In questi ultimi anni ho speso forze ed energie per parlare dei nostri giovani e dei pericoli a cui vanno incontro. Durante la pandemia i dati che ho raccolto, e pubblicato all’interno del mio saggio “Figli delle App” edito da Franco Angeli Editore, sottolineano come preadolescenti e adolescenti tendano ad isolarsi rispetto all’ambiente familiare. Inoltre, sul piano clinico si è registrato l’aumento del 30% dei ricoveri per autolesionismo o suicidi. Certamente, l’isolamento ha acuito problematiche già presenti e che prima o poi si sarebbero rese note.
Giovani che si chiudono a riccio e si nascondono all’interno del loro mondo, in solitudine nelle loro stanzette, e non sappiamo quando o se avranno voglia di parlare con qualcuno.
Le ultime settimane ci riportano continui casi di cronaca disarmanti. Diversi ma pur sempre tristi e dolorosi. Penso ai bambini dell’Afghanistan a quelli che i genitori facevano volare in braccio ai militari nella speranza che potessero prendere un aereo verso la libertà. Le immagini che ci arrivano dall’Afghanistan ci presentano le aule delle scuole piene di maschietti e la totale assenza delle femminucce. Tutti quei bambini e bambine dell’Afghanistan che chiedono, in fondo, di non essere loro i protagonisti di questa guerra e che desiderano l’istruzione. Vogliono tutti qualcosa che rappresenta la nostra normalità e che forse non avranno mai. Noi osserviamo ma, molto spesso, tutto ciò che è lontano da noi sembra non appartenerci abbastanza.

Rifletto su un altro bambino che è sopravvissuto ad una tragedia incredibile: il crollo di una funivia e i genitori che muoiono, insieme al fratellino, durante lo schianto della stessa. Adesso questo bambino, di nome Eitan, viene conteso dai parenti del padre e dai parenti della madre. Il nonno ha deciso di affittare un aereo per portarlo in Israele. Questo bambino Eitian chissà se troverà la sua serenità e chissà se finalmente potrà vivere una dimensione umana. Quando crescerà e si renderà conto di tutto quello che gli è accaduto e che in questo momento gli sta accadendo. Possiamo solo augurarci che non soffra e che riesca a sorridere ancora.
In questo dramma continuo è iniziato il nuovo anno scolastico in cui tre ragazzi di quindici anni a Milano hanno provato a suicidarsi, due ci sono riusciti e una è in gravi condizioni. Si sono lanciati dal balcone e nessuno è riuscito a cogliere il loro disagio.
Il sangue di questi giovani ci dimostra come non riescano a trovare una dimensione e soprattutto ci fa comprendere come i dati sulla fragilità dei preadolescenti ed adolescenti siano davvero reali. Certo, c’è un’indagine aperta per induzione al suicidio forse capiremo più avanti che qualcuno li ha spinti a commettere un gesto di cui forse non si sono nemmeno resi conto, ma rimane sempre il fatto che noi come società non ci stiamo occupando abbastanza di loro.
Su quanto è accaduto in Lombardia è intervenuto, nella trasmissione Porta a Porta, anche il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi:“Il fatto che ci siano stati tre casi di suicidio il primo giorno di scuola è una coincidenza molto grave. Alle famiglie che hanno perso i figli ieri va tutto il mio affetto di padre. Credo che i nostri ragazzi abbiano vissuto un periodo di grande sbandamento. Mi auguro il nostro Paese possa riprendere una vita in cui il senso della vita viene condiviso in famiglia. Dobbiamo essere vicini a tutti coloro con cui condividiamo la nostra vita. La scuola deve essere in grado di recuperare quel senso di socialità che parte dal rispetto di tutti e di se stessi. C’è da ricostruire un senso della vita in molte generazioni. La scuola deve essere ricostruita ripartendo dai valori della vita”.

Oggi, la maggior parte dei ragazzi tende a considerare la felicità come un punto d’arrivo e ne sono in costante ricerca, ma ciò potrebbe creare delusioni in quanto continueranno sempre a cercare nuovi traguardi da poter raggiungere, a volte impossibili.
Nonostante i giovani rincorrano ininterrottamente questo stato d’animo, alla domanda se siano stati più felici o infelici rispondono, principalmente, in modo negativo. Non si accontentano di ciò che hanno e vogliono sempre qualcosa in più, o ancora, si scoraggiano facilmente.
Siamo di fronte ad una “gioventù fragile” che ha disposizione più mezzi e strumenti per essere felice senza sfruttarli nel miglior modo possibile, a differenza del passato in cui non si avevano queste opportunità, ma si tendeva ad accontentarsi con poco e a gioire più facilmente.

Un articolo apparso qualche tempo fa su Avvenire, scritto da Daniele Mencarelli, evidenziava l’insoddisfazione e l’infelicità della net generation. Il desiderio del giornalista Mencarelli di confrontarsi con i nati dopo il 2000, alfabetizzati dal primo giorno di vita al mondo digitale, è stato esaltato anche dal Premio Strega giovani, che gli ha permesso di entrare in contatto con tanti, tantissimi giovani. Durante questi discorsi, spesso meravigliosi, un dato lo ha colpito più di tutti. A ogni incontro, spesso con frasi terribilmente uguali, c’era sempre qualcuno di questi ragazzi che testimoniava la sua profonda infelicità. Mencarelli ha chiesto conto della loro infelicità, chiedendogli il perché di questo malessere. Anche la loro risposta seguiva un copione già pronto. Purtroppo, tanti giovani dichiaravano di essere ‘Infelici perché non sono felici’.
Dal dialogo con molti di questi ragazzi viene fuori un allarme sociale, che riguarda tutti, soprattutto chi ricopre il ruolo dell’educatore, dell’insegnante e principalmente di genitore. La società è assolutamente coinvolta e nessuno è escluso.
Ecco perché la felicità è tanto osteggiata dai fantasmi del mondo liquido di cui Bauman fa un’ottima narrazione: “Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal destino, ci si sente persi se aumentano le comodità.” La felicità – diceva Bauman – è la sfida dell’umanità presente, per la sua dignità futura.
Noi in questo momento ci sentiamo inerti e incapaci di dare delle risposte concrete. Socialmente siamo bloccati mentre i nostri bambini soffrono e noi non ci riusciamo ad assumerci le nostre responsabilità. Nei prossimi mesi incontrerò molti genitori per parlare loro delle opportunità del web, ma anche delle pericolose devianze e del senso di abbandono che colpisce i nostri giovani.
La nostra società è affetta da un cattivismo che va sconfitto e combattuto. Dobbiamo far vincere l’amore sull’odio. Missione difficile ma non impossibile. Ci dobbiamo impegnare ogni giorno e dobbiamo farlo per i nostri figli, per gli uomini e le donne a cui consegneremo gli anni futuri.
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