Due racconti di due spettacoli visti ultimamente e ora conclusi. Uno, The Object Lesson, al BAM per Next Wave Festival (di cui vi avevo già parlato in questa rubrica), è perfetto per una condizione newyorchese comune ai più: trasferirsi da una casa all’altra, mettere la propria roba in scatoloni e magari appoggiare parte di questi scatoloni in uno scantinato in attesa di riaprirli e scoprire, dopo anni, cosa si è lasciato dentro. Il pubblico entra, dunque, in un teatro, una grande black box, piena di scatoloni alcuni aperti, alcuni chiusi, raramente sigillati. Siamo tutti invitati a toccare il toccabile, a leggere, curiosare, annusare e persino a chiacchierare con gli sconosciuti che come noi sono parte della serata. Ad un certo punto le luci cambiano ed entra lui, Goeff Sobelle, artista dedicato al “ridicolo sublime”. In pratica, in questo caso, Sobelle racconta alcune storie con la complicità degli oggetti che via via trova frugando in scatole che lui stesso va a cercare. Alcune storie sono divertenti, altre poetiche e un po’ tristi, come quella che chiude lo spettacolo che viaggia nelle varie età di una persona dalla giovinezza alla vecchiaia. Il risultato lascia perplessi perché appare un lavoro privo di un filo logico e di un contenuto vero e proprio.
Molto bello e convincente, invece, il progetto che da due anni Marco Calvani, autore e regista molto apprezzato in Italia e all’estero, sta portando avanti insieme a Neil LaBute e in collaborazione con La Mama. Si chiama AdA-Author directing author e si tratta di due testi, scritti da Calvani e LaBute, diretti dagli autori stessi in maniera incrociata, vale a dire Calvani dirige LaBute e LaBute dirige Calvani. Quest’anno hanno proposto il tema del desiderio e i testi, scritti appositamente per il progetto, sono Happy Hour di La Bute e The Second Time di Calvani. Il risultato è ottimo, gli attori (Chris Henry Coffey, Jennifer Mudge, Phil Burke e Meredith Forlenza) sono eccezionali e si esce con la sensazione di aver visto un bel teatro. A seguire, un’intervista a Marco Calvani che spiega come e perché è nato AdA.
Come scegliete il tema e poi i testi? Li scrivete apposta per questa serie AdA?

Marco Calvani, autore e regista di AdA
Il tema lo scegliamo di comune accordo. Buttiamo sul tavolo diverse opzioni, parole che possano esser grandi contenitori per piccole storie, temi che possono esserci familiari oppure che ci suonino come una sfida. Finché non troviamo la parola che ci soddisfa entrambi.
Poi ci dedichiamo a scrivere i testi, ognuno nella propria solitudine creativa e nell'ispirazione che nasce da quel tema scelto insieme. Quest'anno abbiamo comunque condiviso quel tempo e lo spazio della scrittura. La MaMa ci ha offerto una settimana in ritiro in Umbria nella loro splendida villa.Tutti i nostri testi di AdA (prima e seconda edizione) sono originali e scritti apposta per l'altro che li dirigerà.
Come lavorate uno sul testo dell’altro? Siete presenti in sala mentre l’altro dirige? Vi consultate o ognuno dirige da solo?
Quando cominciamo le prove ognuno lavora col proprio gruppo di attori, ma prima di questo, Neil ed io ci riempiamo di domande a sufficienza. Senza esagerare però, consapevoli di dover lasciare al regista la sua dose di immaginazione da applicare al testo dell'altro. A metà delle prove organizziamo di solito un incontro con gli attori: l'autore va ad incontrare gli attori del proprio testo per rispondere a tutte le domande e/o dubbi che nel corso della prima fase del lavoro sono sorte in loro.
Il vero sodalizio artistico, quello più attivo, si crea quando entriamo in teatro per l'allestimento. Da lì in poi le figure quasi si sovrappongono e si inizia a collaborare ad una migliore riuscita dei due plays. L'autore può sempre cancellare o modificare qualche battuta e il regista può anche contraddirlo. È estremamente divertente. Perché entrambi si è coinvolti su entrambi i testi e lo spettacolo che fino ad allora si componeva di due gruppi diventa una grande cosa sola.
Che tipo di risultati hai avuto da questa serie nel tempo?
Ho imparato moltissimo. Sia Neil che io siamo abituati a dirigere principalmente i nostri testi e AdA ha sicuramente allargato i nostri confini artistici. Era anche questo uno degli scopi che ci aveva spinto a dar vita al progetto: non solo l'idea di lavorare insieme, noi così diversi per lingua e linguaggio, ma soprattutto mettersi alla prova in qualcosa che fino ad allora non ci faceva stare completamente a nostro agio.
I risultati – per quanto mi riguarda – sono affiorati sia nella mia scrittura, che ha inevitabilmente e spontaneamente assorbito alcuni caratteri di quella di Neil, che nella mia regia. Nel corso di due anni, con AdA, ci siamo confrontati con attori di quattro lingue diverse. Questo richiede una grande concentrazione e un'estrema fiducia!
Gli attori erano incredibili… come li avete scelti?
Sono contento ti siano piaciuti. Provengono dal bacino del La MaMa e di Neil. Per me il casting negli USA era possibile solo tramite loro, via Skype, con dozzine di email con foto e resume in allegato. Non è stato facilissimo ma siamo fierissimi del risultato. Phil Burke aveva già lavorato con Neil. Chris Henry Coffey invece è un suo amico. Le ragazze sono state un’incredibile scoperta per entrambi.
Dove vedi andare il progetto? Continua, si evolve, apre ad altri?
Siamo già al lavoro per la terza e ultima edizione del progetto. Mentre prepariamo il debutto ufficiale della versione italiana di questa seconda edizione (Desiderio) che vedrà la luce il prossimo autunno a Roma. Per adesso la naturale evoluzione di AdA è la chiusura del cerchio della collaborazione iniziata e consolidata tra me e Neil. Mai come in questa seconda chance che ci siamo dati abbiamo scoperto il segreto della nostra amicizia e della nostra “alleanza”, quella spontanea sensazione di completezza che abbiamo quando lavoriamo insieme, la leggerezza e la profondità che si incontrano e si sposano. AdA può e deve aprirsi ad altri, ma non deve mai rinunciare al rapporto privilegiato che si può instaurare tra due artisti. Dunque credo che la formula debba restare sempre “a specchio”, per mantenere quella simmetria creativa propria dello scambio diretto. Se AdA si aprirà ad altri – come un giorno mi auguro accada – sarà per invitare ed ospitare altri due autori/registi.