Un film cosiddetto indipendente, voluto fortemente dal suo produttore, Valerio Mastandrea, che ha continuato a portarlo avanti anche dopo la morte (o dovremmo dire nonostante la morte) dello sceneggiatore e regista Claudio Caligari. Non essere cattivo, questo il titolo, racconta la storia di due amici nella Ostia degli anni Novanta, un film dall’argomento difficile – si parla di droga, AIDS, povertà, crimine – girato in maniera non compiacente o attraverso stereotipi che tutti conosciamo. Per questo è bellissimo sapere che è stato scelto per rappresentare l’Italia come miglior film straniero nella corsa agli Oscar, superando addirittura titoli come Mia Madre di Nanni Moretti, sicuramente una delle pellicole più premiate e applaudite del 2015. Ci racconta qualcosa di più Valerio Mastandrea, produttore e regista del film, dopo la morte di Caligari.
Cosa si prova ad essere stati scelti per rappresentare l'Italia all'Oscar con un film che hai voluto e in cui hai creduto, ma che ha avuto un cammino non facile?
Un’emozione grande per tutti quelli che hanno voluto questo film. Un po’ di responsabilità ulteriore rispetto a Claudio Caligari e una grande curiosità e fierezza nel portare un lavoro come questo davanti a un pubblico molto legato al nostro Cinema del passato e che, oggi, ricomincia a guardarci con rispetto.
Hai scelto un regista che aveva fatto poco, anche se quel poco era interessante. Hai scelto un tema che viene raccontato in maniera non stereotipata. Insomma, hai rischiato e vieni premiato. Non pensi che ci sia una sorta di vittoria extra nell'essere stati scelti per gli Oscar?

I protagonisti del film (Photo: Angelo Turetta)
Con Claudio ci siamo scelti come amici prima di tutto e come tali abbiamo seguito le nostre carriere e cercato di aiutarci quando necessario. Ogni tema trattato nei pochi film di Claudio è sempre stato affrontato in maniera originale usando il Cinema e il suo “dovere” come strumento per non fare compitini o segnalare la strada più facile allo spettatore. La storia di questo film è piena di piccoli traguardi raggiunti, giorno dopo giorno. Il goal più bello è stato finirlo di girare nelle mille difficoltà che abbiamo incontrato tutti. Il resto è una partita che continua e noi giochiamo.
Quanto è stato difficile sostituire il regista e come hai lavorato per mantenere la sua visione?
Non l’ho sostituito affatto. Lavorare per chiudere il film è stato un compito condiviso con gli uomini e le donne migliori che Claudio aveva scelto. È stato davvero un viaggio collettivo. La visione di ciò che voleva era ben chiara a tutti. Non passava minuto sul set che non ce lo rimarcasse con convinzione.
Anni fa mi dicesti che l'idea di mettere su una casa di produzione era una idea folle che avrebbe procurato solo problemi. So che scherzavi, ma adesso, guardando indietro, con quello che hai fatto, che futuro vedi per questa avventura? E soprattutto, mi sembra che l'idea non sia stata così malsana, o no?
No, no produrre in Italia è ancora davvero molto difficile. Noi ce l’abbiamo fatta per sfinimento e perché la banda che abbiamo messo su non si è arresa mai. Dopo questa esperienza però è nata la consapevolezza che un altro modo di produrre un film non tanto facile è possibile. Noi tutti vorremmo che Non essere cattivo fosse una bottiglia lanciata con forza che rompendosi vara il viaggio di una nave.
Cosa ti aspetti da queste giornate americane? Pensi che l'America sia ancora la terra delle opportunità?
Per quanto riguarda il Cinema credo di sì. Per me la vedo difficile…
Che famo… prendiamo Ancelotti o sopportiamo Garcia?
Il Romanismo non contempla domande del genere. Perché noi quella malattia ce l’avremo sempre e comunque.
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