Prendi un classico della letteratura, trasformalo in un fotoromanzo e il gioco è fatto. L'idea sembra semplice eppure nasconde un gran lavoro, un'approfondita conoscenza letteraria e un'enorme passione per quello che si fa. A realizzarla è stata Ileana Florescu, artista e fotografa, amante della letteratura e della storia e da una vita in perenne “confusione linguistica” (nell'intervista ci spiega perché). Oggi Ileana espone il suo ultimo lavoro, Io e Calliope, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò di New York, proponendo al pubblico americano un genere letterario cui forse è poco avvezzo: il fotoromanzo appunto. Parte integrante del sub-strato culturale dell'Italia del Dopoguerra, il fotoromanzo ha goduto di un periodo di splendore che è durato quasi quaranta anni, ma si è trattato di un'esperienza totalmente ignorata dall'altra parte dell'Oceano. Nessuno in America ne conosce il formato.
La mostra si compone di pagine di fotoromanzi da lei realizzati: 12 grandi classici della letteratura mondiale che la Florescu ha fotoromanzato. In che modo ce lo racconta lei stessa.
Com'è nata l'idea del progetto Io e Calliope?
“Tutto è nato da una mia precedente mostra, L'Umana sintesi, che fa parte del progetto La Biblioteca Sommersa: ho buttato i libri in acqua e realizzato un catalogo di citazioni per accompagnare i libri sommersi. Ma il lavoro non mi soddisfaceva pienamente, volevo qualcos'altro, volevo entrare nel merito del libro. Un giorno entrò nel mio studio di San Lorenzo, a Roma, Fabrizio Albertini, un grande fotografo dei fotoromanzi, che all'epoca cercava lavoro e mi ha chiesto se potevo dargli una mano. Quando, conoscendoci, mi ha parlato di come funziona la tecnica del fotoromanzo, mi è scattata una molla. Mi sono detta: ecco come farò, utilizzerò il testo come faceva lui per trasformare in fumetto testi classici della letteratura”.
Perché proprio questo nome?
“Calliope è la musa della poesia epica, Io sono io. Ho giocato con questo titolo ed è come se Calliope mi avesse ispirato in un certo senso”.
Come si traduce un capolavoro della letteratura in fotoromanzo?
“C'è un libro di Ermanno Detti, che si chiama Le carte rosa: storia dell'illustrazione popolare e del fotoromanzo, in cui l'autore spiega che la storia delle carte rosa non è legata al come eravamo, quanto al come sognavamo. E questa è stata, per me, un'apertura non solo su cos'era il fotoromanzo all'origine, ma anche su come noi ci rapportiamo a un testo quando lo si legge. Nella lettura, associamo le parole a delle immagini, facciamo associazioni visive. Questo è il mio lavoro: rapportarmi al testo per interposta persona, non avendo il talento di una scrittrice…in effetti sono una scrittrice mancata (ironizza, raccontandoci la sua “confusione di lingue”, dovuta a un'origine rumena, natali eritrei, un passaporto inglese e una madre di origine italiana). Quale modo migliore per raccontarsi dunque se non quello per interposta scrittura? Il lavoro più impegnativo di questo progetto non è stato tanto lo scatto finale quanto la selezione all'interno di una capolavoro: la scelta di un testo che potesse essere anche una sintesi del romanzo, tale da consentire al lettore di capirne la storia. È quello che io voglio raccontare di me, ma anche quello che gli interpreti raccontano”.

“Le spine a cosa servono?”, da Il Piccolo Principe.
Ci sono aneddoti da raccontare accaduti durante la realizzazione del progetto?
“Oltre al costume del Piccolo Principe, che ho realizzato, con l'aiuto di una sarta e di mia figlia, utilizzando delle tovaglie recuperate in giro per la Sardegna sotto Ferragosto, mi ricordo che sempre in Sardegna uno degli attori coinvolti, un mio carissimo amico al quale avevo chiesto di venire vestito da sardo, mi si è presentato con una camicia che non ci azzeccava niente col tema. Mi è preso un colpo! Eravamo in una campagna lontano da qualsiasi centro abitato e non potevamo permetterci di realizzare ben 12 scatti con una camicia sbagliata. A un certo punto, cercando tra gli armadi, ho trovato una camicia e una canottiera che forse erano rimaste lì dagli anni 50: perfette. Nell'opera La Verità Non Tollera L'Amore, tratta da L'uomo senza qualità di Musil, invece, non siamo in Austria, ma a Roma, nella mia casa, tre giorni prima di Natale. Mia figlia mi aveva appena comunicato che sarebbe partita per New York per sei mesi e allora ho imposto a tutti e due i miei figli di farmi Musil. Ce ne sarebbero tante da raccontare, ma il bello di questo progetto è che, come lo ha definito anche Diego Mormorio, è un omaggio all'amicizia: un progetto corale in cui tutti hanno collaborato con enorme generosità”.
Qual è stato in passato il suo rapporto con i fotoromanzi prima di intraprendere questa avventura?
“Mi ha sempre interessato molto tutto ciò che ha a che fare con la cultura popolare, ma pensi che in tutta la mia vita ne ho letto solo uno, da ragazzina. All'epoca era un tabù leggere un fotoromanzo, lo spiega molto bene L'amorosa menzogna di Antonioni, un piccolo documentario sul fotoromanzo, che ha poi ispirato Lo sceicco bianco di Fellini. La cosa curiosa è che mia figlia non ne ha letto manco uno, ma è nel suo dna, sa esattamente cosa sia”.
Se ne sa tanto in Italia, ma non nel resto del mondo, come in America per esempio…
“Se tu in America parli a un anglosassone del fotoromanzo, non capisce, non fa parte del suo trascorso culturale, è un genere non conosciuto. Io invece avevo dato per scontato che tutti sapessero cos'è un fotoromanzo. Eppure, me l'ha fatto scoprire Diego Mormorio, esistono 4 fotografie del 1854 di Roger Fenton, un fotografo inglese considerato il primo fotografo di guerra, che rappresentano in fondo un fotoromanzo: 4 momenti diversi di un incontro amoroso – il corteggiamento, la richiesta di mano, il sigillo e la luna di miele – con un happy end. Già nella metà dell'800, dunque, il fotoromanzo era in erba e proprio nella tradizione anglossasone”.
Come ha reagito il pubblico americano che è venuto a vedere la sua mostra a New York?
“È stata la mia prima volta negli Stati Uniti, ma devo dire molto bene. Ho avuto un pubblico estremamente colto, tutti mi hanno fatto domande molto precise, con un interesse che è andato al di là delle immagini. E questo mi ha dato una grande soddisfazione. L'opening organizzato dalla Casa Italiana non è stato solo l'inaugurazione di una mostra, ma anche un'occasione di approfondimento culturale per gli intervenuti. In Italia tutto ciò non avrebbe avuto senso”.
Io e Calliope sarà in mostra alla Casa Italiana fino al 28 di ottobre. Progetti futuri?
“Sto già lavorando a un altro progetto, che ho molto a cuore e di cui per ora non posso anticipare nulla se non che sarà alla Biblioteca Angelica, a Roma, la prossima primavera, riguarderà ancora una volta i libri e sarà una mostra un po' più politica rispetto ai miei lavori. Sarò comunque di nuovo in compagnia di libri e di lettura”.