Se per gli italiani della nostra generazione il cognome Cabrini è associato indissolubilmente al bell’Antonio, l’elegante calciatore cremonese protagonista del trionfo della nostra Nazionale ai mondiali del 1982; per gli americani è da generazioni un tutt’uno con la parola ‘madre’, sì perché ‘mother Cabrini’, la suora italiana di cui il 22 dicembre prossimo si celebrerà il centenario della morte, ha lasciato non solo una sessantina di istituzioni tra scuole, ospedali, oratori, chiese e orfanatrofi, ma anche e soprattutto uno sguardo diverso sull’emigrazione e gli emigranti.
Nata a s. Angelo Lodigiano da una famiglia umile e numerosa, sente fin da bambina il richiamo della vita religiosa, vistasi rifiutare l’accesso a una congregazione che la ritiene troppo malaticcia per resistere ai rigori del convento, Francesca studia, diventa maestra si fa carico di tante opere di carità e continua a coltivare il suo sogno. Finalmente inizia con un gruppo di amiche la sua famiglia religiosa, che intitola al Sacro Cuore, e si prepara alla missione. Lei ha in mente la Cina, ma papa Leone XIII (quello della Rerum Novarum) per lei e le sue sorelle ha altri piani: “Non all’oriente, Cabrini, ma all’occidente” le dice durante un’udienza e così nel 1889 parte per la prima volta. Destinazione New York. Siamo nel mezzo della grande emigrazione che fra il XIX e il XX secolo vedrà circa 30 milioni di italiani lasciare il nostro paese. Il governo italiano è il grande assente e non dà nessun sostegno a queste masse di diseredati che sono spesso vittime di soprusi e discriminazione. Due vescovi: Scalabrini (per le Americhe) e Bonomelli (per l’Europa) sembrano essere le uniche due ‘autorità’ a preoccuparsi di garantire un minimo di dignità a quella che Pascoli definì “l’Italia raminga”.

Ma torniamo alla nostra madre Cabrini che arrivata nel porto di New York vede la statua della Libertà e invita le sue consorelle a cantare con lei l’Ave Maris Stella. È stato un viaggio duro e pesante, da emigrante tra gli emigranti. Appena arrivata l’arcivescovo Corrigan le dice che non c’è niente da fare per lei a New York e che le conviene tornare subito in Italia. Cabrini risponde che lì l’ha mandata il papa e lì lei e le sue sorelle resteranno. La Chiesa cattolica americana era a quei tempi totalmente controllata dal clero irlandese che discriminava senza alcun ritegno gli ultimi arrivati italiani. Non permetteva la creazione di parrocchie apposite per gli italiani (troppo poveri per mantenerle, dicevano) e relegava qualche funzione per gli italiani negli scantinati delle chiese. “Gli italiani puzzano- scriveva l’arcivescovo al Papa, dimenticando, forse, che anche il Papa era italiano- e se dovessero andare nella chiesa principale gli altri non verrebbero più”.
Madre Cabrini non si perde d’animo e comincia ad aprire case e opere dagli Stati Uniti al Brasile e oltre. Va dove c’è più bisogno, dove la discriminazione è più forte: nel 1892 apre una casa nel quartiere più malfamato di New Orleans pochi mesi dopo il linciaggio di 11 italiani ad opera di una folla inferocita. E continuerà così con decine di viaggi transoceanici ed altri ancora più avventurosi su e giù per le Americhe fino alla morte nel 1917.
Io sono un emigrante e mi piace che Pio XII l’abbia proclamata Madre degli emigranti, questa suorina lodigiana. Una donna che riuscì a farsi rispettare e a ricavarsi un suo spazio in un’istituzione totalmente patriarcale. Una donna che quando le donne non avevano nemmeno il diritto di voto negli USA era a capo di una ‘multinazionale’ della carità, se vogliamo chiamarla così, con 67 sedi e migliaia di altre donne lavoratrici e dirigenti (presidi di scuole, amministratrici di ospedali ecc). Una suora un po’ comunista (chiedeva e otteneva dai ricchi i soldi per aiutare i poveri) e molto imprenditrice. Una donna di grande fede, ma con altrettanto senso pratico. La prima cittadina americana ad essere proclamata santa. Un’emigrante che condivise in tutto la sorte degli emigranti. Madre degli emigranti, non solo degli emigranti italiani, ma anche di quelli disperati, come eravamo disperati noi cent’anni fa, che arrivano ogni giorno sulle coste italiane.