La prima volta che ho sentito Tony Esposito nella mia vita avevo 3 anni. Raccontano che, ancora con il pannolone, sia impazzita davanti alla tv a ballare sulla sua ritmica. L'ho perso di vista per un po' di anni, probabilmente inconsapevole di chi fosse e da dove venisse, per riscoprirlo nuovamente da grande, grazie a Pino Daniele: lo apprezzai con un orecchio e uno sguardo nuovi, nonostante ne avessi perso le tracce per troppo tempo, e quando realizzai che era proprio lui quello che aveva scatenato tanta giovialità infantile, mi dissi: "C'avevo visto lungo!". A me Tony Esposito piaceva e a quel punto ne ero certa. Oggi, a trent'anni suonati da un po', lo incontro a New York e rifletto su quanto siano strani a volte i giri che fa la vita.
Ci diamo appuntamento in una galleria d'arte di Chelsea, la Dillon Gallery, dove lui è arrivato per presentare l'ultimo album che ha prodotto, Kostabeat, un progetto nato dall'incontro artistico che Tony ha avuto all'incirca quattro anni fa con Mark Kostabi, pittore, illustratore e compositore molto noto sulle scene newyorchesi e non. A unire i due personaggi è stata proprio una reciproca passione per l'arte (Tony Esposito, per chi non lo sapesse, prima ancora che percussionista, è un pittore), motivo per cui alla Dillon Gallery, oltre a un assaggio musicale di quello che succederà al concerto che i due terranno al The Cutting Room di New York martedì 21 aprile, Esposito e Kostabi hanno esposto anche loro quadri (uno di questi, realizzato proprio la notte prima dell'esibizione alla Dillon da Tony Esposito e dal fratello di Mark, Paul Kostabi, chitarrista e membro della band che li accompagnerà).
Da Kalimba de Luna a oggi, di acqua sotto ai ponti ne è passata, ma Tony Esposito non sembra essere stato intaccato dai segni del tempo. Lui è uno giovane dentro, uno che ha sempre amato viaggiare e conoscere, un vero sperimentatore, curioso e mai sazio, un musicista maturo e consapevole, convinto che la musica sia anche una potente ambasciatrice di pace, oltre i confini nazionali.
Immagino non sia la tua prima volta a New York…

Un momento dell’esibizione alla Dillon Gallery
No, è la seconda. La prima è stata vent'anni fa all'Apollo Teather. New York è una città che amo molto perché mi ricorda tanto la mia Napoli, per il mare, per l'internazionalità e per questo modo ordinatamente disordinato di essere multietnica, proprio come Napoli. Dico sempre che è la città meno americana di tutte e questo me la fa sentire molto vicina. Poi adesso la collaborazione musicale con Mark me la rende ancora più vicina.
Viaggiare ti ha sempre ispirato tanto. Perché?
L'ispirazione a viaggiare è nata dalla mia città, Napoli, una città che, come diceva Andy Warhol, è internazionale. Venendo dalla pittura, dall'Accademia d'Arte di Napoli, suonavo le percussioni e la batteria per passione, poi è diventata una professione. E la percussione è lo strumento che più di tutti unice popoli e culture diverse, perché molti ritmi sono simili tra di loro. Il mio desiderio è sempre stato quello di conoscere questa linea di unione attraverso la musica e attraverso i popoli. Per questo ho sempre viaggiato tanto, soprattutto in Sud America, in Africa, in India.
Hai iniziato come sperimentatore di sonorità nuove, che poi hanno portato a quello che è stato definito blues metropolitano, ma con i musicisti del Napoli Power siete stati dei veri e propri innovatori…
Be' sì. A metà degli anni '80 Napoli si era fatta sentire con nuova musica italiana del Sud, una musica che aveva preso un po' tutte le influenze, da quelle anglosassoni, a quelle jazz-funk americane, a quelle africane. E da lì io, Pino Daniele, Tullio De Piscopo, James Senese, Joe Amoruso e altri inventammo questa sorta di world music legata a tanti stili, così come è Napoli, e da lì nacque questa etichetta, la Napoli Power. Poi ognuno di noi ha intrapreso la propria strada personale, ma è stato un momento molto creativo.
Ti è sempre piaciuto collaborare con altri artisti, forse proprio per la natura della percussione, che ha sempre bisogno di un appoggio melodico. Meglio De Gregori o Guccini?

Il quadro dipinto da Tony Esposito e Paul Kostabi
Guarda, sono amico di tutti e due, ma se dovessi rispettare l'epoca, siamo alla fine degli anni '70 inizi anni '80, Guccini era quello più viscerale, il vero cantastorie; De Gregori era molto più raffinato e, più che cantastorie, oggi lo definirei il poeta per eccellenza.
Meglio Eugenio o Edardo Bennato?
Anche in questo caso è difficile. Eugenio è un grande studioso e a lui si deve la conoscenza della musica popolare del Sud Italia; con lui ho collaborato quando formò, tra il 1973-74, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, con il grande musicologo Roberto De Simone, che fece conoscere a tutto il mondo la musica popolare del Sud Italia, portandola al grande pubblico. Edoardo non è un prodotto tipicamente mediterraneo, perché lui è un cantautore alla Bob Dylan, ma è stato forse il cantautore più sarcastico, i suoi testi sono di grande furbizia, è stato ironico su tutto, uno dei primi a ironizzare sulla politica e i falsi politici.
Un altro grande della musica italiana con cui hai collaborato più volte è Pino Daniele. Qual è il ricordo di lui a cui sei più affezionato?
Forse più di uno…considera che io ho assistito e collaborato all'ascesa di Pino. Siamo agli inizi degli anni '80 quando, per volere del mio manager e del suo, iniziammo a collaborare insieme. Poi si sono uniti anche altri musicisti, ma io sono stato il primo a collaborare con l'allora esordiente Pino Daniele. Sono nati un sacco di pezzi e anche grazie alla nostra collaborazione la musica di Pino è cambiata, da musica prettamente cantautorale è diventata molto più ritmica. Di Pino ho ricordi bellissimi, soprattutto di grandi concerti. Siamo stati amici e fratelli e come succede spesso tra fratelli, ci siamo voluti molto bene, ma ci siamo anche litigati molte volte. Per anni non abbiamo più collaborato fino a Ricomincio da 30, un album nato dal desiderio di storicizzare quel gruppo importante (Pino Daniele, Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso e Rino Zurzolo, nda) e dimostrare ai figli di quei padri che erano i nostri fans che la musica suonata dal vivo è una musica molto forte. L'ultimo concerto che abbiamo fatto insieme io e Pino è stato all'incirca due settimane prima che lui morisse, il 15 dicembre 2014 al Palasport di Roma. Dopo quel concerto, ci sentimmo per telefono e mi raccontò che si sentiva molto stanco, ma si stava comunque preparando per il concerto che avrebbe poi tenuto per Capodanno e in quell'occasione mi disse: "Tony, ho delle idee fantastiche. Passato Capodanno dobbiamo incontrarci, dobbiamo inventarci una nuova musica, tutta acustica, percussioni e chitarre classiche…". Era veramente entusiasta nel parlarmi di questa nuova sinergia musicale e per la prima volta Pino ha chiuso il telefono dandomi gli auguri di capodanno e dicendomi: "Sai Tony, ti devo dire una cosa: ti voglio bene". Questa cosa mi ha emozionato tantissimo, non ce l'eravamo mai detti, anche perché tra uomini di solito queste cose non si dicono. E io gli ho risposto: "Pino, anch'io ti voglio molto bene". E questo "ti voglio bene" è l'ultimo ricordo che ho di Pino.
Chi è Tony Esposito oggi?

Alessandra Belloni si aggiunge alla jam session della Dillon Gallery
Tony Esposito oggi è sicuramente un musicista maturo. Ho collaborato con tanti artisti internazionali e questo mi ha dato la possibilità di misurarmi. Magari prima, quando ero troppo giovane, forse ero un po' troppo ebbro del mio successo, ma oggi sono consapevole di aver evitato tante strade, anche affascinanti, che mi avrebbero portato lontano dal mio essere artista, strade più commerciali che ho cercato di evitare e di questo oggi ne vado fiero. Tra i vari progetti discografici che mi hanno visto coinvolto, ci tengo anche a citare il disco che ho prodotto per la campagna di pace per il Darfur, non solo in qualità di artista, ma anche come testimonial italiano nel mondo: Tony Esposito and Friends for Darfur. L'album è stato realizzato con tanti artisti, tra cui anche Mark Kostabi, che ha firmato anche la copertina del CD.
Proprio di recente ti sei anche avvicinato alla musica classica…
Da sempre ho avuto il desiderio di mettere il supporto ritmico alla musica classica. Grazie a mio padre sono un amante della musica classica, ma ascoltandola, mi è sempre mancata la ritmica. Questo progetto 2 anni fa si è avverato grazie a musicisti di valore, come quelli dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia. Insieme abbiamo dato vita a un album uscito con un'etichetta molto prestigiosa, la Sony Classical: Tam Tam Bras. Il nome che abbiamo scelto per il disco è un nome onomatopeico per indicare i fiati (bras) e il tam tam delle mie percussioni. Abbiamo risuonato Bach, Monteverdi, Vivaldi, Bizet e tanti altri.
Cosa propone il concerto newyorchese con la The Mark Kostabi Band?
Presenteremo i pezzi dell'album Kostabeat, ma non mancheranno anche alcuni miei successi, come Kalimba de Luna, che me l'hanno espressamente chiesta.
Ma levami una curiosità: Kalimba De Luna, che vuol dire?
(sorride, non deve essere la prima volta che glielo chiedono…) Kalimba è uno strumento africano, molto povero, una sorta di pianoforte con i tasti di metallo. Durante un viaggio in Africa mi ritrovai con un kalimba tra le mani, iniziai a giocarci e nacque il motivo di Kalimba De Luna. Kalimba è un nome strano, affascinante, magico e in qualche modo mi ricordava la Dea Kali, e de Luna perché suonava bene, per cui Kalimba de Luna.
E direi che ti ha portato fortuna?
E direi di sì! Dieci milioni di copie vendute e tantissimi artisti che l'hanno rivisitata a modo loro e che continuano a farlo, tenendola sempre in vita.

Il quadro con cui Mark Kostabi ha celebrato “Kostabeat”
A questo punto dell'intervista ci raggiunge Mark Kostabi, intento fino ad ora a fare da cerimoniere per l'evento alla Dillon Gallery. Mi racconta dell'esplosione che ha sentito la prima volta che ha suonato con Tony Esposito e di come improvvisamente per lui sia stato più facile suonare. Da quando si sono incontrati la prima volta, hanno già fatto 25 concerti insieme e oggi presentano la loro creatura, Kostabeat.
"Abbiamo iniziato a registrare con un'idea un po' vaga – mi racconta Kostabi – ma poi abbiamo iniziato a scrivere brani insieme e tutto è stato più facile. Il disco, che presentiamo per la prima volta negli Stati Uniti martedì 21 al The Cutting Room di New York, contiene 11 brani: 4 miei, ma arrangiati da Tony, e 7 scritti insieme a Tony e Lino Pariota". Alla prima newyorchese ci saranno anche due grandi ospiti, presenti anche all'evento organizzato alla Dillon Gallery: Scott Putesky, meglio conosciuto come Daisy Berkowitz, co-fondatore del gruppo Marilyn Manson, e Alessandra Belloni, la cantante, ballerina e percussionista che è stata coinvolta direttamente da Tony. Mark ha dipinto anche un quadro per celebrare questo progetto musicale che l'ha unito a Tony Esposito: due sagome, nel perfetto stile dechirichiano che lo contraddistingue, stagliate su una bandiera americana e una italiana.