Su Twitter nulla dovrebbe essere lasciato al caso. Ma molti politici e personaggi pubblici italiani ci sono arrivati con anni di ritardo e fanno ancora fatica a comprenderne le dinamiche. Twitter appare confuso e anarchico, ma ha un suo equilibrio fatto di rapporti fiducia e relazioni tra influencer, è una community ormai consolidata che ha le sue regole non scritte, è autoimmune alle bufale ed è molto reattiva su ogni caduta di stile o gaffe.
Il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri era un bersaglio per certi aspetti facile, non nuovo a tali cadute di stile, quasi all’ordine del giorno. La più famosa quella contro Fedez e i suoi tatuaggi e poi, a ruota, contro la sua fan tredicenne del rapper offesa sempre da Gasparri via Twitter perché “messa male” con tanto di invito a “più dieta”. Nelle convulse ore che hanno preceduto il tweet nella notte di domenica 10 gennaio, il vice presidente del Senato era impegnato a scagliarsi contro Vittorio Zucconi sulla questione dei drammatici fatti di Colonia della notte di Capodanno. Il momento è stato propizio per cavalcare la furia emotiva di Gasparri, perché, appunto, su Twitter anche l’orario e la tempistica di un tweet – chi ci lavora lo sa – sono fondamentali. L’ispirazione arriva da un’immagine-parodia ideata dal neonato gruppo Facebook Vergogna Finiamola Fate Girare, fondato da Luca Faenzi (@lucafaenzi) e Claudia Vago (@tigella). Nel gruppo sono postate immagini di personaggi famosi presentati come fantomatici pericoli pubblici, immigrati e parassiti dello Stato che godrebbero di privilegi giudiziari o economici assolutamente inventati sulla scia degli svariati meme-bufala lanciati da pagine di complottisti o di gruppi populisti più o meno organizzati assai attivi su Facebook.
L’immagine che ha fatto scatenare l’ira di Gasparri è il ritratto del celebre Jim Morrison d’annata con barba più o meno incolta, presentato come un rapinatore slavo seriale. La cosa ancora più grave è che al suo viso è associato il nome di Goran Hadžić, ex leader serbo-croato negli anni della guerra d’indipendenza croata dei primi anni 90, responsabile di note atrocità in collaborazione con Slobodan Milosevic, ultimo latitante ricercato dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia e oggi incarcerato. Gasparri questo ovviamente non lo sa e non lo immagina, reagisce d’impulso, come da abitudine, invece di verificare la bufala sul presunto malvivente del Nord Est arrestato per 50 volte e scarcerato “per colpa del Governo Renzi”. “Una vergogna” risponde subito al tweet creato da me per farlo cadere nella trappola in cui, con sarcasmo, gli avevo chiesto: “Cosa pensi di questo ennesimo scandalo italiano? Salvaci tu da questo governo per favore e #diccidipiù”.
Qualche ora più tardi, forse messo al corrente della gaffe che inizia a girare su La Stampa, Vice e Il Fatto Quotidiano, invece di chiedere scusa, il senatore decide di rincarare la dose nel suo stile attaccandomi:“@PieroMerola, ti hanno già ricoverato?” per poi bloccare il profilo del sottoscritto su Twitter e continuare in libertà a insultare la mia immagine e la descrizione del mio profilo, forse leggendo “comunist” dove mi presento come “columnist”.
[Ricordiamo che Piero Merola è anche un Columnist de La VOCE di New York, ndr].
Ma Twitter è autoimmune e odia questo tipo di comportamenti. Così Maurizio Gasparri, di cui nel frattempo si fa inevitabilmente beffe anche il suo acerrimo nemico social Fedez, è bersagliato da migliaia di utenti e addetti ai lavori. Nei pochissimi suoi sostenitori che prendono le sue difese, prevale l’imbarazzo.
Il resto è storia nota con i rimbalzi di agenzia, il primo posto nella Social Top 10 del programma di Rai 3 Gazebo e le ineluttabili parodie su decine di pagine Facebook e poi su Radio Capital, Radio Due e Radio Deejay. Tutti, e sarebbe impossibile prevedere il contrario, non possono che stigmatizzare il comportamento di Gasparri.
Su Twitter, come detto, nulla dev’essere mai lasciato al caso e la vivace comunità del social network premia sempre ironia e autoironia. E soprattutto la cautela. Il precedente più noto, come ricordato da Claudia Vago, è quello del 2011 quando un utente Twitter ottenne una risposta dal sindaco Moratti sulla costruzione di una moschea in un quartiere di Milano inesistente, dal nome beffardo, “Sucate”.
Senatore Gasparri, le serva da lezione.
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