Si chiama Paolo Palumbo, ha 21 anni, è un giovane chef sardo; di Oristano, per essere esatti. La cucina è la sua passione, da sempre. Una mattina di due anni fa, mentre è ai fornelli, un mestolo gli scivola a terra; non riesce più a tenerlo in mano. È così che scopre di essere malato di una terribile malattia, la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Paolo non si perde d’animo, non si arrende. Decide comunque di coronare il suo grande desiderio, quello di diventare uno chef “laureato”. L’ambizione che lo sostiene è quella di poter regalare la gioia di sentire di nuovo il gusto del cibo.
Ambizione che presto si trasforma in realtà. Nelle condizioni di Paolo solo in Italia ci sono oltre settemila persone; duecentomila nel mondo; e settantamila soffrono di disfagia. Persone che da anni, per anni, sono costrette a nutrirsi tramite sondini o pappette omogeneizzate; persone che non hanno la possibilità di mangiare in modo naturale. Avete presente Stephen Hawking, Luca Coscioni, Stefano Borgonovo? Ecco, anche loro erano malati di SLA. Come Paolo.
Paolo inventa “il gusto della vita”, un tampone che a contatto con le papille gustative sprigiona il sapore di cibi tipici: dalla pasta alla carbonara al tiramisù. Si tratta di una sintesi chimica di sapori ottenuta tramite processi di cucina molecolare, la cui sperimentazione è attualmente in atto nei Centri Nemo di Milano. Oltre a regalare una sensazione ormai persa, Paolo e la sua famiglia vogliono partecipare concretamente alla ricerca di una cura per la SLA. Hanno deciso quindi di devolvere il ricavato della vendita dei tamponi alla ricerca scientifica nel campo della malattia neurodegenerativa.
Paolo è in attesa che la scienza trovi una terapia; è disposto a essere cavia per possibili protocolli. Potrebbe essere ammesso a uno di questi: è un tentativo, una tenue speranza; qualche volta procedendo a tentoni, si riesce a imboccare la strada buona; e del resto, cosa c’è da perdere, se non si perde nulla?
Un appello promosso dalla vedova di Coscioni, Maria Antonietta ha già raccolto oltre sessantamila adesioni: sono personaggi dello spettacolo, imprenditori, semplici cittadini; è in corso una raccolta fondi per consentire a Paolo il viaggio e il soggiorno in Israele: è là che può attuare la sperimentazione. Una bella storia, nella sua tragicità.
Una bella storia rovinata da persone difficilmente qualificabili. Assieme alla solidarietà arrivano anche tanti messaggi di irripetibile contenuto. I più gentili gli augurano di morire: che si rassegni, non si illuda, lui in Israele non ci arriverà.
La mente umana è contorta, in questi casi, perversa. La rete, i social sono un progresso straordinario, un formidabile strumento. Ma possono anche diventare strumento di odio, esasperazione, frustrazione meschina e vigliacca. Il caso di Paolo esprime le due le facce di questa medaglia. Una realtà che dovrebbe far riflettere. Almeno lo si spera.