Arriviamo in Louisiana dopo un giorno di guida attraverso le back-roads dell’Alabama e del Mississippi. Quando notiamo su entrambi i lati della strada distese di cotone pronto per essere colto, abbiamo la certezza di essere arrivati nel profondo Sud.
La nostra meta è la Tangipahoa Parish dove ci aspettano due giorni di incontri con i discendenti dei siciliani arrivati in Louisiana tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.

Campi di cotone nei pressi di Tuskegee in Alabama
Per la prima volta realizziamo un'intervista collettiva: alla biblioteca di Independence, grazie al prezioso aiuto dell'amica Abby LeDoux, ci accoglie un folto gruppo di italo-americani pronti, come abbiamo scritto nel nostro progetto, “a condividere le loro memorie”. Dopo avere ascoltato con grande partecipazione una presentazione improvvisata del nostro libro Explorers Emigrants Citizens, iniziano a dipingere davanti ai nostri occhi la loro versione del sogno americano, iniziato dai nonni e dai bisnonni sbarcati dai piroscafi che viaggiavano sulla tratta Palermo-New Orleans. Ogni storia famigliare segue un percorso simile: l'arrivo dalla Sicilia come braccianti, i sacrifici per acquistare un primo piccolo appezzamento di terra, il progressivo allargamento della proprietà in cui venivano coltivate quasi esclusivamente fragole. Grazie al fondamentale contributo dei contadini italiani, questa zona divenne infatti la capitale della produzione di fragole di tutti gli Stati Uniti.
Le parole rimbalzano da una parte all'altra della sala; una voce inizia un racconto che viene poi concluso, completato, rettificato da altre voci. La sensazione è quella di entrare a far parte di una famiglia allargata che si ritrova dopo il pranzo domenicale per ricordare storie tramandate di generazione in generazione. Nel gruppo che abbiamo davanti emergono presto due personaggi: da una parte “la matriarca”, un'anziana signora, magrissima, i cui gesti sono al tempo stesso eleganti e autoritari. Parla pochissimo ma quello che dice è ascoltato con grande attenzione da tutti e un suo gesto di assenso dà al narratore di turno la sensazione di potere continuare nel proprio racconto; comprendiamo il motivo di tanta deferenza solo quando scopriamo che era stata per decenni l'insegnante del paese – e che tutti i presenti, prima o dopo erano stati suoi alunni.

Paolo Battaglia presente il libro Explorers Emigrants Citizens alla biblioteca di Independence, Louisiana
Dall'altra parte della sala si trova invece “il narratore”, un anziano signore che pur essendo un “full-blooded Italian American” ha l’aspetto, le movenze e l’abbigliamento tipico del countryman del Sud. E che dire dell’accento: un esempio perfetto di quel southern accent in cui si percepiscono le influenze di tutti i gruppi etnici che hanno popolato queste zone. Un accento sporco, duro ma con una straordinaria musicalità che ha senz’altro aiutato a fare della Louisiana la culla della musica popolare americana. L’aneddoto che il resto della nostra audience gli prega di raccontare ha anche un titolo: “Uncle Sam’s mule”, la mula dello zio Sam. Ecco quello che ci ha raccontato: “A ovest di Independence, una grande segheria stava tagliando tutti gli alberi per fare spazio alle coltivazioni. Mio zio andò lassù per vedere se avevano bisogno di un operaio. Il caposquadra lo guardò e gli disse: "No, ne abbiamo già abbastanza, ma se dovessi avere bisogno… dov’è che vivi?". Lo zio Sam gli rispose: "Vivo vicino a Amite City" [il capoluogo della Tangipahoa Parish]. "Ok, se avrò bisogno ti chiamerò. Manderò qualcuno a prenderti". Lo zio Sam si allontanò per salire in groppa alla sua mula. Fu allora che il caposquadra lo fermò dicendogli: "Aspetta un attimo, quella mula è capace di trascinare un tronco?". Lo zio rispose: "Beh, ha sempre trainato tutto quello a cui l’ho attaccata, mai provato con un tronco". L’altro disse: "Senti, tu portala domattina con la sua bardatura così capiamo se è capace di tirare un tronco… e se riesce a trascinarlo, la pagheremo 15 centesimi al giorno e la nutriremo… e daremo a te 10 centesimi al giorno per guidarla" Ed è stato così che ha avuto il suo lavoro, o meglio che la sua mula ha ottenuto il lavoro per lui!”.
Un piccolo aneddoto per farci capire senza ombra di dubbio che in molte zone del Sud nei primi anni di emigrazione, gli italiani si trovavano ad affrontare condizioni di vita e di lavoro terribili che spesso andavano di pari passo con un evidente razzismo nei loro confronti. C’è chi ricorda ad esempio il caso di Ponchatoula, città in cui nei primi anni del Novecento era esposto un cartellone stradale che scoraggiava gli italiani (definiti con il termine dispregiativo “Dago”) a farsi trovare all’interno dei confini cittadini dopo il tramonto.
A distanza di oltre 120 anni, in queste zone viene ancora ricordato l'episodio di razzismo più grave che abbia mai colpito gli italiani negli Stati Uniti, passato alla storia come il Linciaggio di New Orleans.

Daniela Garutti, una dei tre ricercatori che hanno preso parte al viaggio alla scoperta delle comunit├á italiane d’America, all’interno┬ádell’Independence Italian Cultural┬áMuseum
Le edizioni del Daily Picayune del 14 e del 15 marzo 1891 ricostruiscono gli eventi culminati con l’assalto di una folla inferocita alla Old Parish Prison di New Orleans e con il linciaggio di undici italiani accusati dell’omicidio del capo della polizia locale David Hennessy. I fatti di New Orleans portarono a un’interruzione dei rapporti diplomatici tra Italia e Stati Uniti, unico caso nella storia prima della seconda guerra mondiale. Alcuni anni dopo, l’ambasciatore italiano Mayor des Planches descriveva così gli avvenimenti: “[Gli italiani] erano stati legalmente assolti dalla giuria il giorno avanti. I creoli, convinti che fossero colpevoli e che la giuria li aveva prosciolti perché intimorita o comperata, li vollero morti. E vennero linciati, non da un mob cieco ed irruente, ma da un gruppo di note e cospicue persone: avvocati, commercianti, soci del primo Club cittadino, ufficiali e graduati della polizia e della milizia. La folla, da costoro aizzata, seguiva; ma non irruppe nel carcere se non a eccidio compiuto. La cittadinanza ebbe, poi, rimorso del crimine collettivo commesso, crimine tanto più orrendo in quanto che, se forse vi erano parecchi colpevoli fra i linciati, vi era certamente anche qualche innocente”.
L’episodio di New Orleans fu solo la punta dell’iceberg di una serie di linciaggi negli stati del Sud tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Gli italiani detengono il poco invidiabile record del maggior numero di linciaggi dopo quelli subiti dagli afro-americani. Un fatto ben chiaro all’opinione pubblica in Italia se La Tribuna il 24 luglio 1899 scriveva “Se la legge di Lynch viene applicata contro stranieri, su cento casi novanta sono italiani”. L’articolo del quotidiano romano arrivava sulla scia di ciò che era accaduto a Tallulah in Louisiana, dove cinque italiani originari di Cefalù erano stati linciati a causa di una disputa tra vicini.

La torre dell’acqua tricolore a Independence ricorda l’appuntamento annuale con l’Italian Festival
Ma New Orleans e la Louisiana sono anche altro, ad esempio la musica jazz. Di musica parliamo con Burke Ingraffia, songwriter e professore di Music Industry Studies alla Loyola University che, nella sua discografia, ha anche un pezzo intitolato Independence, Louisiana in cui racconta, con un mood molto country, la storia della sua famiglia siciliana.
Parlando con lui sulle panchine del campus della Southeastern Louisiana University di Hammond, il discorso parte proprio dal fondamentale contributo dato dai musicisti italiani – ancora una volta soprattutto siciliani – alla nascita della musica jazz. Un contributo ampio e molto radicato nei ritmi del primo jazz di New Orleans e che si può riassumere con quanto fatto da Nick LaRocca, autore del primo disco jazz ad arrivare nei negozi americani. Si trattava di Livery Stable Blues uscito nel febbraio 1917 nell’esecuzione della Original Dixieland Jass Band (a quel tempo Jazz era davvero scritto con due S) in cui Nick LaRocca era accompagnato anche da Tony Sbarbaro alla batteria. Insomma, anche questa nostra chiacchierata in una piacevole serata autunnale in Louisiana conferma che anche il jazz è nato italiano come sostiene il grande Renzo Arbore nel suo documentario Da Palermo a New Orleans e fu subito jazz.
Questa è la quinta puntata dell'Italian American Country, un tour di 6.000 miglia e 15 tappe attraverso gli USA alla scoperta degli italoamericani che vivono nelle piccole comunità. Da questo viaggio nasceranno un libro fotografico e un documentario che vedranno la luce nella primavera/estate del 2015.
Le immagini storiche e i testi sono tratti dal libro di Paolo Battaglia, Explorers Emigrants Citizens, disponibile su Amazon.