Vai alla City University di New York per parlare della moda italiana nel Rinascimento e ti ritrovi a conversare di New York, di Antonioni, di sarte femministe e di fashion blogger contemporanei. È quello che accade quando incontri personaggi come Eugenia Paulicelli, barese di nascita e americana di adozione dagli anni ’80, quando ha iniziato la carriera accademica che l’ha portata a diventare docente di Italiano, Letterature comparate e Studi femminili al Queen’s College di New York. “Mi interessa il rapporto tra moda e nazione, e come la moda può riscrivere la Storia – dice ridendo, rivelando una passione vivace che è rara da trovare in un navigato professore universitario – In particolare mi affascinano i momenti di grande trasformazione storica, visti da una prospettiva globale, transnational”.
L’occasione per incontrare Eugenia Paulicelli è l'uscita del suo nuovo libro, Writing Fashion in Early Modern Italy. From Sprezzatura to Satire, che racconta come la letteratura e la cultura italiane, durante il Rinascimento, siano state fondamentali per "dare forma al senso della civiltà e del gusto in Europa e in Occidente". Il Rinascimento è il periodo in cui le leggi suntuarie, le norme che regolano l’abbigliamento dei vari ceti sociali, si fanno sempre più codificate. “È il periodo del protocapitalismo, della formazione delle città – spiega Paulicelli – le botteghe artigianali diventano sempre più raffinate e la classe mercantile sempre più ricca. Questa mobilità sociale crea confusione e servono delle leggi che definiscano le gerarchie sociali, nella società dell’Antico Regime. Come distinguere, ad esempio, una nobildonna da una cortigiana? Una donna nubile da una sposata?”. Ma la novità del Rinascimento è che anche la letteratura comincia a produrre regole di comportamento. Ciò che rimane oggi di questi testi è un corpus di “mappe” che raccontano “il rapporto tra moda, senso e costruzione della nazione, dell’identità nazionale, creazione di codici di bellezza di buon gusto. Mi interessava capire cosa significava, tutto ciò, in rapporto all’Italia e all’identità nazionale”.
È il Libro del Cortigiano di Baldassarre Castiglione (1528) a dare inizio al viaggio di Eugenia Paulicelli che poi, però, si lascia trasportare da “mappe” meno note, come le bellissime illustrazioni di Cesare Vecellio nel suo Costumes anciens et modernes, o i piatti decorati dall’architetto Giacomo Franco, senza disdegnare l’Antisatira di Suor Arcangela Tarabotti e La carrozza da nolo, ovvero del vestire e usanze alla moda di Agostino Lampugnani. “Mi sono meravigliata nello scoprire che alcuni dei concetti contenuti in questi libri oggi vengono ripresi addirittura dai fashion blogger, primo fra tutti il concetto di sprezzatura, ovvero quella maniera di comportarsi che non fa vedere quanto lavoro c’è dietro la cura della propria immagine, e quindi l’arte di nascondere l’arte – rivela Eugenia Paulicelli – Se si fa una Google search con le parole ‘sprezzatura’ e ‘men’s wear’ escono fuori più di 52.000 risultati. Alcuni blogger fanno riferimento esplicitamente al libro di Castiglione, e interpretano la sprezzatura come ideale di mascolinità, di un’idea di stile legata all’Italia, alla sartorialità. È un cambiamento importante rispetto a qualche anno fa, quando ancora l’interesse per la moda era considerato un fenomeno prettamente femminile”.
La moda, del resto, è qualcosa che investe tutti, uomini e donne, perché “il vestito che si indossa è come una lingua, un testo di cui si scelgono con cura le parole; in questo senso si può dire che Castiglione ha inventano una semiotica del vestire, molto prima di Roland Barthes”.
La moda, per Eugenia Paulicelli, è “un movimento verso il continuo cambiamento”. Ed è per questo che nel suo precedente libro si è occupata del ventennio fascista (Fashion Under Fascism) e in quello successivo, che sarà pronto a breve, racconterà il cinema del secondo dopoguerra (Italian Style: Fashion & Film from Early Cinema to the Digital Age).
“La moda è legata ai momenti di trasformazione. Per questo ha giocato un ruolo decisivo per la costruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale e, poi, anche nel processo di americanizzazione, in un periodo in cui non solo la politica e l’economia, ma anche la moda, aveva una sua importanza, nel rapporto tra Stati Uniti e Italia. Questo perché la moda è anche industria culturale, che porta con sé la fotografia, la pittura, il cinema e i designer”. Ma anche la società. “Pensiamo, ad esempio, ad Antonioni, alla narrazione di una nuova identità femminile incarnata da Monica Vitti, una donna completamente diversa dalla figura mediterranea, che si porta dietro una nevrosi e una sofferenza mai raccontate prima. È nei dettagli, nella fotografia, in tutto il suo linguaggio visivo che include anche la moda, che si esprime quel malessere”.
Per quanto riguarda il periodo del fascismo, invece, la figura di riferimento di Eugenia Paulicelli è Rosa Genoni, madre, sarta, insegnante e giornalista socialista che si rifiutò di aderire al fascismo e promosse l’idea di una moda italiana che non fosse succube di quella parigina. “Figure come quella della Genoni – spiega Paulicelli – mostrano che la moda è legata a una politica del fare e del pensare. Ma anche a un’etica del lavoro, considerata in un contesto più ampio: pensiamo, ad esempio al movimento sindacale newyorchese e alle 146 donne che hanno perso la vita nel marzo del 1911, nell’incendio della fabbrica tessile in cui lavoravano. E a tutte le donne immigrate che ancora oggi lavorano nell’industria della moda e senza le quali questo settore non andrebbe avanti”.
E quando si arriva a parlare di New York, capitale della moda per eccellenza (tema che Eugenia Paulicelli approfondisce nel video qui sotto), la professoressa non ha dubbi: “La città mantiene ancora tutto il suo fermento culturale. Le città usano la moda per promuovere la loro immagine, e nel caso di New York questo fenomeno negli ultimi anni si è addirittura intensificato. Oggi c’è dappertutto la competizione a diventare fashion cities: non più solo Milano, Parigi, ma anche l’India, ad esempio. Dietro queste città c’è la capacità di attrarre visitatori, soldi, del resto la moda è anche business”.
Tante buone ragioni per appassionarsi alla moda. “La moda è un campo molto affascinante, perché tira in ballo la cultura, l’ambiente, le arti, l’etica, lo stile, la storia, la politica vera e propria. Studiarla significa appassionarsi a tutte queste cose”.
Eugenia Paulicelli, Writing Fashion in Early Modern Italy. From Sprezzatura to Satire, Ashgate, 2014.