“Cosa vorrei per questo Natale? Il mio sogno lo ho già reso realtà un dottore, che si chiama John E. Foker”. A parlare una mamma, che ha realizzato il suo più grande desiderio: far sì che sua figlia guarisca da una rara malattia. Il tutto a Firenze, all’Ospedale Meyer, grazie ad un medico molto speciale.
Un passo indietro. C’era una volta un Babbo Natale americano che venne in Italia dal Minnesota per curare una bambina di nome Anna e restituirle il sorriso. Ma chi è questo uomo misterioso che non entra in aereo, perché alto due metri, di poche parole, ma che ha cambiato la vita di Anna? Lo abbiamo chiesto direttamente a Chiara Pelossi, questa mamma con la passione per la scrittura, il cui “potere catartico”, racconta, “mi ha permesso di uscire dalla immobilità e liberarmi dagli attacchi di panico”.
Chiara, puoi raccontarci di questo medico americano del Minnesota che ha salvato tua figlia?
“Il Babbo Natale americano di mia figlia si chiama John E. Foker ed è un chirurgo toracico che vive in Minnesota. Mia figlia Anna è nata con una rara malformazione denominata ‘atresia esofagea’. Vani gli interventi effettuati in Svizzera, così, dopo un incubo durato un anno, abbiamo deciso di contattare, cercandolo su internet, il professor John E. Foker (esperto di fama mondiale), che si è detto subito disposto ad operarla. Con poche parole e con pochi soldi è volato fino a Firenze e l’ha operata con successo grazie al suo cuore enorme. Ecco perché mia figlia lo vede come il Babbo Natale americano”.
Oltre al professor Foker, chi vi ha aiutato, soprattutto economicamente?
“Grazie a collette, partite del cuore ed appelli sui giornali siamo riusciti a racimolare l’importo necessario per invitarlo in Italia. Oggi Anna è salva grazie a lui, a questo straordinario medico americano del Minnesota”.
La realizzazione di un sogno, insomma…
“Sì, con lui si è realizzato il nostro sogno. Lui è il nostro sogno americano. Quando ha pronunciato la frase “I can fix her”, queste poche semplici parole ci hanno restituito la speranza. È stato davvero un benefattore, un signore, per la mia piccola un Babbo Natale!
Dopo avervi detto di sì, vi ha fatto solo una richiesta…
“Non ha badato al compenso, ha solo precisato di voler viaggiare in business class; noi credevamo ad un vezzo, un capriccio da star e invece quando lo abbiamo visto scendere abbiamo capito le sue necessità: era alto un metro e novanta, due mani grandi come racchette da tennis e le sue ginocchia logorate da anni ed anni di partite a football”.
Locarno, Zurigo, Firenze. Che cosa rappresentano queste tre città per voi? Facciamo una fotografia di ciascuna di esse: tre istantanee tre momenti salienti della tua vita.
“Locarno è il luogo dove è nata mia figlia Anna, una minuscola bambina di 1,9 kg. Una leonessa che ha lottato per la sua vita con tutte le sue forze. Dopo alcune ore dalla nascita è stata trasportata d’urgenza all’ospedale pediatrico di Zurigo dove sono iniziati gli iter diagnostici che hanno evidenziato la malformazione e dove sono stati fatti tanti, troppi interventi per cercare di risolvere la patologia che si è rivelata più difficile del previsto. Firenze è il luogo in cui si è potuto realizzare il miracolo: l’ospedale pediatrico Meyer, che ha accettato di ospitare il professor Foker, salvando la vita di Anna. E ci siamo trasferiti tutti li per alcuni mesi a Firenze io mio marito e mio figlio ed una babysitter”.
Tu racconti di come si possa attraversare l’iter del dolore con una “terapia del sorriso”. Cioè?
“Io e mio marito ci siamo detti che se nostra figlia avesse dovuto vivere anche solo un giorno, sarebbe dovuto essere il giorno più bello della sua vita e della nostra con lei. Così, per fissare ricordi positivi, e trasmetterle fiducia invece che paura, abbiamo deciso di vedere il bicchiere mezzo pieno, sempre! Ci vuole tanta forza nel sorridere e cantare canzoncine allegre quando tua figlia è in coma indotto e non sai se si risveglierà e se, quando lo farà, sarà ancora normale. Direi quindi che la terapia del sorriso unita alle sapienti mani del nostro Babbo Natale americano hanno fatto nascere Anna una seconda volta. Quando io e mio marito abbiamo visto Anna per la prima volta ce ne siamo perdutamente innamorati, il famoso colpo di fulmine che coglie ogni genitore quando conosce finalmente il proprio figlio tanto atteso. Per rispetto a lei e al nostro primogenito Noa, che a quel tempo aveva due anni, abbiamo fatto una scelta importante: abbiamo deciso di affrontare tutta la malattia con il sorriso. All’ospedale con noi entrava solo lui, le preoccupazioni venivano lasciate fuori dalla porta. In questo modo il tempo speso con lei diventava prezioso e unico, non sapendo mai se il prossimo intervento (in totale Anna ne ha già subiti ben 70) sarebbe stato l’ultimo!”
Oggi sei una donna serena più scrittrice, chef, mamma?
“Oggi sono felice, soddisfatta e grata. Da qualche anno ho un blog di cucina 100% vegetale e senza glutine che si chiama www.cavoliamerenda.ch dove condivido le mie ricette. Sono anche insegnante di cucina sana e naturale e mi diverto a sperimentare nuovi accostamenti e gusti. I miei amici dicono che sono affetta da allegria contagiosa: in realtà la cucina, ma soprattutto la scrittura, mi hanno permesso di uscire dalla immobilità”.
Dapprima in forma di diario poi di romanzo, in che modo la scrittura ti ha fatto uscire da questa sorta di paralisi?
“La scrittura mi ha permesso di uscire dall’immobilità. Dopo i due anni trascorsi negli ospedali, quando Anna finalmente ha iniziato a stare meglio, io sono crollata. Gli attacchi di panico erano all’ordine del giorno e della notte, non mi permettevano di uscire di casa, di svolgere le normali attività della vita quotidiana. Vivevo segregata in casa, ma dagli attacchi di panico se ne può uscire: per me è stato determinante scrivere di una pasticciona detective, una moderna “Miss Marple” in minigonna mi ha salvato la vita. Ho iniziato a vedermi io stessa buffa impacciata, esasperando i miei difetti, amplificandoli e mettendoli in chiave ironica ed ho iniziato a scrivere storie divertenti. Presto scrivere è diventata una forza catartica, ha tolto il posto alle tachicardie, agli svenimenti, alle paure e mi ha rinforzata. Non a caso, il personaggio del mio libro, ‘Una improbabile cacciatrice di indizi’, mi somiglia molto. Anzi, posso dire che scrivere di questa moderna “Miss Marple” in minigonna mi ha letteralmente salvato la vita”.