Sebbene non sia nato attore, ma lo sia diventato, quasi per caso, Vincenzo Amato è sicuramente uno degli interpreti più interessanti nel panorama cinematografico italiano, e non solo. Da Respiro di Emanuele Crialese, che lo ha subito consacrato sul piano internazionale, passando poi per Nuovomondo, sempre di Crialese, Girl On A Bicycle di Jeremy Leven, Vino dentro di Ferdinando Vicentini Orgnani, e molti altri, e negli ultimi anni anche recitando in serie televisive americane di grande qualità e successo – Damages, The Good Wife, Boardwalk Empire, Elementary, per citarne solo alcuni – , in miniserie italiane fra cui Einstein di Liliana Cavani, fino ai film più recenti: Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso, Unbroken di Angelina Jolie e The Wannabe di Nick Sandow e prodotto da Martin Scorsese.
Amato ha spesso interpretato un uomo duro, ruvido, e anche il classico villain, forse per i suoi tratti decisi, i colori mediterranei, la determinazione nel tono della voce: tutti elementi molto cinematografici, che un bravo regista sa valorizzare al meglio, e che produttori e distributori sanno indirizzare verso il pubblico nella maniera più appropriata. Sì perché altrimenti sarebbe difficile da spiegare. Vincenzo Amato è prima di tutto un artista – è uno scultore del ferro – è quello che definiremmo un animo gentile, dalla sensibilità complessa e dall'ironia sorniona. Ed è il suo lavoro di scultore che l'ha portato a New York dalla Sicilia (passando per Roma) ormai vent'anni anni fa, quand'era giovanissimo. E lo era anche New York. Qui ha conosciuto Emanuele Crialese, e qui nel 1997 hanno girato il primo film insieme, Once We Were Strangers, primo per entrambi, a basso budget, una scommessa riuscita.
Da quel momento, la sua carriera è costellata di mariti brutali, padri severi, contadini rozzi ed ignoranti, criminali spietati. Ma i suoi cattivi non sono mai solo cattivi: come accade per i più grandi personaggi e nel miglior cinema, il cattivo non lo è mai in maniera assoluta, nasconde sempre delle ragioni, una debolezza, un lato intimo più fragile, e Vincenzo Amato dà il suo meglio proprio lavorando su queste sfumature, sul non detto, sulla complessità del personaggio. Questo vale anche per il ruolo più recente che ha interpretato in un film italiano, Più buio di mezzanotte, opera prima presentata con ottimi riscontri di critica e pubblico all'ultima edizione del Festival di Cannes.
“Il mio è il ruolo di un padre duro, non moderno, che non riesce a capire l'identità sessuale del figlio. Il figlio è una creatura sessualmente misteriosa, e direi che il padre è impreparato, non cattivo. Come altri ruoli che spesso mi propongono, ruoli di “cattivo” – racconta sottolineando il termine con un sorriso, un termine inadeguato a lui come a certi personaggi a cui lo si riferisce – anche qui c'è un cattivo che ha dietro una certa debolezza, paura, tenerezza anche, come sempre insomma ha dietro una sofferenza… nessuno nasce cattivo, in questo senso penso bisogna avere sempre una certa tolleranza nel giudicare le persone. Poi, siccome io non sono né cattivo né severo, allora evidentemente questi ruoli mi riescono bene, perché riesco a dare al personaggio diverse sfaccettature, andando a scavare in quello che c'è dietro all'apparenza. È stato così anche in Respiro, dietro l'apparenza di Pietro c'era anche altro…”.

Vincenzo Amato in una scena del film Più buio di mezzanotte
Questa non è stata la tua prima volta a Cannes. Respiro è stato appunto presentato lì nel 2002, e quest'anno in particolare c'era tanta Italia a quello che rimane il più grande festival del mondo: l'immagine ufficiale con Marcello Mastroianni, la presenza di Sofia Loren, l'omaggio a Sergio Leone, il film di Alice Rohrwacher in concorso e altri film italiani nelle diverse sezioni, che atmosfera c'era?
“Un'atmosfera molto bella. Più buio di mezzanotte è stato accolto benissimo, la sala era piena, c'era molto interesse. Inoltre, la cosa bella di Cannes secondo me sono gli incontri che si fanno: non solo registi che magari non conosci e di cui ti sono piaciuti i film, altri attori, ma anche giovani sognatori: chi ha una storia da raccontare, un film da realizzare, un sogno, va a Cannes, sono tutti lì. Inoltre i francesi amano il cinema italiano, il Festival di Cannes smania per avere un buon film italiano, i francesi non sono affatto snob verso il cinema italiano, come invece molti dicono, ne ho avuto conferma ogni volta che sono stato in Francia per girare un film, o per presentarlo”.
E qui a New York?
“È lo stesso, gli americani amano il cinema italiano. C'era così tanto nel cinema italiano del passato, che campiamo ancora sulla sua eredità! – dice ridendo – Il fatto è che non solo c'erano dei grandi registi, dei grandi attori, ma c'era un'industria. Qui vedo comunque che noi italiani, quando si tratta di cinema, di arte, di cultura, ma anche nella vita di ogni giorno, siamo amati e apprezzati, sempre”.
In particolare Respiro e Nuovomondo hanno avuto un grande successo anche fuori dall'Italia, soprattutto qui negli Stati Uniti…
“Questo succede quando il cinema italiano racconta un'Italia vera, sentimenti e situazioni vere. Quando lo fa, i film vanno bene”.
Passiamo al tuo percorso professionale, che in parte è anche il tuo percorso di di vita: come sei diventato attore?
“È successo veramente per caso. Ero vicino di casa di Emanuele Crialese, che era uno studente di cinema alla New York University, e lui mi ha proposto di interpretare il suo primo film, Once We Were Strangers, e da lì è iniziato tutto. Cosa posso dire? È che con Emanuele da subito mi sono trovato bene, mi viene più facile forse anche perché siamo cresciuti insieme, professionalmente intendo. Da lui ho imparato a tirar fuori le cose che avevo dentro. Negli Stati Uniti per me è difficile interpretare ruoli da protagonista perché qui sono ancora considerato un attore etnico, mentre i protagonisti sono solitamente per gli anglosassoni… Però pian piano le cose stanno cambiando, per esempio sono supporting actor nel film di Angelina Jolie, ora in post-produzione. Negli ultimi anni ho fatto poi molta televisione, che qui è a livelli altissimi: ci sono molti soldi impiegati nella scrittura, nella preparazione, le sceneggiature sono ottime, le serie sono intelligenti, innovative, ci sono bravissimi attori, bravissimi registi. A volte la qualità è maggiore rispetto al cinema”.
Girare (un film o una serie TV) in Italia e girare negli Stati Uniti: quali sono le principali differenze?
“Le differenze maggiori sono sul set, sul modo di lavorare che è diversissimo, si vede che abbiamo due culture, e due industrie, diverse. In Italia si va più lenti, c'è più caos, meno organizzazione, non c'è silenzio. Negli Stati Uniti invece sul set si va più veloci, c'è una struttura più rigida, che funziona bene, quasi militare, e c'è più silenzio. Sui set italiani però ci si diverte di più! E questo qui in America mi manca. Anche se poi quando vado a girare in Italia mi rendo conto del caos e mi dico: no, è troppo! E voglio tornare a girare New York…”.
Hai degli attori o dei film di riferimento? Film e attori che ti piacciono, o che ti hanno ispirato, o insegnato qualcosa?
“Non in particolare. Crialese mi aveva insegnato a non avere nessuno in mente quando recito, e faccio così. Ho un film preferito però, che è Le samourai (ndr Frank Costello – Faccia d'angelo) di Jean-Pierre Melville, con Alain Delon. Poi mi piacciono molto i film di Clint Eastwood, e anche lui, come figura fisica: è un attore elegante e un regista sobrio e sofisticato. L'ho conosciuto una volta, e ho fatto una scultura, un suo ritratto”.
Ecco, veniamo alla scultura del ferro, che è l'altra parte di te, quella originaria, se vogliamo.
“Si, da oltre trent'anni. È un altro aspetto del mio lavoro creativo. Lavoro da solo, nel silenzio, per la scultura non servono molti soldi (a differenza del cinema e della televisione). Poi ,quando mi capita una bella storia, un bel film, allora chiudo l'officina e vado a fare il film, che è invece una situazione piena di persone, movimento, confusione anche. Quando poi non ne posso più del cinema, torno al mio studio e alla mia tranquillità. Passo il tempo libero con mia moglie, le mattine con le mie bambine, una vita tranquilla. Avere entrambi gli aspetti direi che è la vita ideale, ne sono molto contento”.

Vincenzo Amato in Boardwalk Empire
C'è anche qualcos'altro che ti piacerebbe fare, il famoso sogno nel cassetto?
“Mi piacerebbe cantare! Penso che come carriera artistica non ci sia cosa più bella!”, e mi racconta che un po' canta, gli piace molto, e un giorno, magari, chissà….
Tornando ai film che ha interpretato, ce n'è uno a cui sei più legato?
“Sono tutti parte di me, perché in ogni ruolo trovi qualcosa che è parte di te. Sono molto affezionato al ruolo del contadino di Nuovomondo: è un ruolo che ho preparato a lungo, per cui ho sofferto molto, e da cui ho imparato tanto. È un personaggio antico e con lui, nel film, ho intrapreso un viaggio nel tempo affascinante. E poi c'è Einstein, il film TV di Liliana Cavani: nonostante io non capisca molto di scienza, è un personaggio che ho sentito vicino in quanto era anche lui un artista. E poi era uno spiritosone! In quell'occasione mi sono reso conto che è più vicino a me uno scienziato tedesco di un poeta siciliano, per esempio”.
Progetti, di cinema o arte: quelli a cui stai lavorando e quelli che vorresti un giorno realizzare?
“Sto preparando una mostra sull'America rurale che si chiama Rovine americane, è un progetto molto bello. Per quanto riguarda invece il mio lavoro di attore, ci sono diverse cose: c'è il ruolo di Kaloghero, una commedia in cui interpreto un siciliano relegato in Alto Adige, poi alcuni ruoli da cattivo, poi un cattivo assoluto nella serie La Catturandi, per la RAI, una serie molto ben scritta, e qui quest'estate girerò la nuova stagione di Boardwalk Empire per la HBO, faccio un gangster, un altro cattivo quindi.” Ci pensa per un attimo e poi aggiunge: “Insomma, idealmente io sono un comico romantico, però mi fanno sempre fare il cattivo!”.
Un ruolo che vorresti interpretare?
“Vorrei fare Ulisse! In verità vorrei sia interpretare Ulisse che fare il regista dell'Odissea, ma soprattutto il regista.” Al momento rimango sorpresa da questa risposta, ma a pensarci bene no…“Io vorrei essere Ulisse – prosegue – ho letto l'Odissea diverse volte, la prima volta quand'ero piccolo, e mi sono successe delle cose nel corso della vita, cose che mi hanno fatto sentire che Ulisse, come personaggio, è forse quello che più mi appartiene”.
Il viaggio, in particolare il viaggio dalla Sicilia a New York, è stato una cifra della tua vita, e anche di molti tuoi film. Cosa ti piace e cosa detesti di NY?
“Me lo chiedo sempre. Non mi piace il freddo dell'inverno, ed è una città molto stancante. Ma resto qui perché è l'unico posto al mondo che mi fa sentire libero, qui non devi per forza appartenere, a qualcuno o a qualcosa… Quando sono via per un po', mi piace sempre tornare qui”.
Questo è il momento del cinema, e sappiamo che, se è vero che un attore solitamente riesce bene (o impara) a parlare di sé, un artista lo fa assai di rado, anche perché le parole non bastano. Magari però, in uno di quei silenziosi e assorti giorni d'estate, nel suo studio dell'East Village, Vincenzo Amato ci racconterà la sua arte, le sue sculture, un altro pezzetto di sé, di un artista italiano a New York.