Il Cavalier Luigi Menazzi Moretti è l’ultimo discendente della famiglia di imprenditori che ha fondato a Udine, il birrificio Moretti, il cui marchio è oggi diffuso in tutto il mondo. Nato e cresciuto all’interno del celebre birrificio, il Cavalier Moretti racconta a La VOCE la storia della sua famiglia, i suoi ricordi, le leggende metropolitane (e non) nate attorno al famoso marchio e le vicende dell’azienda Moretti, sino alla sua cessione ad una multinazionale (la Heineken). Ci parla anche del suo libro La birra Moretti da Udine al mondo nato appunto dalla volontà di raccontare una tradizione famigliare antica che è diventata, a livello internazionale, una sfida vinta.
130 anni di storia: la storia di una dinastia e della birra che porta un cognome conosciuto in tutto il mondo. Come è stato possibile sintetizzarli, in un libro?
Con molta pazienza e molta passione. Il fatto di aver vissuto in prima persona le fasi più delicate e conclusive dell’azienda creata da mio bisnonno Luigi mi ha consentito di disporre di una vasta documentazione suffragata da una buona memoria. La storia della mia famiglia, che racconto nel libro, è quella del birrificio Moretti perché dal momento della sua fondazione alla sua cessione, di cui sono stato, mio malgrado, l’artefice, le posizioni apicali nell’azienda sono state in mano a un o a una Moretti, come nel caso di mia nonna e di mia madre. Al cognome Menazzi, che era quello di mio padre Lao, al momento del matrimonio con mia madre è stato aggiunto quello di Moretti che altrimenti si sarebbe estinto. La birra Moretti è nata a Udine, nel Friuli Venezia Giulia, un territorio che ha particolarmente beneficiato della presenza della nostra azienda. Non a caso sia io che i miei figli siamo fortemente legati a quella terra dove cerchiamo di tornarci o di restarci ogni volta che ci è possibile. Dalla sua fondazione alla chiusura dello stabilimento di Udine, la birra Moretti è stata un simbolo per quella città. Lo dimostrano ancora gli edifici che portano il nostro nome e soprattutto il parco Moretti (adiacente al birrificio e alla dimora di famiglia), che avevamo trasformato in polisportivo e nel quale fu realizzato, in particolare, lo Stadio Moretti dove l’Udinese calcio ha giocato per ben 66 campionati prima di trasferirsi in una struttura più moderna. Il nostro prodotto era presente in tutta Italia con sempre maggior successo, ma non ha mai perso la sua origine friulana. Quanto questo sia importante lo dimostra anche la nuova proprietà che ha mantenuto il nostro marchio, il celebre Baffone, e uno dei suoi prodotti di punta è denominato Birra Friulana.
Chi le ha suggerito l’idea di raccontare questa lunga avventura imprenditoriale?
Il Cavalier Luigi Menazzi Moretti
L’idea è stata assolutamente mia ed è nata dall’esigenza di voler lasciare ai miei figli e ai miei nipoti, ma anche a tutti coloro che hanno conosciuto e conoscono il brand che abbiamo fondato, la storia della nostra famiglia/azienda, con i suoi momenti di splendore e anche, perché no, quelli difficili. Mia madre mi ha sempre raccontato con abbondanza di dettagli la storia della famiglia e dell’azienda e non mi è stato difficile, come ho detto, avendoci lavorato per oltre trent’anni, mettere assieme i tasselli di una vicenda sia umana sia aziendale che ha vissuto molti chiaroscuri, ma anche momenti di grandi soddisfazioni. La mia non è stata una vita facile, come potrebbe apparire. Ho avuto momenti di forte conflitto con mio padre che aveva una visione troppo “gaudente” della vita che purtroppo si riverberava sull’attività dell’azienda. Gli va comunque riconosciuto il grande merito di aver creato il marchio del Baffone, ma purtroppo, in una frenesia di diversificazione, ha spesso perso di vista la necessità di far crescere l’azienda che, a causa di investimenti rivelatisi poi sbagliati, si è avviata verso un declino che ho dovuto gestire affrontando non poche difficoltà. Oggi la Birra Moretti grazie al gruppo a cui appartiene, l’Heineken, è presente in tutto il mondo. Quello sarebbe stato il mio sogno, ma era appunto un sogno perché le risorse economiche erano drasticamente limitate in un momento in cui la concorrenza, sempre più agguerrita, richiedeva ingenti investimenti per avviarsi verso un’internazionalizzazione per la quale non c’erano più le necessarie risorse. È certo comunque che la Birra Moretti, per quanto non sia più minimamente nelle mie mani, continuo a percepirla come qualcosa che esiste grazie alla mia famiglia e al nostro lavoro nonché a quello dei nostri ottimi collaboratori, e di questo sono estremamente orgoglioso.
Partiamo dall’inizio. Lei che ricordi ha della sua esperienza alla casa madre? Immagino fosse solo un bambino…
La nostra abitazione di famiglia era praticamente integrata nell’azienda e ospitava anche parte degli uffici direzionali. I miei ricordi infantili sono quindi necessariamente quelli di un bambino che poteva scendere in cortile e giocare con i dipendenti oppure, accompagnato dai miei genitori, andare all’interno del birrificio e restare incantato davanti alle diverse fasi di lavorazione: dalla produzione all’imbottigliamento. Il mio ruolo di futuro titolare di quell’azienda mi è stato ben chiaro da sempre anche grazie a mia madre che desiderava, in quanto unico figlio maschio, che un giorno avrei guidato la Moretti. Sentivo il peso di questo futuro che pareva già scritto, ma mai, neppure per un attimo, ho pensato che avrei potuto fare qualcosa di diverso. La Moretti era la mia famiglia e sarebbe stata la mia azienda. È stata una sensazione piacevole sino a quando ero adolescente poi, crescendo, ho colto il peso di una simile responsabilità. Si può dire che ho seguito il mio destino e ho fatto il solo lavoro che avrei voluto e dovuto fare. In azienda mi sono occupato di un po’ di tutto, dalla gestione della produzione, al marketing sino ai rapporti con i concessionari e la forza vendita. Certo, la nostra era una famiglia privilegiata e borghese che mi ha dato la possibilità di viaggiare e conoscere molte persone. Nella nostra dimora di campagna, un vero e proprio castello fatto costruire da mio nonno a pochi chilometri da Udine, abbiamo ospitato persone di cultura e di spettacolo. Penso a Mastroianni o Marina Vlady, i personaggi che ricordo con maggior chiarezza. L’azienda aveva anche istituito il premio culturale “Moretti d’Oro” che ci ha consentito di ospitare e conoscere personaggi come Guido Piovene, Eugenio Montale, Giovanni Arpino, Giorgio Strehler, l’architetto Nathan Rogers, Carlo Bo, tanto per citare qualcuno, e fu un puro caso se non ci fu un’integrazione con il “Premio Campiello”.
Luigi Moretti fondò il famoso birrificio nel 1859. Che tradizioni e che ricordi le sono stati tramandati?
Mio bisnonno, che nel libro chiamo Luigi Primo, è stato un personaggio di straordinaria lungimiranza. Ha capito quand’era il momento giusto per creare un birrificio in una città che era sotto la dominazione asburgica e dove la richiesta di birra era altissima. Lui ha dato l’esempio di come con il lavoro duro si possano raggiungere i risultati più ambiziosi. Aveva sposato una ricca signora triestina e grazie anche al suo apporto finanziario fondò la fabbrica e la rese grande in pochissimi anni. Era un uomo rigoroso, all’antica, diremmo oggi. Per lui era essenziale l’unità della famiglia, la solidarietà, il lavoro. Era rispettato dai suoi dipendenti e collaboratori e indicò subito la strada che la Birra Moretti avrebbe dovuto compiere: diventare grande e internazionale.
Secondo lei, Luigi Moretti, di certo un uomo intraprendente, che intuizione geniale ha avuto?
L’intuizione geniale fu quella dell’individuare il momento esatto in cui realizzare un prodotto di successo, genuino e alla portata di tutti.
Inutile ricordare che l’immagine pubblicitaria più famosa e più azzeccata, sia in Italia che all’estero, sia il celebre “Baffone” che si gusta una Moretti. Come è nata questa idea e chi fece da “modello”?
Come spesso accade con i marchi di grande successo, anche attorno al Baffone sono nate non poche leggende. La verità è che lo individuò e ideò mio padre nel 1950 durante un viaggio con me a Monaco di Baviera in occasione della Fiera internazionale della Birra. Lì vedemmo molte pubblicità, ma una lo colpì particolarmente: riproduceva un tipico bevitore bavarese fornito di grandi baffi alla Francesco Giuseppe. Si fece dare un esemplare e, tornati a Udine, diede incarico al celebre illustratore Segala di rimaneggiare l’illustrazione trasformando il soggetto in un tipico friulano. I baffi diventarono spioventi, il cappello diventò quello indossato dalla gran parte della popolazione di quel tempo e gli fece indossare una giacca verde. Quando il lavoro fu terminato e il Baffone iniziò ad apparire sulla pubblicità della birra Moretti furono decine e decine le persone che sostenevano di essere loro l’uomo rappresentato. Ci furono anche episodi a dir poco spassosi con personaggi che si travestivano da Baffone e venivano a rivendicare dei loro inesistenti diritti, a parte le centinaia di persone che sostenevano di conoscere bene e personalmente il Baffone stesso. Per mio padre ciò significò centrare l’obiettivo: aveva inventato un personaggio “comune”, uno cioè nel quale moltissimi si riconoscevano. Che cosa si può volere di più da un brand?
“Moretti” è un cognome illustre, famoso in tutto il mondo; appartiene alla vostra famiglia e si tramanderà sempre con essa?
Grazie al cielo il cognome è destinato a perpetuarsi. Il mio figlio maschio che vive negli Stati Uniti ha due figli maschi, al figlio di mia figlia che vive a Londra è stato abbinato al suo cognome quello di Moretti. Mi piacerebbe che questo nome restasse come testimonianza di un grande lavoro e di quella che è stata una grande azienda quando era in Friuli ed ora di dimensioni internazionali grazie all’attuale proprietà. La nostra è una famiglia molto legata e non credo basti un cognome a rafforzare i sentimenti che ci uniscono. Per quanto mi riguarda ritengo di aver avuto ciò che desideravo e di aver fatto il possibile perché sia altrettanto per i miei figli e i miei nipoti.
È lecito supporre che, in condizioni differenti (penso al mercato globale e all’aggressività dei mercati), oltre che a un clima economico diverso, non l’avrebbe ceduta?
La presentazione del libro “La birra Moretti da Udine al mondo” a Expo 2015
Cedere un’azienda, da parte della proprietà, è sempre traumatizzante. Il mio è stato un gesto dettato da mancanza di alternative. L’azienda necessitava di investimenti ingentissimi per restare sul mercato in termini competitivi date anche le sue limitate dimensioni e pur avendo uno stabilimento anche a Pescara. Se non l’avessi ceduta sarebbe rimasta schiacciata da realtà ben più articolate e complesse con conseguenze per noi drammatiche. In fondo ho tutelato un marchio che non solo è stato mantenuto, ma potenziato. Cedere è stato fonte di tormenti, ma oggi non rimpiango quella scelta.
Lei è sempre stato un grande estimatore di birra o preferisce del buon vino friulano?
La birra è una bevanda sana, buona e genuina. Come potrei non apprezzarla? A casa mia non manca mai e anche i miei ospiti dimostrano di gradirla. Quanto al vino friulano, questa è una domanda insidiosa. Birra e vino non sono paragonabili perché prodotti completamente diversi. Sì quindi alla birra e sì, sempre, agli ottimi vini che sono l’eccellenza del Friuli Venezia Giulia e dei quali penso di essere diventato un buon intenditore.
Cosa prova quando si trova all’estero e vede qualcuno che si sta gustando una birra Moretti? Più orgoglio o più rimpianto?
Ormai sono passati tanti anni e quelli dei rimpianti sono fortunatamente offuscati. Vedere un boccale di buona Birra Moretti dall’altra parte del mondo mi riporta alla mia casa di bambino, al mio lavoro di adulto e mi conferma l’opportunità della scelta che ho fatto a suo tempo. Quindi posso dire di sentirmi orgoglioso.
Si è a lungo parlato di una vera o presunta rivalità fra la Bionda di Peroni ed il Baffone della Moretti. Leggenda o realtà? (Ora ce lo può svelare…)
Più che di rivalità parlerei di sana concorrenza fra due aziende che realizzavano un ottimo prodotto. Senza concorrenza il mercato non crescerebbe e non ci sarebbe miglioramento nei prodotti. La Bionda Peroni e il Baffone Moretti cercavano solo di migliorarsi per conquistare quote di mercato all’interno di una sana e proficua rivalità. Se in un primo momento i consumatori furono sedotti dalla bionda svedese, che era diventata una moda proprio grazie al suo fascino, non ci volle molto perché il Baffone avesse la meglio grazie alla sua immagine rassicurante e tradizionale.
In conclusione, si dice che “Chi beve birra, campa cento anni”. Lei continua a bere birra Moretti?
Quello slogan è stato quanto mai azzeccato quando fu realizzato tant’è che oggi è ancora ripetuto e ricordato. Io bevo la Birra Moretti non per vivere cent’anni ma per vivere un momento di intenso piacere e di indimenticabili ricordi.