“Desaparecidos”, persone sequestrate, torturate e assassinate 40 anni fa dalle dittature militari del Sudamerica che avevano messo in atto un macabro piano coordinato di repressione, massiccio e sistematico, contro gli oppositori politici, il feroce “Plan Cóndor”.
I responsabili di questo piano di terrore e di morte, come gli uccelli da preda della Cordigliera delle Ande, volavano tra il Cile, la Bolivia, il Perù, il Brasile, il Paraguay, l’Uruguay e l’Argentina facendo sparire nel nulla uomini, donne e persino bambini nati nei campi di concentramento.
Una vera e propria “internazionale del terrorismo di Stato” che operava nei sette Paesi, dove da Pinochet a Videla, i diversi regimi sono ormai tristemente conosciuti nel mondo per “i prigionieri senza nome”, “le celle senza numero” e “i voli della morte”, cioè le ossa NN, i centri clandestini di prigionia e gli aerei che lanciavano persone ancora in vita e incatenate nelle acque del Rio de la Plata.
Martedì scorso, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, la III Corte di Assise di Roma ha riconosciuto l’esistenza del disumano “Plan Cóndor” condannando all’ergastolo otto imputati del mega processo omonimo, dopo due anni di dibattimento, 61 udienze e con l’audizione di decine di testimoni.
Una sentenza di fondamentale importanza che manda un segnale chiaro contro l’impunità ed a favore della Memoria, la Verità e la Giustizia, nonostante la lentezza innegabile di quest’ultima.
Precedentemente si sono svolti in Italia diversi processi sui desaparecidos, conclusi nel 2000, 2007 e 2010, che hanno riguardato la sola Argentina.
Il Processo Condor è stato possibile in Italia perché molte delle vittime erano di origine o cittadinanza italiana, tra le quali Lorenzo Viñas, Horacio Campiglia, Bernardo Arnone, Juan Carlos Maino e Omar Venturelli per fare soltanto alcuni nomi.
La lettura della sentenza di primo grado -otto condanne all’ergastolo, 19 assoluzioni e sei prosciolti per morte degli imputati- è stata accolta con sentimenti contrastanti da parte dei familiari, degli avvocati e dei rappresentanti dei governi coinvolti.
Il vicepresidente uruguaiano, Raúl Sendic, che questo martedì era in aula, non ha nascosto la sua delusione per l’assoluzione di Jorge Troccoli, fuggito da Montevideo e unico imputato presente durante il processo romano, mentre tutti gli altri sono stati giudicati in contumacia.
“Sono deluso, ma rispettiamo la sentenza” ha detto Sendic a Rebibbia alla Voce di New York. “Ci aspettavamo un’altra cosa, ma siamo sereni perché abbiamo fatto tutto quanto dovevamo fare, come governo. Capisco l’indignazione di alcuni parenti delle vittime. C’è molto dolore accumulato durante tanti anni… ma io non sono in grado di giudicare la decisione del Tribunale”, ha spiegato Sendic.
“Processo Condor: lo Stato chiede verità e giustizia per le vittime italiane”, aveva scritto su Twitter la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, che la mattina del 17 gennaio, poche ore prima della sentenza, è stata al tribunale di Roma, accompagnata del segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo Aquilanti.
A sua volta l’ambasciatore della Bolivia, Luis S’anchez, ha espresso la “solidarietà” del suo Paese “con i familiari delle vittime” e ha sottolineato l’importanza che “l’Europa abbia riconosciuto la responsabilità del Condor e dei capi boliviani”.
Infatti, il tribunale romano ha condannato all’ergasto l’ex presidente boliviano Luis García Meza e il suo ministro degli Interni, Luis Arce Gómez.
Gli altri condannati all’ergastolo sono stati Juan Carlo Blanco (ministro degli Esteri dell’Uruguay), Jeronimo Hernan Ramirez Ramirez (Cile), Francisco Rafael Cerruti Bermudez (ex presidente del Perù), Valderrama Ahumada (ex colonnello dell’esercito del Cile), Pedro Richter Prada (ex primo ministro del Perù) e German Ruiz Figeroa (capo servizi segreti del Perù).
“Dopo 40 anni, le vittime del Condor sono qua, in piedi davanti il tribunale, per chiedere giustizia. Non sono allegro, capisco la terribile frustrazione di molti. Ma la legge è stata applicata in un procedura che tutti abbiamo accettato. Sono con i familiari ed esprimo la mia solidarietà”, ha detto l’ambasciatore del Cile, Fernando Ayala.
Il diplomatico cileno ha ricordato che nel suo Paese “più di 100 militari sono stati condannati” e che “le cause sono ancora in piedi”.
In conferenza stampa, gli avvocati delle parti civili costituite si sono dichiarati “soddisfatti” per il “riconoscimento del Condor”. “Nonostante i tempi e le tempeste, l’operazione Condor è esistita, ha prodotto vittime e ha costruito un sistema brutale di terrore. A Roma abbiamo fatto rivivere storie di persone che altrimenti andavano perse”, ha detto l’avvocato Arturo Salerni, dei familiari della Bolivia.
Ma a suo parere si deve proporre appello: “Non si tratta solo dei grandi capi mandanti, si debbono rivedere i casi di tutti coloro che hanno partecipato nei crimini. Penso in particolare al caso Troccoli”, ha spiegato.
“Difficile trovare un sentimento univoco. Tra gli assolti vedo tutti i militari uruguaiani. E’ solo per caso?”, ha riflettuto l’avvocato Andrea Speranzoni. A suo parere, giustizia “tardiva, manipolazione e difficoltà per arrivare alle prove” sono i punti d’ ombra.
“Oggi abbiamo avuto una giustizia parziale: riconoscimento del Piano Condor e otto ergastoli, da una parte. Ma anche un pugno sul tavolo, l’assoluzione di tutti i militari uruguaiani. Sentenza molto problematica. Non è finita. Dobbiamo tentare di ricuperare in appello”, è stata la sua sintesi.
Fondamentale per il ricorso in appello sarà la lettura delle motivazioni della sentenza che la Corte si è riservata di depositare entro 90 giorni.
Le contradizioni della sentenza sono state palesi nel pianto gioioso di Maria Paz Venturelli, cilena, figlia della vittima Omar Venturelli, e del suo avvocato, Marcello Gentili, e il dolore e l’indignazione di Maria Victoria Moyano Artigas, uruguaiana, mamma e babbo scomparsi, e lei nata in un campo di concentramento. Accompagnata da un fratello di sua madre, Maria Victoria ha avuto parole durissime.
“Sono venuta con la speranza di avere giustizia. In Uruguay c’è l’impunità. Non possiamo avere un processo. Noi pensavamo che una condanna italiana contro i casi del Condor poteva essere utile per continuare la lotta in Uruguay, dove la transizione è stata concordata. Ma me ne vado con rabbia e delusione. Dicono che non ci sono prove contro Troccoli. Io sono la prova vivente! Lo Stato uruguaiano si era costituito parte civile in questo processo ma non si può identificare con le vittime, con me, con mio zio perché l’Uruguay ha fatto l’accordo di impunità con i militari! Dopo tanti anni attraverso di nuovo l’Atlantico molto delusa, ma anche decisa a continuare la lotta. Come si canta in Argentina contro i responsabili del genocidio, ‘ a donde vayan los iremos a buscar!’ (dovunque andiate vi verremo a cercare). Abbiamo ancora molto da lavorare”.
Il Processo Condor riguardava il sequestro e l’omicidio di 42 giovani, tra cui 20 italiani, avvenuti in Cile, Argentina, Bolivia, Brasile e Uruguay tra il 1973 e il 1978. Gran parte di loro sono ancora oggi desaparecidos, perché i corpi non sono mai stati ritrovati.
L’udienza del 17 gennaio scorso è stata aperta dalla Presidente della III sezione della Corte d’Assise di Roma, Dott.ssa Evelina Canale e i giudici si sono ritirati poco dopo in “camera di consiglio” per emettere la sentenza, letta in una sala bunker affollatissima, che aspettava commossa il risultato del lungo processo contro i 33 imputati.
Il 14 ottobre 2016 la PM Dott.ssa Tiziana Cugini, che aveva condotto la maggior parte dell’udienze, al termine della sua requisitoria ha chiesto 27 condanne all’ergastolo e un’assoluzione (5 imputati nel frattempo erano deceduti fino a quella data).
Il processo di Roma sul piano Condor è il secondo nel mondo dopo quello che si è svolto in Argentina (finito a ottobre 2016) e il primo in Europa.