziano e con molta esperienza, che aveva una piccola azienda, mi propose di diventare suo partner. Accettai, e così cominciai a conoscere molta gente nel ramo delle costruzioni con la città. Feci molti amici, e poi ad un certo punto dissi: ‘Signori, io voglio cominciare un’azienda per conto mio”.
Mettersi in proprio a New York. Nel campo degli appalti per la città. Un bel rischio, quanto calcolato?
“Quando iniziai la mia azienda, rimasi con in banca $10. Dissi a mia moglie, ‘Non ti mettere paura’”.
Solo dieci dollari? Si narra che Generoso Pope, diventato uno degli uomini più ricchi d’America costruendo nei primi del Novecento mezza Manhattan, quando arrivò dalla Campania a New York avesse in tasca solo 6 dollari…
“Io in tasca ne avevo solo 40 di dollari quando arrivai a New York e me li presero subito, lo stesso giorno. Al porto, quando scendemmo dalla nave, mentre si portava i bagagli…. C’erano quelli che scaricano, che mi dissero in dialetto, ‘Che porti la dentro? Devo vedere, devo vedere, sennò qui rimani fino a domani.’ Io ho detto, “Apri, quello che trovi piglia pure, che mi’interessa a me?’ Quelli invece risposero: ‘No, se c’hai i soldi…’. Così, gli abbiamo dato i 40 dollari, tutto quello che avevo”.
Hai dovuto dare $40 per che cosa?
“Per non aprire le valigie”.
Per non aprire le valigie dove? Alla dogana?
“Alla dogana, alla dogana. Al porto di New York”.
Per non farsi aprire le valigie, uno doveva pagare?
“Loro vivevano così. Per anni è stato così”.
Ma erano ufficiali della dogana americana a chiedere soldi?
“Gli ufficiali no, stavano dietro…. Erano gli operai che ti chiedevano.”
Capito, c’era molta corruzione …. E quindi il primo impatto con gli Stati Uniti è stato forte.
“Subito, già. Quando arrivai qui ero già a zero, con le tasche vuote”.
E quando hai deciso dopo di fare il ‘salto’, di metterti in proprio, ti sei ritrovato di nuovo senza soldi, avevi solo $10 hai detto…
“No, un momento. Quando avevo deciso, avevo messo da parte 4-5 mila dollari. Ma con quelli avevo comprato un po’ di equipment, un paio di piccoli camion e di altro materiali per partire. E alla fine mi erano rimasti 10 dollari”.
E tua moglie cosa ti disse?
“‘E mo’ come facimmo?’ E io risposi: ‘Tranquilla, non ti preoccupare. Se non ce la facciamo, c’ho gli amici, mi faranno un prestito…’ Comunque, grazie a Dio, cominciai ad appaltare i primi lavori, con le conoscenze che avevo. Cercai subito di pigliarne uno. Il primo appalto, rush, rush, rush ed era per $90 mila. Chi l’ha vinto? L’ho vinto io!”.
Per $90 mila dollari?
“Sì, e di notte non dormivo più. Io avevo vinto io per $90 mila!. Siamo ora nel 1985, l’anno di nascita della MECC Construction. Ecco qui in ufficio ho incorniciato il primo check ricevuto da Con Edison. Il primo check di $8 mila dollari”.
Otto mila dollari! Che bella sensazione deve essere stata ricevere quel primo assegno per il primo appalto! La prima volta che Con Edison ti pagava!
“Quel mio primo check, quando l’ho visto arrivare, ho detto a mia moglie: ‘Vai tranquilla che qui in America ci possiamo restare’”.
E i soldi arrivavano puntuali? Non è come in Italia, che invece si aspetta mesi, anche anni…
“Qua, no, assolutamente mai, con il lavoro che faccio io, ogni settimana arrivano i soldi, perché noi paghiamo gli operai ogni mercoledi. No, non è come in Italia…”
Bene, siamo nel 1985 adesso, inizia questa avventura per prendere gli appalti della città, si prendono con la Con Edison, con le aziende di New York che tengono su l’energia in questa città. Ma come facevi a vincerli questi appalti?
“E certo, il lavoro che faccio io, se lo posso spiegare adesso…”
Sì, vogliamo sapere come facevi a vincere gli appalti.
“Allora, cominciai con 7-8 persone. Questo ufficio non c’era, ero in affitto. Poi questo, dopo due anni lo comprai. Il primo anno – perché allora facevano i contratti annuali – la Con Edison metteva in gara il contratto annuale. Lo appaltavi, firmavi il contratto, e tu per un anno, tutti i contratti che uscivano nella zona erano i tuoi. Io, in quell’anno, vinsi il primo grande contratto. Era $1 milione e duecento mila…”
Il primo contratto, $1 milione e duecento mila? Ma non avevi paura di sbagliare? E se poi per fare quel lavoro ti fosse costato $2 milioni? Come capivi subito che saresti riuscito a completare il lavoro ricavandone un guadagno?
“Il lavoro si appaltava per ogni item, tutto. Per esempio, io faccio questo bicchiere per $9, questo qui per $8, questo per $6. L’appaltavi per item. Mo’, alla fine di un lavoro, si contavano tutti gli item fatti, si moltiplicava per il prezzo e vedevi quant’era il tutto e ti arrivava l’assegno”.
E se si sbaglia i calcoli e spendi di più di quello che era l’appalto?
“Noi per questo abbiamo l’assicurazione, si prende l’assicurazione to cover if you fall behind, se rimani indietro…. Vabbè oggi, gli appalti sono enormi, durano 3 anni…”
Adesso con l’esperienza che hai in questo lavoro, non puoi sbagliare.
“No, non puoi sbagliare. Comunque quando iniziai con la mia azienda nel 1985 io venivo già da quel lavoro, sapevo già quanto avrei impiegato a fare un lavoro. Quanto costava, tutti i materiali, perché loro ti mandavano tutti i progetti in queste buste gialle enormi, io mi mettevo lì, su quel drawing table, day and night, giorno e notte, lavoravo là, ci ricavavo tutto il costo dei materiali, e mi facevo i conti così ci ricavavo la percentuale per fare il profitto. Se poi sapevo fare di meglio sul cantiere, sul lavoro, facevo uscire un po’ di più. Magari ci mettevo il 20%, già ideale, qualche volta arrivava anche di più”.
Abbiamo capito, diciamo che l’ideale era il 20% di guadagno sull’appalto. Se c’erano $100 mila, tu magari facevi tutto per $80 mila e $20 mila era il guadagno. Questo sarebbe stato l’ideale?
“Sì, sì. Se andava bene, ci potevo stare pure anche un poco in più. Se andava male, c’era il 18%, 15%, ma non perdevi mai. Perché i lavori li conoscevo già e sapevo fare bene i calcoli…”
In questi anni, quale è stato il lavoro più soddisfacente che hai fatto con la tua azienda qua a New York, e quale è stato il lavoro che se potessi tornare indietro, non l’avresti mai voluto prendere?
“Questo non te lo so dire, perché tutti i lavori che ho fatto, e ti dico la verità, sono andati sempre bene, non sono andati mai male…. Ecco, il segreto di questa mia azienda sapete quale è? Se c’avete un ingegnere che fa gli appalti per voi, se c’avete un estimator, quello rischia di buttarti sottosopra l’azienda perché, arrivato l’appalto, magari si mette paura di perderlo, pensa che il padrone lo licenzia se lo perde. Allora si mette troppo sotto, cucito coi numeri per non perdere l’appalto, ma là il profitto non lo vedi. Ma se poi si mette troppo più alto, il lavoro lo perdi, lo vince qualche altra azienda… Insomma devi saper fare bene i calcoli. Oggi siamo circa 12 aziende che appaltiamo questo tipo di lavori”.
Quindi ogni volta siete in gara tra voi dodici per questi lavori.
“Sì, ogni 3 anni facciamo le gare ….”
Ovviamente questi appalti della città di New York sono di tanti soldi e diverse le aziende che partecipano. Chi è che decide alla fine a chi darli?
“Mi chiedi quando aprono gli appalti?”
Quello che voglio dire… Insomma voglio arrivare a chiederti: quanto la politica influenza questi appalti? Ci vogliono amicizie e appoggi politici per…
“No, no!”
Nessuna influenza, non c’è qualcuno a City Hall che dice datelo a quello e non all’altro ….
“No, no, assolutamente no. Noi mandiamo gli appalti – e anni fa si correva con la busta gialla a Manhattan, si consegnava alle 9 di mattino e poi l’aprivano…. – Adesso, oggi, si fa tutto tramite il computer. Tu mandi il bid, sul computer, loro aprono, c’è il social group, tutto a porte chiuse, loro aprono e dicono: ‘Ah, qui vediamo MECC, che è quasi vicino….”.
Quindi sono dei tecnici, sono solo loro a decidere?
“Sono dei tecnici. Ed essendo che io sono da 37 anni che porto a termine questi appalti – io con MACC ricevo il 7% di incentivo. Mettiamo che appaltiamo e io sono fino al 7% più alto di un concorrente, allora loro lo danno sempre a me. Questo perché per loro vale di più la sicurezza”.
Capito. Tra 2 concorrenti ad un appalto, tu puoi anche avere il 7% di più nel prezzo e te lo danno perché tu ormai sei una garanzia…
“Esatto. Perché dopo tanti anni se lavori bene si diventa così. Perché sono in molti a cominciare questo tipo di aziende, e cominciano ma dopo 2 mesi scompaiono. Fanno un paio di appalti, magari, appaltano senza soldi, non ce la fanno a completarlo, scompaiono, e la città me li passa. Allora io faccio un sopralluogo, vediamo tutto scassato, un lavoro cominciato male, con incompetenza… Allora io faccio un lavoro che magari costa di più, ma loro sono tranquilli che viene fatto bene e portato a termine”.
Quindi ti chiamano anche per riparare i danni che ha fatto qualcun altro?
“Per riparare i danni e per finire quel lavoro… Certo, è così”.
Ma quindi di tutti questi lavori, in tutti questi anni, sei sempre rimasto soddisfatto? Mai avuto l’idea, “meglio non farli”?
“Con tutta l’anima mai pensato. Perché con ogni lavoro che ho fatto, sono sempre rimasto soddisfatto”.
E ovviamente sono rimasti soddisfatti i tuoi clienti. Cioè la città di New York è rimasta…
“Quando escono fuori questi contratti, 3 anni di contratti, che ammontano a $280 – $300 milioni in 3 anni, loro mi chiamano: ‘Cerca di vincerlo tu, devi vincerlo tu Joe!’. Eh, ma ragazzi, non posso vincere solo io…”
Ma vuoi forse dire che non ti è mai capitato che un contratto che tu volevi non sei riuscito, per qualche ragione, a vincerlo?
“Mai capitato”.
Magari lo hai vinto e poi non sei riuscito a portarlo a termine?
“Mai. Mai. Mai!”
Quindi, con MECC sei proprio una garanzia per New York City?
“Posso dire che qualche volta ho fatto meno profitto di quello che mi aspettavo, sì, questo sì…. Ma per quanto riguarda il mio cliente, ho sempre ricevuto lettere di….come dire…”
Di stima?
“Sì, lettere di complimenti: “Very good, job was done on time.” Poi loro per molti lavori ti danno il tempo”.
Deadline sempre rispettata?
“Sempre. Anzi quasi sempre finito prima”.
Addirittura, finito prima?
“Eh. E perché che fai tu? Perché non è che loro ti dicono quanti operai mettere su quel lavoro, ti dicono che fra un mese deve essere consegnato. Poi ti mettono una penalty, e ti danno l’incentivo. Se finisci prima, ogni giorno guadagni $1000 in più. Se finisci dopo, li dai tu a loro i $1000 ….”
Già come in Italia… Ricordi la famosa autostrada da Salerno a Reggio Calabri? Che non finiva mai! E uno si chiede: ma perché? Invece, poi uno come te, che arriva qui a New York dalla provincia di Benevento, ecco che la tua azienda addirittura fai i lavori in anticipo. Perché qui sì e in Italia no?
“Ecco, prima l’avevi immaginato. Quando parlavi della politica… Qui questi ruoli non ci sono, assolutamente. C’è un gruppo di esperti nel construction che decidono, a Manhattan, quando mandiamo gli appalti”.
E’ un Board che vota…
“Eh, sì, è un Board, il Construction Board….”
Ma proprio non c’è differenza con quando prima c’era Bloomberg, poi Di Blasio, primo ancora c’era Giuliani. Voglio dire, tu ne hai visti tanti passare di sindaci. Hai notato una differenza nel modo di operare gli appalti?
“Nel mio ramo, no”.
Qui la politica non riesce a mettere zizzanie o fare imbrogli?
“No, no, assolutamente no, almeno in questo campo. Perciò mi piace questo lavoro. Io amo questo lavoro, e lo farei ancora per mille anni, purtroppo tra mille anni non ci sarò più (Ride). Ripeto: a me, qualsiasi presidente o sindaco che ha vinto o perso, non ha avuto alcun effetto per la mia azienda… Presidente degli Stati Uniti, o sindaco di New York”.
O governatore….
“O governatore. Perché ogni lavoro che io prendo, io faccio il deal direttamente con Con Edison. Mi dicono, “Joe, questo contratto è tuo, l’hai vinto tu. Allora il tempo è così, così e così”. Allora, leggiamo un fascio di accordi, poi li firmo e sto tranquillo. Ma questo perché io ho un personale che ho addestrato; io ho quasi 150 operai…”
Dai lavoro a 150 persone?
“Non contando l’ufficio, gli autisti, allora sono di più…”
Hai operai che lavorano da molto tempo con te?
“Io ho operai con me da 37 anni. Mi dicono, ‘Boss, when you retire, we retire’. Believe me, no, the way I treat the people – ask anybody…. Nobody wants to leave, everybody wants to stay here. (Mi devi credere, per come tratto io, e puoi chiedere a chiunque, nessuno vuol lasciare la mia azienda. Tutti vogliono restarci). La mia filosofia è questa: i soldi non li faccio io. Io prendo i lavori, controllo tutto ma il lavoro lo fanno loro. Mo’ se loro ti vogliono fregare, ti fregano… Ma se tu sei onesto con loro, e sono contenti….”
Cioè dividi i frutti del successo che non è soltanto tuo.
“E’ questo il bello, e mi piace tanto dirlo…. Quando vinco un contratto, adesso ne ho firmato da poco uno per 3 anni. Ho firmato con Brooklyn e Queens, istallazioni di cavi per gas ed elettricità”.
New York ti ha sempre dato abbastanza lavoro, non devi cercare altrove?
“Tempo fa ci ho provato ad andare fuori, ma non vale la pena. New York l’ho fatto per 30 anni, giorno, notte, week-end. Yeah, di notte, mi alzavo all’una di notte da casa mia e andavo sul cantiere, sul lavoro, andavo a vedere”.
Andavi perché dovevi controllare… Hai mai dovuto licenziare qualcuno per il lavoro non fatto come si deve?
“Si, è capitato. Qualcuno che non aveva capito cosa fare, poi mi sono accorto che non era di sua competenza, e qualcuno che sembra che fa tutto e non fa niente. Mi piace l’operaio serio che parla poco e quando vado sul lavoro, non voglio vedere l’operaio correre. No. L’operaio non può correre 8 ore. Quello corre solo quando sto io là. Cioè, quando me ne vado, lui non fa più niente. E questo fa parte dell’esperienza. L’operaio che vuol magari impressionare il proprietario, non deve fare così. Io dico sempre, ‘Ragazzi, quando vengo sul lavoro, lavorate a ritmo normale. Normale’. Io non sono nato ieri – ho 74 anni. Magari vedi quello che corre, Madonna.… No, non è buono. E cosi parlando con il super si vede, si verifica, chi si merita e chi bisogna….”
Ma gli operai che lavorano per MECC chi li sceglie?
“Io, gli faccio l’intervista magari, dove vivi, dove lavoravi? Dice, io lavoravo là, un’azienda che conosco, magari, aspetta un paio di giorni and I’ll let you know. Chiamo i suoi precedenti datore di lavoro, perché ci rispettiamo pure, no? ‘Ma questo operaio è venuto da me. Tu c’hai molto lavoro.’ E magari mi dice, ‘Non è puntuale’. ‘Ok, grazie, grazie.’ Poi c’incontriamo per una cena…”
Quindi hai un buon rapporto con i tuoi colleghi. Vi rispettate.
“E’ un buon rapporto. Eccetto quando …. Quando dobbiamo fare gli appalti. E quindi magari 2 settimane prima di fare questi appalti, manco ci chiamiamo. No, perché se chiamo, quello mi chiede ‘Che numero metti a quello là?’ No è un segreto….Poi dopo la gara… bravo hai vinto tu! Ti chiamo, e usciamo”.
Siete sportivi…. Quando uno pensa al mondo delle costruzione, in una città come New York, pensa invece agli sharks: ma non siete quindi degli squali?
“Io parlo del mio ramo di costruzioni. Perché se poi parliamo dei grattacieli di Manhattan, loro sì che hanno sistemi terribili per farsi la concorrenza”.
Perché il tuo campo è diverso? Ma vogliamo spiegare di cosa stiamo parlando?
“Del lavoro che faccio io….Manutenzione dell’elettricità, del gas, telefono. Tutto sotto terra”.
Tutto sotto terra. Quindi, scavatrici….
“Prendiamo l’equipment, seghiamo le strade, con delle seghe enormi, seghiamo, poi…”
Insomma, come la conosci tu New York sotto terra, non la conosce nessuno.
“Eh già, perché non c’é una strada dove non abbiamo fatto lo scavo”.
Qual è la cosa più sorprendente che vi è successo nello scavare? Avete trovato magari qualcosa di…
“Abbiamo trovato delle ossa umane”.
Ossa umane?
“Yeah. Vicino una chiesetta, giù a Broadway, giù a Manhattan. Ci sta una chiesetta scura, ma scura….”
Downtown Manhattan?
“Downtown, quella chiesa c’ha un nome, è famosa…. A fianco c’è un cimitero, poco lontano….”
Vicino proprio al World Trade Center?
“Proprio là. Perché noi facciamo le installazioni quasi quanto è questa stanza sottoterra, e là vengono messi i transformer, si attaccano i fili, vengono fatti gli impianti, e l’impianto come si fa per una casa lo abbiamo fatto sottoterra. Stavano scavando e…. abbiamo visto ossa. Fermate tutto, chiamammo subito gli archeologi. Erano ossa umane.
Il lavoro fu fermo un paio di mesi. Ma siamo assicurati”.
9/11: che effetto ha avuto nel tuo lavoro? Non vi hanno chiesto aiuto per scavare, per aiutare….
“No, no, no, assolutamente no. Perché loro avevano paura che ci fosse ancora gente lì sotto… Mica potevamo andare con l’escavatore….”
Ho capito….
“Hanno fatto tutto loro. Alla fine, poi, c’e’ stato, dopo alcuni anni che era tutto pulito, abbiamo fatto qualche impianto nuovo nei dintorni”.
Abbiamo parlato molto. Hai altri 20 minuti?
“Sì ce l’ho. A me fa piacere parlarti”.
Allora, parliamo della tua italianità. Tu mi hai spiegato che il tuo successo è dovuto alla tua preparazione e nel saperti scegliere le persone giuste. Un successo di squadra, diciamo, però volevo capie: Secondo te, il tuo carattere italiano e tutto quello che hai imparato quando eri in Italia, non parlo soltanto del lavoro, io parlo proprio nei rapporti umani, nell’essere italiano e in più essere campano, meridionale, di Benevento… Allora, secondo te, quanto ha influito sul tuo successo? Joseph Meccariello, che ha imparato un mestiere e poi è diventato imprenditore, ecco se tu fossi nato chissà dove, sarebbe stato lo stesso? Oppure, la tua italianità, e direi anche la tua meridionalità, ha a che fare e tanto con questo successo a New York?
“Guarda io non ho mai perso la mia italianità anche perché io sono tornato molto spesso in Italia. Io andavo anche tre volte all’anno (Joe ha compiuto molte opere di beneficenza al suo paese, ndr). Stavo due settimane, e tornavo. Non l’ho perso mai il mio essere italiano. Anzi mi sento molto più italiano di 50 anni fa. Però io un’azienda in Italia, no, non la farei mai. No, no… Io c’ho molti amici in Italia che stanno in aziende di costruzione. Non possono pagare gli operai, non so pagati… Invece questa terra dice: c’hai un cervello, usalo, che arriverai in qualche posto. Non so se mi sono spiegato”.
Cioè, in America, tu dici che il tuo carattere di Italiano e di meridionale, ha avuto successo. Però hai dubbi che la stessa persona messa in Italia, ecco non avresti avuto.…
“Io parlo invano di questo con gli amici, il sistema non funziona così, no. Lì poi, quando fanno gli appalti, magari la città, la provincia, il comune… Danno i numeri, non si capisce nulla… Qui assolutamente no. Qui mandano i progetti –magari un lavoro enorme –. Io ho fatto un lavoro a Manhattan, proprio spaccammo a Broadway, Uptown, e portammo un 12 inch gas dentro il Presbyterian Hospital, alla 125-128 strada. Allora, c’era un incentivo di 10 giorni. Se finivi, ti davano $10 mila in più. Allora chiamai e dissi, se metto una squadra in più, ho il permesso? E dissero ‘ok’. Io il weekend misi 3 squadre e abbiamo finito 2 settimane prima”.
In questi 37 anni, magari all’inizio, c’erano tanti operai italiani o di origine italiana a lavorare con te?
“Verissimo”.
E adesso?
“Nessuno. Di italiani non ce ne sta nessuno. Quando cominciai qua, venivano e chi erano? Tutti italiani e io cercavo di metterli tutti. Poi, era un different regulation. Le regole di oggi non c’erano. Oggi bisogna mandare un operaio a scuola, al learning center, deve fare 80 ore di training”.
Devono essere qualificati, quindi?
“Devono essere qualificati su come lavorare sui cable, per sicurezza. Per lavorare con il gas, devi essere un gas mechanic. I miei operai li ho qualificati tutti io, ho pagato io, mandandoli a scuola. Io per questi operai, sono come un papa, e loro lavorano contenti”.
E che nazionalità hanno ora? Da dove vengono questi operai?
“Molti sono portoghesi, sono onesti, lavorano bene, sì. Ho anche molti spagnoli”.
Cioè dell’American Latina, del Centro America…. Sono messicani, nicaraguensi, honduregni?
“Sì, molti dell’Honduras….”
Ma il president Trump vuol chiudere ogni accesso agli immigranti da quelle zone. Allora, non per entrare in politica, però vorrei sapere da te su questa storia dei migranti…. Anche tu sei un emigrato. Insomma, tutte persone che arrivano che magari devono costruirsi una vita e sono pronti a grandi sacrifici e a lavorare. Tu, che hai dato lavoro a persone che hanno conosciuto l’esperienze della migrazione – cosa pensi di questa ostilità dell’America che vota Trump contro gli immigrati? L’America si deve chiudere e non fare entrare più nessuno? Oppure è il continuo flusso di immigrati che ha fatto grande questo Paese?
“Ci deve essere, l’immigrato ci deve essere. Direi un po’ più controllo su chi arriva però anche. Come quando venni qua, mi hanno fatto decine di vaccinazioni… Ora, vengono senza controlli, e questo non è giusto. Allora, dovrebbero controllare e vaccinare questa gente, essere sicuri che non sono malati, e poi farli entrare”.
Ma L’America ha sempre bisogno dell’energia dei nuovi arrivati, o no? Delle persone che vogliono una vita migliore per i loro figli?
“Il lavoro che facciamo adesso, se non fosse per loro, chi lo farebbe più?. Lavorano, lavorano, sono bravi. Il bello è che ogni anno faccio una festa prima di Natale. Li faccio lavorare fino a verso le 11, poi vengono tutti qua, e io porto da mangiare per 150 operai. Prima andavamo nei locali. Poi, molta gente non veniva a questa festa perché dovevano andare a cambiarsi, etc., invece qua è così comodo per loro, mangiano il cibo italiano fatto da un buon ristorante, mangiano, bevono e a me piace annunciare loro la situazione dell’azienda”.
Parli della situazione economica dell’azienda?
“Io parlo una volta al mese, a tutti quanti. Loro ne sono contenti. Io li ho visti anche piangere. Apro la finestra e dico, signori cari vi voglio vedere sorridere, ho firmato un contratto di 3 anni. Tu vuoi comprare casa, compra casa. C’hai 3 anni di lavoro fisso. E se hai bisogno della mia co-firma sono qui. E io ho visto gente che piangeva…”
American Dream, Italian Way. Tu sei arrivato qui nel 1968: Ti potevi immaginare allora quello che hai raggiunto? Quando sei arrivato avevi il sogno di un’azienda così? La immaginavi così?
“No, arrivare a così tanto, no. A questo livello, no. Ovviamente, quando io l’ho sognato, volevo mettere su un’azienda perché lavorare fisicamente non era per me. Pensavo di mettere insieme 7-8-10 colleghi e far lavoretti piccoli. Ma alle porte che ho bussato a Manhattan, ti fanno iniziare con i lavoretti piccoli, poi tu vai a finire…. Come si dice? Quando stai a ballare….”
Devi crescere per forza…
“That’s it, yeah! You gotta answer the bid. Ripeto, è tutto come gli operai li tratti. Io credo che in certe aziende ci sono certi padroni, ci sono molti proprietari che si sentono Dio e poi l’operaio….e poi falliscono dopo 2 mesi. No. Per me, per il bene dell’azienda, prima ci sono gli operai e poi ci sono io”.
In questa azienda hai coinvolto persone della tua famiglia?
“Ho coinvolto, sì. C’ho due nipoti. C’è il mio nipote, John, che sta sull’Accounts Payable, poi ho l’altro nipote che è il General Supervisor, gira tutti i cantieri. Sono i figli del fratello di mia moglie. Sì, perchè dei miei qua, non c’è nessuno. Sono tutti in Italia. E poi ho my Godson. Lui è un contabile che poi è diventato CPA (Certified Public Accountant)”.
Insomma, la tua azienda mica finirà con te…
“No, no, io ho già sistemato tutto. Ho già pensato a tutto. Ogni ufficio c’ha il suo personale. E’ molto importante; ognuno fa il suo lavoro. Io solo controllo, se c’è qualche problemino, se la città chiama, io rispondo, chiamo il supervisor, ‘Vai la, vedi qua’. Io faccio ancora molto, ma…”
Comunque, ti sei organizzato, insomma questa azienda un giorno continuerà a prescindere se tu ci lavori o meno, giusto?
“Loro vanno avanti e me lo hanno dimostrato che sanno fare bene tutto. Si sono molto aggiornati con tutte le nuove leggi di oggi. Di fatti, abbiamo il lavoro firmato fino alla fine del 2021”.
Quindi sei ottimista per la tua azienda. Vorrei sapere, tua moglie, che mi hai raccontato che le dicesti che avevi solo $10 in banca… Ecco, vi sarà capitato di pensare a quegli anni quando avete iniziato?
“Sempre, sempre, sempre ci pensiamo”.
E che cosa ti dice ora tua moglie?
“Beh, mia moglie è ancora convinta che io sapessi di arrivare a questo punto. Lei dice sempre, ‘Tu, no, tu per fare questo, per restare con $10, tu sapevi il fatto tuo’. Ma come era fatto mio? Mia moglie resta convinta che sapevo di arrivare a questo punto… Ma sapere non lo sai mai, perché tu quando cominci una qualsiasi cosa, non sai mai come va a finire”.
Lei credeva in te e ha avuto ragione.
“Lei credeva in me, lei sapeva… Vabbè grazie a Dio che è andata così… Ma non è stato semplice. Per anni ogni notte dormivo con un occhio solo….”
Stress?
“Di notte, ero sveglio. Era molto difficile. Pure oggi è difficile”.
Ma come dicono gli americani, bisogna avere “confidence”. Ma oltre che dall’amore di chi ti stava accanto, da dove veniva questa fiducia? Dove hai trovato il coraggio?
“Devi avere fiducia in te stesso. Da dentro di me. Io non volendo fare un lavoro fisico, mi ripetevo ‘o faccio qualcosa o torno in Italia’. E poi ho pensato che in questo paese, ‘niente è impossibile’. Infatti, il mio motto è ‘Nothing is impossible’.”
In questo Paese…
“In questo Paese. In Italia forse… Ma qui, sicuro nothing is impossible. Ho detto sempre così. A volte quando c’era un problema, mi dicevo…. ‘Calmati, calmati, calmati’ –stanotte dormi, dormi, domani ne parliamo, vedrai che domani we resolve it’. Perché un’altra cosa che ti tiene sempre al posto giusto: non dare mai una risposta subito ad un problema se non sei sicuro, perché può essere sbagliata la risposta. A me mi vengono con i problemi, e non è che ho qualcuno sopra di me che può risolverli per me…”
Allora ci dormi sopra?
“Domani troveremo una risposta. Di notte, io, trovo la soluzione; e le migliori ore per pensare sono dalle 3 di mattina fino all’alba. C’ho il cervello limpido. Ma io penso pure a voi capiterà, a chiunque.
Perché la sera vai a cena, stai con gli amici, il cervello è pieno. Ma la mattina, dalle 3 alle 6, a me vengono le migliori decisioni”.
Quindi, alla fine di questa storia di successo che mi hai raccontato, qual è stata, secondo te, la decisione più importante per realizzarla? In tutti questi anni – c’è stato un momento, un bivio, qualcosa che tu hai detto in quel momento, ‘Potevo prendere una strada diversa’, perché c’avevo pure pensato a una decisione diversa, e sarebbe stato tutto diverso…No? Una decisione che è stata quella determinante…
“E’ stata forse quella di imparare a scegliere il personale, ad addestrarlo pensando che domani che mi ritiro, l’azienda voglio che vada avanti….”
Mettere in sicurezza l’azienda: ti senti soddisfatto, già fatto?
“Sì. Di fatto anche loro hanno detto di voler rimanere col nome ‘MECC’, se possiamo per mille anni il nome ‘MECC’. Per loro, porta fortuna. Infatti, Meccariello, MECC, quattro lettere, M-E-C-C.”.
Ha pure un bel suono….
“Meccariello, sì. Cominciai così e restiamo così da 37 anni e non sia mai che ai ragazzi dico di cambiare nome, tanto io non ci sarò più, ecco cambiate nome. E loro, subito ‘No, no, no! Non sia mai!’”.