“Per me una fotografia è di successo quando non ha la pretesa di rispondere a tutte le domande, ma lascia qualcosa all’immaginazione”. Parole di uno degli autori più noti della foto-ritrattistica moderna e delle celebrità. Il mondo di Hollywood, le rockstar e i grandi sportivi hanno trovato in lui un professionista in grado di offrire uno sguardo contemplativo, intrigante, grazie a un personalissimo dosaggio dei contrasti.

Lui è Greg Gorman, classe 1949, nato a Kansas City, oggi residente fra Los Angeles e la sua casa di Mendocino (dove produce del vino), sicuramente tra i dieci fotografi al mondo più amati, celebrati, invidiati ed esposti nelle più prestigiose gallerie. La sua opera, davvero particolare, è segnata dalla luce e dall’ombra. Quest’ultima gioca un ruolo fondamentale perché rappresenta quella porzione di spazio inaccessibile allo spettatore, stimolandone la curiosità e l’immaginazione.

L’intrigo è nel lasciarsi catturare dal fascino, dall’evocazione e dalla nascente relazione con ciò che, nella luce intelligibile e immediata, si rivela. Non solo nei nudi – uno dei soggetti privilegiati –ma in ogni scatto si coglie l’assenza del tempo per quell’illuminazione che da forma e che guarda al classicismo, per armonia ed equilibrio, ma soprattutto per quella qualità intrinseca, di verità rivelata e di contatto con il sentire dell’altro: una conoscenza suggellata nello scambio e nella partecipazione.
L’immersione nell’immagine è totale: se ne afferra la seduzione, l’astrazione, la liberazione dai vincoli e dai condizionamenti. A lui si riconosce il talento di produrre un ritratto anticonformista capace di restituire il sapore della comprensione reciproca, facendo trapelare, dei soggetti, aspetti inediti e personalissimi.
Appassionato e ironico, grande perfezionista, Greg Gorman pubblica da oltre quarant’anni sui grandi magazine internazionali, da Esquire a GQ, da Vogue a Rolling Stone, da Time a Vanity Fair. Nato nel cuore della provincia americana, ha saputo costruire nel tempo uno stile inconfondibile frutto di una rara maestria, di linee essenziali e di forme forti, di luce violenta e di neri profondi. Tanto che un giorno, pubblicamente, il mitico Roger Waters, fondatore dei Pink Floyd, disse: “Greg Gorman è l’unica persona a cui darei il permesso di fotografare il mio cadavere”.

Incontro Greg Gorman un giorno a Milano, per parlare di lui, del suo stile, dei corsi fotografici che tiene in mezzo mondo e della bellissima mostra che ha accettato di organizzare, per la prima volta, anche in Italia, una sua mostra (durata quasi 3 mesi) di grandi ritratti in bianco e nero ideata, volute e organizzata tenacemente da due galleristi, Luca Casulli ed Eugenio Calini, nella loro 29Arts in progress gallery, a Milano.
Greg, quando hai deciso di cominciare a fare fotografie?
La prima volta che ho preso in mano una macchina fotografica è stato nel 1968. ad un concerto di Jimi Hendrix in Kansas. Non avevo mai scattato una fotografia prima in tutta la mia vita. Ho preso in prestito una macchina fotografica da un mio amico e gli ho chiesto come si usasse, lui mi ha spiegato come si facesse e come avere una foto. E la mattina seguente sono andato a casa sua e siamo andati nella camera oscura e quando ho visto l’immagine emergere sono rimasto affascinato.
Vedo che organizzi diversi workshop fotografici in tutto il mondo, prima di tutto negli Stati Uniti ma anche in Germania, in Norvegia, e in Svizzera proprio in queste settimane. Cosa ti spinge a insegnare alla gente a fare buone fotografie?
Una delle cose che mi piace fare oggi nel mio tempo libero è insegnare. Tante persone oggi fanno fotografie con le loro fotocamere o con i loro smartphone e poi usano Photoshop per migliorare i risultati ottenuti, ma sarebbe difficile per loro ricreare poi manualmente le foto che scattano in automatico. Quindi ora amo tenere workshops in tutto il mondo. Spero che molti restino affascinati….

Tu hai fotografato praticamente tutti i vip del mondo dello spettacolo, attori, attrici, registi, e poi cantanti, sportivi, personaggi della politica. Con quali di loro hai stabilito un feeling migliore?
Ricordo il grande feeling che avevamo io e David Bowie, tanto che una delle foto che gli ho scattato è diventata una icona. Ricordo anche Leonardo Di Caprio, che ho fotogrtafato quando era giovanissimo e ancora sconosciuto. E amo in modo particolare anche la foto scattata a Andy Warhol, e anche questa è un’altra icona usata spesso per ricordare il grande artista.
Vedo esposte anche le foto di Michael Jackson e di De Niro, molto famose anche queste, vero?
Si, sono molto famose. Ho lavorato spesso con Michael Jackson negli anni Ottanta e tante fotografie sono state ideate insieme. Quando abbiamo scattato il famoso ritratto di Michael con il ragno abbiamo preso si un tarantola ma in realtà era solo la sua corazza, e questa gli è stata messa sulla tempia. Un grande effetto. Sono rimasto anche molto legato a Robert De Niro, che ho fotografato per la copertina di GQ. Visto che si trattava di una celebrity molte persone pensavano che De Niro fosse una personalità molto forte anche fuori dallo schermo. In realtà è molto timido di persona, è praticamente agli antipodi rispetto a quello che tu vedi al cinema.

Greg, gli appassionati di fotografia ti considerano ormai una vera leggenda della fotografia. Questa cosa ti fa un po’ piacere?
Non so esattamente cosa vuol dire essere una leggenda. Mi fa capire che c’è una sorta di concetto di “mortalità” in questa parola. Diciamo che sono stato certamente fortunato ad avere una carriera di successo. Oggi sono felice di fare oggi quello che mi piace.
Felice dunque di fotografare?
Anche, ma soprattutto di insegnare agli altri. E di produrre del vino. Il mio vino, un buon vino!