Per ragioni professionali ho conversato a lungo con un alto dirigente della presidenza del Consiglio, scambiando a ruota libera, grazie alla reciproca confidenza, idee e sensazioni sull’attuale momento italiano, in particolare su come e dove il governo prevede di portare il paese. Mi ritrovo con una serie di impressioni e opinioni da condividere.
L’effervescenza giovanilistica fatta di battute, slogan, lancio del cuore oltre l’ostacolo, annunci di rottamazione di zii e nonni, che ha caratterizzato la “campagna” di Renzi per il potere, si è tradotta in pratica di governo, almeno nei settori che più direttamente si richiamano al primo ministro. Non negative in sé, le bollicine dell’effervescenza hanno un difetto: prima di dissolversi hanno alterato la percezione della realtà, producendo seri danni. L’effervescenza porta ad esagerare l’autostima e a sottovalutare gli ostacoli tecnici. Cosa ancor più grave, fa ritenere che le leggi (ad esempio gli articoli della Costituzione, o gli effetti delle sentenze della Corte costituzionale) se risultano di ostacolo, possano essere tranquillamente accantonate. Fa ritenere che dei giovani entusiasti ma incompetenti possano far meglio di gente matura ma più capace.
La pattuglia renziana di governo sbandiera muscoli e ottimismo della volontà che non trovano riscontro nei fatti effettivi con i quali continuiamo ad avere a che fare ogni giorno. Dal governo non arrivano decisioni che cambino uno solo dei comportamenti dai quali il cittadino italiano è quotidianamente vessato. All’interlocutore della Presidenza che stimola a vedere la lucentezza del nuovo e a sposare l’ottimismo ufficialistico che scorre a fiumi tra TV, social network, interviste giornalistiche, si oppone la cruda e desolante realtà dei fatti. E sui fatti, sto da sempre pervicacemente con John Maynard Keines che affermava, in tempi e luoghi non sospetti: “Cambierò idea quando cambieranno i fatti. Perché lei invece che fa, signore?”.
Ci sono cose semplici che un governo del vero cambiamento potrebbe e dovrebbe fare, e si tirerebbe dietro l’intero paese. Qualche esempio. La magistratura, incurante dello spaventoso arretrato di cause, chiude per ferie l’intero agosto, e nessuno che glielo impedisca; i magistrati lavorino e collaborino a quella riforma del sistema giudiziario senza la quale non troverà soluzione la crisi italiana. Le città, ma ormai anche i borghi, dopo aver sofferto i costi sociali e finanziari del grande crimine organizzato, vengono sempre più confiscate nei rami bassi da borseggiatori e clandestini di ogni colore, genere e nazionalità; alle forze dell’ordine che, depotenziate da decenni, sono impotenti, il governo chiede di attrezzarsi all’ulteriore decurtazione di personale. Chi paga imposte, tasse e balzelli, consegna allo stato più dei 2/3 del frutto del suo lavoro, imprecando contro la bulimia della spesa pubblica; sa che gli potrà andare anche peggio, visti gli impegni finanziari di uscita creativa, che il governo continua ad assumere ogni giorno.
Abbiamo bisogno di amministrazione più che di politica. Non servono nuove leggi e grandi riforme, almeno per ora, ma che le leggi esistenti siano rispettate, che i burocrati siano servitori dello stato, così che il cittadino riceva qualcosa in cambio del troppo che è costretto a dare. Occorre essere seri e lavorare duro: all’amico che incita all’ottimismo, il sapido Guido Ceronetti direbbe: “L’ottimismo è come l’ossido di carbonio: uccide, lasciando sui cadaveri un sentore di rosa”.