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Da Andria a New York, il “mondo vecchio, sempre nuovo” di Achille Vianelli

Online, sul Metropolitan Museum of Arts di New York, la pittura digitalizzata di "Andria" di Achille Vianelli, raffigurante Piazza La Corte

Giuseppe BresciabyGiuseppe Brescia
Da Andria a New York, il “mondo vecchio, sempre nuovo” di Achille Vianelli

"Andria" di Achille Vianelli

Time: 7 mins read

A conferma che la ‘rete’ informatica può, insieme,  costituire,  “miniera” ( oltre che, a volte, la “pattumiera” ) dell’universo, si propone la scoperta effettuata da Nicola Ferrara della pittura di Achille Vianelli ( Porto Maurizio 1803 – Benevento 1894 ), riproducente la animata Piazza La Corte di Andria, con  firma e data del giugno 1851 in calce: dipintura custodita dal Metropolitan Museum of Art di New York, e accessibile a tutti in via telematica. L’opera è il dono, o “Gift”, di David e Constance Yates, “In memory of Lawrence Turcic”, e consta di medie dimensioni ( cm. 30.2 x 40 ). La cultura ufficiale pugliese e italiana ha lasciato quasi cadere la cosa,  intenta come è alla pratica di “misfatti quotidiani” (quali l’occupazione sistematica delle casematte della società civile, o piuttosto l’obbligo di “erudire il pupo” sulla varietà liquida degli appetiti personali).

Ma – in sede di ricerca storica – val bene la spesa di chiedersi chi sia stato Achille Vianelli (e, con lui e dopo di lui, il figlio Alberto, pittore egli stesso, nato a Cava dei Tirreni il 1847 e deceduto in Benevento nel febbraio 1927).

Figlio di Giovan Battista Vianelli, veneto, agente consolare napoleonico che aveva francesizzato il proprio cognome in “Vianelly” in omaggio alla consorte, Achille riassunse l’italico nome, prima trasferendosi a Otranto e a Napoli, a partire dal 1819, dove frequentò la scuola “verista” di Giacinto Gigante, suo  “maestro”, poi animando il gruppo di Wolfgang Huber e Anton Sminck Van Pittloo, della cosiddetta “Scuola di Posillipo”. Codesta “Scuola” privilegiava la prospettiva larga e ariosa dei paesaggi o delle piazze, delle marine e dei centri urbani, con una fresca adesione al “vero” e una “inquadratura” classica, detta prospettiva “quadraturistica”, del campo visivo. Il Vianelli ebbe il figlio Alberto, a Cava dei Tirreni nel ’47, passando l’anno dopo nella città di Benevento, dove fondò una Scuola di pittura personale nel Chiostro di Santa Sofia, dalla Chiesa bizantina a pianta centrale che impreziosisce il centro storico della città. Conobbe, nella direzione di quella associazione, alterne vicende e fortune. Si noti che non è esatto quanto riportato dalla enciclopedia “Wikipedia” a proposito della data di nascita del citato figlio di Achille, Alberto, al 1871 (i documenti riferiscono  il 1847: mai avrebbe o potuto, quest’ultimo, trasferirsi a Parigi nel 1875, città dove ebbe i migliori successi europei !). La fama di Achille Vianelli, dovuta ai ritratti di Posillipo, Ischia, dei paesaggi liguri, di Andria, Napoli e Piazza San Gaetano con la Chiesa di San Lorenzo Maggiore, venne a consolidarsi nel tempo. Ne comunico, qui, le tappe essenziali: Raffaele Liberatore, Viaggio pittoresco nel Regno delle due Sicilie, Cuciniello e Bianchi, Napoli 1829, voll. 3, i primi due gravitanti su Napoli e le province, il terzo sulla Sicilia: in quest’opera che avrebbe dovuto superare il Viaggio pittoresco del Saint-Non, Vianelli è ancora scritto alla francese, come Achille Vianelly, e firma le vedute del porto e della piazza di Barletta; l’inglese Francis Napier, Notes on Modern Painting at Naples, Parker, London 1855, pp. 80-82 ( anche in estratto, dalla “Gazzetta Musicale” di Napoli, 1852, come Della pittura napoletana ) ; Mostra Borbonica del 1851, Napoli 1855; Alfredo Meomartini, Achille Vianelli, in “Arte e Storia”, XIII (1894), pp. 69-70; Angelo De Gubernatis, Dizionario degli artisti d’Italia, pittori scultori e architetti, Le Monnier, Firenze 1889, p. 544 ( su cui è da vedersi la Sezione “Croce e la Toscana” del mio Croce inedito del 1984 ); Catalogo biografico della mostra della pittura napoletana dell’ Ottocento, Napoli, “Fiera Campionaria”, 1922; Carlo Muscetta, Pittori napoletani dell’ Ottocento ad Avellino, in “Irpinia”, III, 1931, pp. 247-252 ( saggio in cui il critico letterario “desanctisiano” si occupa di Achille Vianelli, Giacinto Gigante, Saverio Altamura e Gioacchino Toma ); Stefano De Lucia, Arti Belle ed artisti in Benevento dal secolo XV ai nostri giorni, Benevento, Stab. Tipografico “Le forche caudine”, 1933 ( che tratta insieme di Achille e Alberto Vianelli ); Giuseppe Ceci, Bibliografia per la storia delle arti figurative nell’ Italia Meridionale, Napoli 1937, Società di Storia Patria, voll. I-II, passim; Mario Rotili, L’arte nel Sannio, Benevento 1952, p. 159; Raffaello Causa, La Scuola di Posillipo, Fabbri, Milano 1967, s.v.; Anna Barricelli, Achille Vianelli e la scuola di Posillipo, “Napoli Nobilissima”, N. S., vol. 8 (1969), pp. 119-129.

Non se ne occupa Mimma Pasculli Ferrara, il cui pregevole volume, edito da Schena nel 1983, riguarda l’ “Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo”. Ma, di recente, la Provincia di Benevento e il Museo del Sannio, per le cure di Vega De Martini e Ferdinando Creta, hanno dedicato ben due mostre, con catalogo, a “Achille Vianelli: Da Posillipo a Santa Sofia. Soggetti beneventani dalle collezioni del Museo del Sannio” ( Luglio 2013 ), e “Achille e Alberto Vianelli e la cultura figurativa italiana” ( giugno 2014 ). Quest’ultima, promossa a stretto giro dopo il successo della prima, ha approfondito gli aspetti poetici e solari della costiera amalfitana, specialmente di Ischia, della Chiesa della Madonna del Soccorso a Forio e del Colosseo.

Per quanto riguarda “Andria” ( 1851 ), la dipintura sulla tinta color ‘seppia’ preferita dall’artista, quasi ‘filtro di memoria storica’, su grafite e ad acquerello, frutto di viaggi e frequentazioni pugliesi,  piacque anche a visitatori inglesi, e piace a noi, per la visione cordiale del ceto popolare, contadini con animali e  borghesi in piazza, scena definita da un lato dalle guardie in costume borbonico, e dall’altro da un palazzo in stemma “sabaudo”( il tutto sotto lo sguardo ieratico della statua di San Riccardo, che campeggia al fianco della Cattedrale ). Oltre i Campanili di San Francesco e della Cattedrale, si nota ancora – nel dipinto- quello centrale, rispetto all’ asse prospettico, del Convento delle Benedettine, poi abbattuto per ragioni sanitarie durante la carica podestarile dell’ avvocato Consalvo Ceci ( 1937-41 ), e le cui pietre furono utilizzate in parte per la costruzione del Campo sportivo. “L’arte tanto intuisce quanto prospetta”: – il mio assioma di estetica può bene riflettere la ampia visione patria dell’artista. Ma qui viene in mente – poeticamente – il “mondo vecchio, sempre nuovo”, titolo della terza parte del Mulino del Po del classico Riccardo Bacchelli ( 1891-1985 ), a circa trent’anni dalla morte del narratore, storico e critico. E’ come, cioè, se il Vianelli abbia fuso insieme – lui di origini liguri, da Imperia, di cui Porto Maurizio è con Oneglia uno dei due poli, passata ai Savoia dopo la campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte – il passato-presente ( guardie borboniche ), il  presente vivo e attuale ( la comune conversazione civile ) e il presente- avvenire ( insegna sabauda nello stemma a sinistra). Singolare è  che al posto di questo nobile palazzo sia subentrata nel tempo la farmacia di don Nicola Pedone, fratello di mia nonna Fanny e testimone dell’ “Italia una”, di cui lo stesso era stato seguace ( ora, farmacia Del Monaco ).

Di tutte le opere paesaggistiche del Vianelli, in effetti, una sola tra quelle esposte a Benevento risulta di soggetto storico: ed è la scena del francescano garibaldino Fra’ Giovanni Pantaleo che entra in Napoli alla testa delle Camicie Rosse di Giuseppe Garibaldi, il 7 settembre 1860. Segno certo, ancor questo, della visione patriottica e risorgimentale ereditata dal Vianelli; e onorata per noi. Per queste ragioni, il dipinto del Vianelli si è conquistato l’onore di essere digitalizzato sulla rete del prestigioso “Museum”, dato il suo carattere emblematico, e non solo per pregio artistico.

Il Vianelli pregiava anche lo studio degli interni, sempre ricorrendo all’uso dell’inchiostro bruno oltre che della slargata prospettiva, insegnata all’ Accademia Napoletana di pittura (1845 ).A  questo proposito, sono da ricordarsi, almeno: l’ Interno della Cattedrale di Benevento; Interno della Sacrestia di San Domenico Maggiore in Napoli; Cripta della Chiesa di Santa Maria di Siponto; Cattedrale di Troia; Interno della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli di Andria ( tutte opere datate tra il 1838 e il 1851, anno della miglior raccolta ). In quell’anno 1851, Andria contava circa 27.500 abitanti ed era scenario di Teatrino di Corte proprio nel Palazzo Ducale. Ma noi oseremmo andare un poco oltre, fantasticando come nelle “inquisizioni” borgesiane e crociane. Chissà che lo scrittore, epistemologo delle Città invisibili, che pose Andria tra le tappe del proprio racconto, Italo Calvino, nato  il ’23 deceduto l’ ’85, e vissuto a lungo nella “sua” Sanremo, a  due passi da Imperia patria del Vianelli, – il Calvino che confida di “esser cresciuto in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto d’Italia, ai tempi in cui ero bambino: San Remo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita”, e il Calvino non ignaro d’arte e poetica di Se una notte d’inverno un viaggiatore, non abbia conosciuto questa opera e questo eccellente artista, oltre tutto essendo di casa in America, dalla visita a New York del 1976 alle geniali per quanto incompiute sue Lezioni  ( ‘Six Memos for Next Millennium’) ! Godibili ancora sono, di Calvino, Descrizioni e reportages ( Liguria magra e ossuta; Sanremo città del’oro; Liguria;Savona: storia e natura; Il terzo lato e il mare- Genova), raccolte nel secondo volume dei Saggi a cura del Barenghi ( Milano 1995, pp. 2363-2403 e sgg. ) e, specialmente, le Corrispondenze dagli Stati Uniti ( “Io amo New York” ) con i Musei marziani newyorkesi ( sempre nei Saggi, II, pp. 2499-2547 e 2567-2568 ).

Fantastichiamo certo, noi con Calvino, se è vero come è vero che lo scrittore – parlando di “musei marziani newyorkesi” – si riferisce al Guggenheim Museum, solo alludendo sinteticamente agli altri, come se essi avessero ospitato prodotti artistici derivanti da ben altri mondi, culture distanti anni e anni luce, o siderali abissi. Rimettendo i piedi in terra, certo sapeva bene tutto ciò il giovane e valoroso curatore del Metropolitan Museum, Lawrence Turcic, deceduto prematuramente a soli trentotto anni per una complicanza di polmonite, alla memoria del quale si riferiscono i coniugi Yates, creatori della omonima importante Gallery newyorkese e donatori del dipinto “Andria”. Il giovane Turcic è ora onorato con una scultura angelicata firmata “Susan” al Saint Denis Cemetery di New York, inciso il versetto di di Marco 5.3: “Do not fear, only believe”. Dopo aver studiato alla Fordham University e alla Università di New York, “Larry” lavora per undici anni come ricercatore, curando con Jacob Bean i cataloghi Fifteenth-Eighteenth Century French Drawings in The Metropolitan Museum of Art; e Fifteenth and Sixteenth Century Italian Drawings in the Metropolitan Museum of Art ( 1982 ). La sua prodigiosa erudizione viene – per dir così – “estesa” al XIX secolo, mercé l’affidamento dell’opera del Vianelli del 1851 al Museo stesso. David e Constance Yates, da me interpellati, in qualità di autorevoli galleristi di European Sculpture and Drawings ( Box 580 Lenox Hill Station New York 1021 ), ad esempio della stampa ottocentesca di Bartolomeo Pinelli Summer in the City, mi comunicano che il dipinto di Vianelli fu alla lor volta acquisito verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso dalla Galerie Prouté di Parigi, sita al 74 Rue de Seine ( “Caro Professore Brescia, Goodnes, that was a very long time ago” ), e quindi ceduto al Metropolitan Museum, “when Jacob Bean was the head of the Dept. of Drawings and Larry Turcic was his assistant”. Dunque, è lecito suppore che il dipinto del Vianelli, “The Main Square of Andria”, sia passato dalla famiglia o dagli eredi ( il figlio di Vianelli Alberto viaggiò e insegnò in Francia ) prima a Parigi, poi dalla Galerie Prouté alla Galleria newyorkese di Constance e David Yates, e da questi ceduto al Metropolitan, qui -infine- vivamente apprezzato e rivisitato, da ultimo digitalizzato. “Messaggio nella bottiglia”, nella società globale ( Da Imperia a Benevento e Andria; da Andria a Parigi e New York ): forse, non affatto estraneo al “Castello dei destini incrociati”, di calviniana memoria!

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