Circa 5 milioni di persone salgono ogni giorno sulla metro di New York City tra Manhattan, Brooklyn, Queens e the Bronx, lungo l’East River.
È il sistema più lungo al mondo con 380 km e 472 stazioni, l’unica metropolitana a non fermarsi mai.
Bizzarre sculture in bronzo, grandi murales, mosaici e vetrate abbelliscono alcune delle fermate principali della Grande Mela.
Jazz, gospel, blues, rap e pop, la musica scorre nelle vene dell’underground newyorkese e dal suo mondo sotterraneo animando i viaggiatori tanto che anche qualche autista gioca a rappare gli annunci delle fermate.
Al di là delle porte scorrevoli di quei vagoni, ci sono ragazzi che saltellano tra i passeggeri ballando breakdance, una donna suona l’arpa, un altro il violino, una cantante lirica, un uomo con un pavone è in piedi nella folla come se avesse un cane al guinzaglio, una donna in pigiama, un altro più in là apre un tavolino di plastica per pranzare, un uomo dorme profondamente sullo sconosciuto che gli siede accanto come fosse sul letto di casa. Tutto normale, nulla di strano, nessuno sguardo sorpreso.
Per chi è abituato alla semplicità della tube londinese, ha bisogno di qualche giorno per capire la rete newyorkese.
Facile confondendosi tra treni locali ed espressi finendo per sbaglio da downtown Manhattan ad Harlem.
Difficile da comprendere per i nuovi arrivati, spesso odiata da chi ci abita. Facile diventare intolleranti passando molte ore in quei vagoni: treni soppressi per lavori nei weekend, fermate saltate, topi che corrono festosi sui binari, un caldo terribile.
Passeggeri immersi ognuno nella propria bolla di sapone, che si tratti di occhiali da sole, cuffie o un libro. Come tanti mondi racchiusi nello stesso spazio, inquilini della stessa casa.
L’unico momento forse per pensare, fermarsi, lasciare andare.
Quei visi che sembrano sconosciuti, così diversi, in realtà sono persone che hanno deciso come te di provare a vedere il mondo fuori.
Accanto a te c’è Giorgia, stanca, lavora come cameriera per mantenersi agli studi di danza e pagare l’affitto di casa; accanto a lei Caroline, con sguardo malinconico sfoglia le foto di una figlia lontana; Alejandro, dai lineamenti sudamericani, sorride e si muove sulle note di una musica a lui familiare, giovane, senza nulla da perdere ha lasciato il suo paese con pochi soldi in tasca, senza alloggio o lavoro è arrivato nella Grande Mela avendola amata ancor prima di calpestarne il suolo; Ayako, dagli occhi orientali, studia sul suo libro di medicina notte e giorno, sognando di fare grandi cose; Marcela è una giornalista spagnola, scorre le dita sulla tastiera di un computer raccontando avventure newyorkesi; Adrien annota ricette di pasticceria, ogni venerdì, appena uscito dall’ufficio, si chiude in casa per cucinare dolci dai delicati sapori e profumi francesi; Sophia, sensibile ed empatica, ha nostalgia della sua Canada mentre il fidanzato Olivier è accanto a lei, ambizioso, in giacca e cravatta, vuole scalare le vette di Wall Street;
Henri, trasferito con sua moglie e suo figlio dopo la vincita della green card lottery, pensa a come affrontare questa città che non è la loro, una lingua che non è la loro, degli amici che non sono i loro; Armando iniziò a parlare da solo dopo che perse la sua Adelita; Marie da Berlino sogna di lavorare nella moda; Petro è un clandestino e vive ogni giorno la paura di essere scoperto e rimpatriato lasciando per sempre sua figlia Melanie; stanchezza sul volto di Oscar, dominicano a New York da 25 anni con moglie e due figlie, lavora 15 ore al giorno nell’edilizia; Maite 20 anni fà arrivò a New York dal Cile pensando di rimanerci solo un anno per studiare inglese, s’innamorò di Andres, rimase con lui 10 anni e dopo che la storia finì New York era ormai diventata la sua casa; Aiday è una rifugiata scappata dal suo paese perché lesbica, costretta a rimanere negli USA per 10 anni prima di poter rivedere i suoi genitori; Andrea e Giorgia sono qui per pochi giorni e guardano la cartina eccitati e increduli, si sentono in un film.
Di fronte a te: infinita varietà di persone, incapacità di trovarne una uguale ad un’altra.
Ma d’un tratto, guardando meglio quel ragazzo chino sul portatile che si mangia le unghie, vedi tuo fratello; quella ragazza che si trucca applicando con attenzione del make-up sul viso, è tua sorella; quel bimbo che si agita non riuscendo a star seduto, è tuo figlio; quell’uomo che sfoglia il quotidiano, è tuo padre; quella donna col viso immerso in un romanzo, è tua madre; sono le tue gioie, le tue paure, le tue insicurezze, la tua nostalgia, i tuoi sogni, le tue speranze.
Vivere a New York è una lezione di vita, che è vita stessa, dura come una pietra e in alcuni momenti morbida come la seta; come vivere due volte perchè in questa città tutto è più forte, tutto è più grande, tutto è migliore, tutto è peggiore, tutto è più difficile e tutto è più facile.
Puoi vivere più cose di quante tu possa ricordarne e ricordare più cose di quante tu ne abbia vissute, come il ricordo di tutte le vite che hai incontrato in quei vagoni e che porti con te.
A New York chiunque è di New York e nessuno lo è.
In fondo siamo tutti sulla stessa barca, perciò sii gentile con i tuoi compagni di viaggio: non sono estranei, sono la tua famiglia, sono te stesso.