Quando ero in Italia, pensavo che essere un'italiana fosse in parte una condanna. Poi, come tutti i viaggiatori, e non dico quelli in vacanza per due o tre giorni, ma coloro che io chiamo viaggiatori 'a lungo termine', si impara ad apprezzare la propria italianità proprio quando si vive all'estero.
Quando si è italiani all'estero, bisogna abituarsi ai classici stereotipi del ''pizza'' e ''mandolino''. E non scordiamoci la ''mafia'', specialmente il meridionale sa che prima o poi la domanda salta fuori, ''Ma che per caso sei figlio o figlia di mafiosi?'', il che praticamente capita ogni qual volta che ti presenti ad un nuovo straniero. In tutto il mondo.
Da buona viaggiatrice a lungo termine e da meridionale, anche io c'ho fatto l'orecchio.

Anna Gallotti
Quindi quando mi presento per La VOCE, lunedì 4 maggio, al Calandra Italian American Institute della City University di New York diretto dal Dean Anthony Tamburri, per il primo seminario ILICA and Friends, lanciato dall'Italian Language Inter-Cultural Alliance, sul significato dell'identità italiana in America, non so bene se aspettarmi un gruppo di italiani pronti a scagliare tuoni e fulmini sull'Italia o a lodare 'la dolce vita' passata del nostro paese.
Nessuna delle due cose.
Vengo subita accolta da un gruppo misto di connazionali di prima generazione, seconda e terza. Non sono solo gli italiani, cresciuti in Italia e poi scappati all'estero, ma moltissimi gli Italian-Americans, che hanno genitori o nonni a loro volta cresciuti in diverse parti della nostra penisola, e poi trasferitisi negli Stati Uniti.
Subito capisco cosa l'Italianità significa per loro. Tra bottiglie di buon vino italiano, pane fresco e grissini, sulla tavola troneggia una forma di parmigiano Reggiano. E chi con un italiano fluente, chi stentato, chi in inglese, tutti parlano e ridono delle bellezze dell'Italia, i viaggi, i ricordi, i castelli e le chiese. Si respira proprio aria italiana.
Aprendo il seminario, Donna Chirico, docente al York College della City University di New York e Presidente di ILICA U.S.A., dice che "noi speriamo con questo primo ciclo di Ilica and friends di poter mantenere viva e forte la cultura e l'identità italiana, a partire dalla lingua, la lettura e l'arte, tra un bicchiere di vino e l'altro''.
''ILICA è un organizzazione inter-culturale che ha l'obiettivo di rappresentare gli italiani nel mondo, e di diventare l'organizzazione italiana nel mondo'', sottolinea. La fondazione fu fondata dieci anni fa dall'imprenditore Vincenzo Marra che, insieme ad altri imprenditori, scienziati e accademici, ritenne necessario dare una nuova spinta alla promozione della lingua e quindi dell'identità italiana in America e nel mondo.
A condurre il seminario è stata chiamata Anna Gallotti, life coach ed autrice, la quale presenta il suo ultimo libro su come l'identità e l'esperienza influiscono sulle nostre scelte di vita.
Fondamentale per essere felici nella vita è fare delle scelte appropriate al proprio carattere, spiega la life coach, lei stessa un ex avvocato che solo dopo aver perso traumaticamente il lavoro, ha scoperto la sua vera "identità". ''Ma bisogna imparare a prendere le scelte giuste, anche se nell'immediato ci fanno soffrire''. E le buone scelte "dipendono dalla nostra identità – l'insieme dei valori, l'essenza e l'energia vitale – dalle nostre esperienze, e dalla nostra attitudine verso la vita'', aggiunge Gallotti.
Italiana per nascita, parigina adottiva, Gallotti ha vissuto i primi 25 anni della sua vita a Milano, per poi trasferirsi in Francia, dove ha lavorato per 20 anni. Oggi vive a New York con la famiglia.
''Innanzitutto io mi sento italiana, però mi sento anche cittadina del mondo'' dice chiacchierando con La VOCE alla fine della sua presentazione.
Gallotti racconta che nella sua esperienza di vita ha dovuto lavorare molto su chi fosse e sul suo background culturale. ''Una persona può avere tante case nel mondo, perché si trova bene ovunque. Pero è fondamentale avere un'identità, un punto fisso, il mio è italiano''. ''E poi avendo due figlie ho dovuto proprio decidere quali radici trasmettere loro. Volevo che sapessero che avessero dei nonni italiani'', aggiunge Gallotti.
Ma la particolarità dell'identità dell'italiano all'estero, è che in un certo senso diventa una particolare identità italiana, che molto spesso non riflette l'identità italiana di chi vive in Italia.
''Ogni volta che rientro in Italia, divento sempre più critico'', spiega un italiano presente al seminario ''perchè io non mi rifletto più negli italiani che sono nel luogo, e non riesco più ad integrarmi fra loro. E di conseguenza loro non percepiscono più me. Ma io sento comunque di avere un'identità italiana forte''.
Sono queste parole che fanno eco nella mia testa, in quanto io stessa faccio fatica ancora a capire qual è la mia vera identità. Sono italiana? Sì! Voglio vivere in Italia? No! E perciò che identità assumo?
Ma Gallotti mi tranquillizza. ''E' normale avere questi dubbi, ma alla fine qualsiasi paese ha le sue bruttezze. Per me accettare il fatto di essere italiana, è anche accettare ciò che non va, proprio perché fa parte di quella cultura […] Quello che non ti piace puoi decidere di cambiarlo facendo qualcosa di attivo''.
Diversa è invece la reazione degli Italian-American di seconda o terza generazione. Ad un certo punto, durante il dibattito, il poeta e scrittore Robert Viscusi, professore al Brooklyn College, ha raccontato, quasi fosse una confessione di uno stato d'animo: "Io sono cresciuto fregandomene della mia italianità. Ho studiato fino al PhD, diventando professore di letteratura inglese, quindi che mi importava. La mia identità italiana non la sentivo e non mi serviva. Però quando arrivò il momento di sposarmi, mia moglie mi costrinse a far il viaggio di nozze in Italia. Io ero titubante… Ma quando sono arrivato in Italia, dopo aver visto la vera vita degli italiani, mi son detto: ma io sono italiano! Voglio essere, sentirmi italiano!"

Robert Viscusi
Nel raccontare la loro ''Italianità'' non posso fare a meno di percepire un'ondata di romanticismo, e di attaccamento nostalgico ad una terra che è loro, ma non è loro.
''Per questo Ilica vuole preservare l'identità e la cultura italiana all'estero, per offrirla a tutti questi Italo-Americani, che un'identità vera e propria non hanno'', mi confida la presidente della fondazione Donna Chirico, ''loro non si sentono né Americani al 100 percento, ma nemmeno Italiani al 100 per cento".
Ed è per questo che gli Italo-Americani raccontano di un amore ed un'ammirazione per un'Italia che vedono e percepiscono attraverso il filtro dei loro occhi e delle loro esperienze, proprio come ha spiegato Gallotti.
''La fortuna di chi vive all'estero è proprio quella di poter scegliere quello che ad ognuno di noi piace o non di quella identità. Ecco perché loro hanno scelto la visione romantica dell'Italia'', conclude la life coach.
Chi ammira l'arte, la natura e l'architettura italiane, chi è andato in vacanza con la moglie e si è innamorato della regione, chi è andato in vacanza solo e si è innamorato di un'italiana, chi ama la passione, il calore e l'ospitalità degli italiani e li ha fatti suoi, e chi ha mandato i propri figli in vacanza tutte le estati in Italia. Insomma l'identità italiana in America resta forte, e continua ad essere trasmessa di generazione in generazione.