Le avevo regalato una candela profumata. L’aveva accesa e, mi diceva, le era tornata la voglia di scrivere. Era tempo che il suo ultimo romanzo era fermo. Dopo un inizio travolgente si era bloccata. non era la mancanza di ispirazione. Si era inserita la malattia, e fra aghi e tanto altro era diventato più complicato.
Quella scrittura dirompente era come in attesa. Con il profumo si sono sciolti i pensieri, il romanzo è arrivato alla fine, è stato pubblicato nel 2020 sfidando anche il Covid. “L’imperfezione delle madri”, (la Nave di Teseo) parla di donne, di vita, di capacità di risollevarsi e ricominciare. La forza di Marida Lombardo Pijola, una vita e una scrittura sempre pensando agli altri, con uno sguardo speciale verso gli ultimi, i dimenticati, le vittime, i bambini, una indignazione genuina verso le ingiustizie. I suoi editoriali per il Corriere della Sera raccontavano questo come le sue opinioni sull’Huffington Post.
Dopo gli esordi a Bari, dove era nata, si era trasferita a Roma per lavorare prima alla Gazzetta del Mezzogiorno, poi per quasi trent’anni al Messaggero. Nel quotidiano romano era divenuta presto una firma di punta, inviata speciale incaricata di coprire la cronaca giudiziaria italiana: dallo scacco al pool antimafia di Palermo alla morte di Falcone e Borsellino, dalle violenze sui minori alla grande inchiesta sull’adolescenza violata tra discoteche e scuole della Capitale. E questo era divenuto il tema del suo primo libro, “Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano Principessa” un bestseller da 17 edizioni uscito nel 2007, vero caso editoriale, seguito nel 2009 dal romanzo “L’età indecente” e nel 2011 da una nuova inchiesta “Facciamolo a skuola” sul sesso occasionale nel mondo degli adolescenti.
Marida aveva una scrittura travolgente, inarrestabile, come la sua personalità. Piena di entusiasmi, passioni, generosa, spontanea, accogliente. Aveva accolto anche me fra i suoi amici, tanti, tantissimi. Alla presentazione del suo libro all’Auditorium di Roma non bastavano i biglietti e nessuno voleva rinunciare ad esserci.
Era bella, elegante, alta, ma per me la sua grande bellezza era nel suo commuoversi per la sofferenza altrui, nel suo essere felice di poter cuocere un ciambellone per i figli, nel suo amare appassionatamente il più sfortunato di una cucciolata, cieco di un occhio. Fino ad una settimana fa mi diceva che era felice di iniziare una nuova terapia, era piena di speranza. Il suo sguardo, sempre positivo sulle cose. Mi rimarrà nel cuore. Un abbraccio al marito il chirurgo Carlo Vitelli, gli amatissimi figli Alessandro, Andrea, Luca. Niccolò e il resto della sua grande bella famiglia.