La prima volta che un mio vecchio zio assaggiò un kiwi, senza averlo mai visto prima, lo mangiò senza sbucciarlo. Non sapeva di che si trattasse, per lui era una semplice piccola patata ruvida all’esterno.
Nella mia vita di 34enne giornalista, sovrappeso, con i capelli blu ed ora expat, di piccole patate ruvide all’esterno ne ho trovate parecchie.
Il giorno del 2015 in cui sono stata licenziata dalla televisione locale per cui lavoravo in Veneto mi sembrava un’enorme patata ruvida. Trovare lavoro in Italia nel campo giornalistico mi pareva un’impresa da titani. Così scelgo di provare a cercare fuori confine mentre sono ancora in patria. Trovando lavoro ad Amsterdam scopro che la patata è un kiwi. E non so che diventerà sempre più dolce.
Inizio a scrivere con più costanza sui social media, specie su facebook, racconto la mia quotidianità, parlo di cosa deve affrontare tutti i giorni chi vive da expat lontano dalle proprie radici. Credo non mi leggerà mai nessuno. Mi arrabbio anche, specie quando la politica ci dice che, dato ce ne siamo andati, è giusto stiamo fuori dai piedi. Quella lettera aperta scritta all’allora Ministro del lavoro diventa virale e inizio a ricevere messaggi, like e sempre più lettori.
Era una gigante patata ruvida all’esterno l’essere sempre stata diversa dagli altri. Dagli altri bambini all’asilo, più grassa, nel body verde di ginnastica artistica che mi faceva sembrare un’undicenne incinta, bullizzata alle scuole medie, rifiutata dai ragazzi che mi piacevano che puntualmente preferivano quelle più magre.
Eppure pure quello era un kiwi. Eppure quella ero e sono io.
Ora so che quando la gente ti prende in giro per un nostro difetto andrebbe ringraziata: è in quella cosa che siamo diversi. Ci stanno in realtà aiutando perché stanno dichiarando quale sarà il nostro super potere, la nostra unicità.
Il mio super potere mi ha portato nel dicembre del 2016 ad unirmi ad una campagna in piazza ad Amsterdam: mi sono spogliata, come anche in questo video, nella piazza centrale. Perché amare il proprio corpo può influenzare gli altri e mostrarsi per farsi accettare è tutto tranne che esibizionismo.
Il body positive non è mai stato un inno alla ciccia ma vorrei diventasse un’ode alla diversità: di forma, di taglia, di altezza, di colore, di orientamento sessuale, di provenienza, di credo religioso e di credo politico.
L’altro giorno dalla redazione de La Voce di New York mi hanno fatto un regalo: mi hanno dato una rubrica dove parlerò di me e del Paese che amo di più al mondo dal mio punto di vista lontano.
Quando è stato il momento di scegliere il nome della rubrica se ne sono usciti con un’idea a cui io non avevo mai pensato e che mi ha fatto dire ‘wow’.
“Dici quello che pensi senza diplomazia, cercando però l’equilibrio (il tuo), e poi ti prendi in giro superando ogni problema di “peso”. Scriverai di cose profonde con leggerezza e la tua rubrica si chiamerà ‘Lago della bilancia'”.
Non siamo solo corpi, siamo soprattutto storie.
E questa per ora è la mia.
Regia, immagini e montaggio del video sono di Nikolas Grasso.