Il primo amore di Ruben sono stati i videogiochi di nicchia, tanto da fargli decidere il suo percorso di studi in informatica. Poi si è appassionato alla teoria informatica a sé. Finito il corso di studio con ancora un anno di crediti da completare, ha deciso di provare cinema. E così é cominciata la passione per la pellicola.
Nato e cresciuto a Milano, Ruben Zaccaroni è scrittore, regista e produttore di Argo Studio: società capace di assistere all’intero ciclo di produzione per cortometraggi ma anche video musicali e videografie per eventi. Dallo sviluppo del concept, alla produzione stessa, post-produzione e promozione.
Raccontaci della tua formazione e cosa ti ha portato negli Usa.
“Sono nato e cresciuto a Milano. Ho sempre guardato moltissimi film ma non mi sono mai fatto troppe domande su come si facessero. Il mio sogno era programmare videogiochi.In America c’erano tanti corsi di studio che offrivano corsi ad hoc e così mi sono iscritto. Poi ho finito per studiare informatica pura, mi sono stufato e durante l’ultimo anno di università, quando avevo dato tutti gli esami ho fatto alcuni corsi di cinema che mi sono piaciuti molto. E da li ho continuato lavorando poi per un anno a LeCinemaClub, un sito che fa vedere cortometraggi di nicchia gratis. Guardavo un numero altissimo di pellicole alla settimana, selezionando i migliori da tutti i festival del mondo da far vedere alla mia titolare. Credo che quella sia stata una grande educazione cinematografica”.

Hai girato anche alcuni spot per la moda e la città di New York (Mermaid parade di Coney island). Come si catturano due atmosfere così diverse?
“Hanno veramente due toni completamente diversi. Quello per la moda era tutto basato sulla precisione e la pulizia dell’immagine per rappresentare al meglio la qualità del brand. Quello invece sulla Mermaid Parade di Coney Island ha un tono e un’impostazione opposta. La parata avviene a Luglio sotto un sole rovente. Tutti sudano, si schiacciano uno contro l’altro mentre passano centinaia di persone travestite in tutti i modi più improbabili. Alcuni sono patinati e precisi ma la maggior parte sono semplicemente individui a cui piace travestirsi e basta. Poi ci sono le giostre, i suoni etc. Ecco forse era il caos quello che volevo catturare”.

Che limiti non ha il mercato cinematografico americano rispetto a quello italiano?
“Sul mercato italiano non ho lavorato molto, ma da quello che ho visto è semplicemente una questione di opportunità. Qua nei pochi anni da cui lavoro ho fatto tantissime esperienze in tutti gli ambiti del cinema. Da distribuzione per il sito che ho menzionato prima, a lavori da assistente regia per una serie, un video musicali, post-produzione, aver avuto un incontro privato con Stephen Lang, l’attore di Avatar, e tante altre cose. Da coetanei che lavorano in Italia vedo che mancano semplicemente molte delle risorse che ci sono qua. Detto ciò ho lavorato ad un lungometraggio l’anno scorso girato a Roma che è stata una delle mie più belle esperienze di cinema e lavoro. Ecco, un limite che mi viene in mente è dato dal film, appunto, a cui ho lavorato in Italia, ‘La Partita’ di Francesco Carnesecchi con Pannofino, di Stasio, Ambrogi e altri. È veramente un gran film (e lo dico sinceramente) che però non riesce a trovare distribuzione in Italia. Un film di quella qualità sul mercato americano avrebbe avuto una distribuzione pronta sin dalla post-produzione. Poi però un limite in America rispetto all’Italia, che credo sia specifico a New York, è che è molto più difficile avere i permessi per girare e le persone in generale fanno moltissime storie che rendono la vita difficile a registi emergenti che non hanno soldi. A Milano invece ho fatto delle riprese in negozi e anche una chiesa senza che nessuno mi creasse dei problemi, anzi con molta disponibilità”. |
In Usa ci sono molti festival dedicati a corti e lungometraggi . Pensi sia una cosa positiva oppure c’è un overdose di prodotti che vogliono affermarsi nel mondo del cinema?
“È un po’ difficile dirlo. Da una parte con tutti questi festival moltissimi cortometraggi trovano uno sbocco. Il problema però è che con così tanti prodotti diventa ancora più difficile farsi notare. Non mi ricordo quale regista raccontava che anni fa semplicemente aver girato e finito un film era di per sé un successo. Ora non è più così”.
Cosa pensi del bombardamento di serie tv sui canali on demand?
“Io ero un malato di serie tv al liceo. Guardavo veramente qualsiasi cosa per stagioni e stagioni. Ora ho smesso anche per via di una questione di tempo disponibile. Anche se moltissime delle innovazioni artistiche e sperimentazioni video ora avvengono nelle serie e non il cinema che si deve tenere a delle formule classiche. È veramente incredibile come vengono scelti registi anche di nicchia, gli viene dato un budget praticamente illimitato e assoluto controllo creativo per creare quello che vogliono. Mi chiedo quanto possa durare. L’unica cosa che vorrei in più è che ci fosse una distribuzione anche in sala di alcuni di questi progetti. Guardare le cose al cinema è un’altra cosa, è qualcosa di speciale”.
La musica è importante nei tuoi cortometraggi. Come scegli la colonna sonora?
“Non ci avevo pensato in modo esplicito finora. La colonna sonora per me è importantissima, soprattutto in un cortometraggio. Quando lavoravo per il sito di cortometraggi mi sono reso conto che quello che mi rimaneva impresso di un corto era l’atmosfera e il tono. Mi ricordo la sensazione di alcuni corti, di alcuni spazi, dialoghi e interazioni, molto più che gli eventi o dettagli della trama. E la musica è una parte fondamentale della costruzione del tono che ho usato molto nel mio corto ‘Definitely Soy“. Uno dei film dove ho capito questa cosa esplicitamente è ‘Easy Rider’ di Dennis Hopper. La trama è ‘due vanno in moto per l’america’, ma insieme alla colonna sonora il film diventa uno spaccato di vita e cultura americana negli anni ‘60. Di recente ho provato a usare la musica come sostituto per dialogo nel corto ‘Il Taglio’ . La musica qui invece non è solo per l’atmosfera ma quasi per dare voce ai pensieri dei personaggi che non parlano”.
Parlaci del tuo ultimo progetto.
“Il mio ultimo progetto è il cortometraggio ‘Definitely Soy’ (Sicuramente Soia), prodotto da me, Andrew Karpan e George Zouvelos (www.fiatluxstudios.com). È un corto surreale ambientato interamente all’interno di un diner classico americano in stile anni ‘50 che finora è stato a 15 festival in Italia, America e India vincendo un numero di premi tra cui ‘Miglior Corto’, ‘Miglior Regia’ e ‘Migliore Attore’. Parla di un cameriere scazzato che se ne vuole andare ma proprio nel momento di chiusura entra un uomo gigante che si siede silenzioso. Questo fa partire una serie di eventi a cui si aggiungono altri personaggi. È un po’ la storia di Davide e Golia in versione moderna. Il progetto nasce appunto dall’atmosfera e l’estetica degli anni ‘50 che mi affascinano molto. Ma fare un progetto ambientato effettivamente in quegli anni sarebbe stato troppo difficile sia da un punto di vista di produzione ma anche perché quello che trovo interessante è inserire questa estetica in un contesto moderno. Con questo contrasto quelle immagini e colori anni ‘50 di speranza e grandi sorrisi diventano fortemente ironiche in un contesto che le usa semplicemente come pubblicità ma senza credere più nei valori o principi originariamente attribuiti a questi simboli. È la funziona che hanno tutti i poster inseriti nel corto. A questo punto invito tutti i lettori a vedere il trailer qui e se qualcuno volesse contattarmi per vedere il film per intero lo può fare qui“.