Quando arriva in America, a New York, nel 1931, grazie all'aiuto di Luigi Einaudi e della Rockefeller Foundation, Max Ascoli possiede un inglese ancora scolastico ed è angosciato per le sorti di tanti amici liberali ebrei rimasti in Europa (da Leone Ginzburg a Eugenio Colorni). Ricerca in tutti i modi la ricongiunzione di humanities e potere, in Italia sempre sfuggita.
Pochi mesi dopo, padroneggia la lingua, veste la giacca bianca, conta amici tra giornalisti, scrittori e uomini del Congresso. Inizia una fervente attività intellettuale: con Gaetano Salvemini, fonda The Mazzini Society, sodalizio importante ma non di massa; collabora a The World – Il Mondo; fonda il quindicinale The Reporter ( 1949-1968 ), rivista che sembra in alcune fasi tener alta la fiaccola della Libertà nella vita politica americana e mondiale. Alla fine, Ascoli dirà (pur tra tante e crescenti incomprensioni): "Solo in questo Paese mi sono sentito veramente importante e pienamente realizzato".
Va sottolineato il ruolo svolto da Ascoli in ambito internazionale a supporto degli esuli perseguitati, e in ambito religioso, o di filosofia della religione, dove egli si colloca tra gli ebrei “modernizzanti” o “modernisti”, a fianco di Ernesto Buonaiuti e di “Conscientia”, di Felice Momigliano e Enzo Sereni, Arturo Carlo Jemolo (ebreo per parte di madre ) e Piero Treves, Alessandro Levi, Ludovico Limentani e Giorgio Levi della Vida (come negli studi di Alberto Cavaglion ).
Nette le sue posizioni su libertà di religione e discriminazioni razziali. In un saggio del 1957 dal titolo, La libertà. La natura dei diritti, Ascoli scrive: “Il diritto di professare una religione, che vien detto libertà religiosa, non significa una cinica indifferenza verso la religione o la concessione di una illimitata licenza a qualunque specie di culto. La libertà religiosa è una q u a l i t à, un tipo di esperienza religiosa”. E ancora: “Dovunque si compie il tentativo di segregare un gruppo di esseri umani per motivi o di razza o di classe o di religione, e di escluderli da quelle attività fondamentali che formano l'uomo, sappiamo con assoluta certezza che ivi ci troviamo di fronte a una delle più aberranti forme di male; un male che dobbiamo combattere senza compromessi”.
Esalterà la "fredda precisione" di John Fitzgerald Kennedy; il presidenzialismo di Charles De Gaulle e Lyndon Johnson, fino al Sessantotto e alla guerra nel Vietnam. Alcuni storici e cineasti han voluto vedere in lui l'influenza della CIA. Ma non è dimostrato che The Reporter beneficiasse di tali canali o interventi. Anzi, nell'impresa Ascoli continuava (con la moglie ) a rischiare del suo. Era la fede nella libertà, la "religione della libertà", che lo spingeva a battaglie difficili. Perciò (parafrasando il titolo del bel libro dedicato a Hirscham da Edelkman), lo si può definire "Filosofo mondiale della Libertà".
Negli anni 30, risponde già alla domanda "After Mussolini, What? Il comunismo", che stava diventando una “vulgata” di parte dell'opinione pubblica reazionaria statunitense, contrapponendo una risposta diversa: "No. L'Italia. Noi abbiamo fede nella vitalità, nella saggezza, nel buon senso del popolo italiano".
Collaborerà a Criterio di Carlo Ludovico Ragghianti (1957-58), con articoli di filosofia del diritto, studi da cui era vichianamente partito da giovane. “Liberale gentiluomo” e filosofo del diritto, denuncerà la nascente lobby cinese, i pericoli di Cuba, il fanatismo razzistico del Ku Klux Klan, i limiti della utopia totalitaria. Elogia Claire Sterling, Isaac Deutscher, gran studioso di sociologia e critico dello stalinismo, la scoperta e pubblicazione del Dottor Zivago di Boris Pasternak, ritrovato per le cure di Giorgio Bassani, amico ferrarese. La politica non può controllare l'interezza della vita, questo il suo messaggio, da "uomo profondamente religioso" (come dirà nel congedo dell'ultimo numero di The Reporter, 13 giugno 1968).