“Per tutti era il personaggio famoso, l’attore, il comico, lo scrittore, ma soprattutto Fantozzi che anche i bambini sanno chi è. Per me è sempre stato e rimane mio padre”. Così si legge nella retrocopertina del nuovo libro della figlia di Paolo Villaggio, Elisabetta, intitolato Fantozzi dietro le quinte, edito da Baldini+Castoldi. Elisabetta Villaggio, nata dalla lunga e felice unione dell’attore con Maura Albites, dopo aver esordito nel cinema come regista (di lei ricordiamo in particolare un’intervista-documentario a Franca Valeri uscita nel 2005), e a seguito della pubblicazione di diversi romanzi, fra cui ricordiamo “La mustang rossa”, uscito nel 2016, sente il bisogno di raccontare suo padre come uomo, prima che come interprete di alcune fra le più celebri maschere, intendendo con questo termine un significato alto che richiama la Commedia dell’Arte, della televisione e del cinema italiani: il personaggio goffo e impacciato Fracchia, lo stralunato prestigiatore Professor Kranz e il celeberrimo ragionier Ugo Fantozzi. Partendo dai ricordi d’infanzia nella Genova degli anni ’50, passando per la gioventù “dissennata” e foriera di buoni frutti creativi insieme all’amico Fabrizio De André, per giungere alla gavetta romana, senza trascurare i momenti bui come il rapporto difficile col cibo, il problema dell’ansia, il ritiro e la malattia, Elisabetta Villaggio offre un ritratto intimo e intenso di Paolo Villaggio, rivelando qualche particolare inedito e donando una foto ricordo del viaggio nella Grande Mela a La Voce di New York.
Quali motivazioni l’hanno indotta a scrivere un libro dedicato a suo padre [Fantozzi dietro le quinte, Baldini+Castoldi]?
“Mi sono resa conto che tante persone mi chiedevano aneddoti o curiosità su di lui e sui suoi film e in modo particolare su Fantozzi, così ho deciso di scrivere questo libro attraverso il quale io stessa ho scoperto cose che non sapevo”.
Il sottotitolo del libro recita: Oltre la maschera. La vita [vera] di Paolo Villaggio. Sembrerebbe alludere a un modo di vivere diverso rispetto a quello ironico e surreale del personaggio. Cosa c’era dietro la maschera?
“Nel privato mio padre era diverso, meno cinico, più dolce. In ogni caso era una persona molto riservata che non amava mostrare i sentimenti un po’ per timidezza, un po’ perché era ligure e i liguri tendono a non esternare troppo”.
Suo padre, noto ai più per aver dato vita al personaggio di Fantozzi, si è distinto anche per ruoli drammatici in film di registi come Federico Fellini, Ermanno Olmi, Lina Wertmüller, Mario Monicelli, Pupi Avati e Marco Ferreri. Qual era la disposizione prevalente nel privato: cupa o ilare?
“Dipendeva dalle giornate ma normalmente era una persona allegra, ottimista, piena di curiosità e amava molto stare con le persone, con gli amici”.
Il libro è, per sua definizione, un “memoir privato e un racconto corale”. Cosa si intende?
“C’è il racconto di lui partendo dal mio punto di vista, da quando ero una bambina e poi ci sono tante interviste di persone che hanno lavorato con lui nei vari Fantozzi sia come artisti che come tecnici quindi dietro la macchina da presa”.
Quali caratteristiche accomunano l’uomo al personaggio pubblico?
“Entrambi erano un po’ maldestri, molto poco manuali ma entrambi erano molto tenaci”.
Che padre è stato Paolo Villaggio?
“Sicuramente sui generis ma molto molto divertente. Con lui non mi sono mai annoiata”.
Può regalarci un ricordo d’infanzia che ci permetta di coglierne l’attitudine affettiva? Per parafrasarlo: “Com’era umano, lui?”.
“Un giorno, proprio a New York, l’ho fatto preoccupare tantissimo. Non è proprio un ricordo d’infanzia perché avevo circa 15 anni. Dovevamo andare a vedere un musical e io, che mi ero annoiata di aspettare in albergo, sono uscita da sola. All’epoca New York era pericolosa. Lui non mi ha trovata subito e si è preso un grande spavento”.
Compare qualcosa dell’amicizia con Fabrizio De André?
“Certamente, Fabrizio era un grande amico e spesso era a casa nostra, per me era quasi un parente. Inoltre lui recitava e si esibiva alla Baistrocchi, un cabaret universitario abbastanza off. Ma io all’epoca non l’ho mai visto perché ero piccola”.
Suo padre era anche un fine intellettuale attivo in svariati campi, dal giornalismo alla radio, dalla musica al teatro e alla letteratura. Quanto tempo trascorreva chino sui libri, come lettore e come scrittore?
“Mio padre amava leggere e leggeva soprattutto di notte prima di addormentarsi. Da un certo punto in poi a iniziato a rileggere i classici che preferiva come Kafka e Dostoevskij. Era una persona molto veloce e quindi anche quando scriveva era particolarmente rapido”.
Nessuno meglio di lui ha saputo descrivere la miseria della condizione umana. Di fronte ai soprusi e alle ingiustizie, era arrendevole e acquiescente come Fantozzi o piuttosto ribelle e battagliero?
“Era un ribelle nato, nessuno poteva imporgli qualcosa e non mollava mai la presa, era molto tenace”.
Cosa lo faceva più arrabbiare della realtà politica e sociale del suo tempo?
“Non sopportava la stupidità umana”.
Quale crede sia il lascito di suo padre come artista e intellettuale alle generazioni future?
“Anche i bambini oggi sanno chi è Fantozzi e tutti ancora ridono quando vedono i suoi film o leggono i suoi libri. Ha esasperato il linguaggio facendo sì che oggi chiunque riprenda le sue frasi più tipiche come: Batti lei, mostruosamente, pazzesco, la nuvoletta, 92 minuti di applausi. Spero che abbia lasciato, oltre all’ironia, una certa giusta e sana leggerezza”.
E a lei, cosa resta di lui?
“Mi ha insegnato ad essere forte, onesta e a cercare sempre la felicità”.