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March 11, 2014
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Benedetto Croce, filosofo (non elitario) della libertà

Vincenzo PascalebyVincenzo Pascale
Time: 8 mins read

La crisi sociale e valoriale che l’Italia – ma non solo – sta attraversando secondo molti studiosi è dovuta all’esaurirsi di una visione politica che ha guidato il Paese per oltre mezzo secolo e alla difficoltà di individuare nuovi percorsi di pensiero per la crescita economica e civile del Paese. Ne discutiamo con Ernesto Paolozzi, docente di Filosofia Contemporanea all’istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, studioso di Croce, noto a livello internazionale. Inesauribile divulgatore scientifico, già direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi. Un'ampia intervista su Croce filosofo liberale, sul suo ruolo nella Costituente, sul rapporto con l’arte e con Napoli.

Lo scorso anno la rivista Foreign Affairs ha inserito solo due pensatori italiani nel novero degli uomini di idee del Novecento: Croce e Gentile. Professor Paolozzi ci può ricordare l'importanza di Croce nell'ambito del pensiero liberale italiano ed europeo?  E soprattutto il ruolo di Croce nell'ambito della Costituente e della prima fase della Repubblica?

Il liberalismo di Croce ha molti punti di contatto con il liberalismo classico ma per tanti aspetti se ne distanzia. In questo senso rappresenta una novità non ancora del tutto compresa. Più che un filosofo liberale definirei Benedetto Croce un filosofo della libertà. Definisce il suo liberalismo meta politico. Io ho provato a definirlo liberalismo metodologico (confronta: Ernesto Paolozzi, Benedetto Croce: The Philosophy of History and the Duty of Freedom pubblicato dal sito ovimagazine.com).

Il filosofo napoletano ritiene che la libertà sia la categoria fondamentale della storia. Naturalmente la libertà non si costruisce nel vuoto ma nell’eterna lotta con il suo disvalore. La storia non è storia della libertà in senso banale, ottimistico. La storia è la storia della lotta per la libertà. Questo è un chiarimento necessario per non confondere Croce con un semplicistico pensatore edificante. La libertà non vince e non perde in modo definitivo. Si identifica, in questo senso, con il bene, con l’etica ossia con la continua lotta del positivo contro il negativo. La libertà si esercita anche nei confronti di noi stessi, nel continuo contrasto che viviamo nel tragico scontro fra istinti negativi e coscienza morale. Ho provato a dire: la morale di Croce è la morale di Kant messa in movimento, in questo senso storicizzata.

Ernesto Paolozzi, docente di Filosofia Contemporanea all’istituto Universitario Suor Orsola Benincasa

Ernesto Paolozzi, docente di Filosofia Contemporanea all’istituto Universitario Suor Orsola Benincasa

Se tutto ciò è vero, si spiega perché Croce cerchi di evitare che il liberalismo possa identificarsi con alcune particolari dottrine politiche o economiche. Possiamo ritenere attualmente necessario il libero mercato, ma non possiamo affermare che la libertà coincida con il libero mercato. Possiamo ritenere un punto di riferimento essenziale le dichiarazioni dei diritti umani, ma non possiamo rinunciare a pensare che i diritti non sono naturali ma storici, sempre in continua mutazione. L’affascinante teoria liberale che il potere deve limitare il potere  (la divisione dei poteri) ci costringe a pensare di volta in volta quali siano i poteri realmente in campo. Solo il Parlamento, il Governo, l’ordinamento giudiziario? Quello economico, quello dell’informazione, quello religioso? In questa prospettiva potremmo definire Croce un filosofo liberal  in senso americano. Ma il suo storicismo può avvicinarlo anche ai filosofi comunitaristi. Credo sia una posizione molto originale ancora da comprendere in tutta la sua portata. Rimane ferma l’idea che la libertà si svincola da ogni dottrina particolare. La libertà esisteva anche prima del liberalismo, del capitalismo, del giusnaturalismo. L’uomo nasce libero e combatte sempre per affermare la sua libertà, poi diventa socialista, liberale, democratico, conservatore cattolico, musulmano e così via.

 Alla Costituente difese lo Stato laico pur senza prendere atteggiamenti volgarmente antireligiosi. Ricostituì il Partito liberale, partecipò al Governo di Unità nazionale. Rifiutò la presidenza della Repubblica ritenendosi troppo vecchio.  Ma la sua fu soprattutto una influenza morale. Svolse un oggettivo ruolo di garanzia nei confronti degli americani e degli inglesi  che riponevano in lui assoluta fiducia. Malauguratamente la lotta politica, soprattutto quella condotta dai comunisti, spinse la cultura italiana legata ai grandi partiti di massa ad isolare Croce. Un danno gravissimo di cui l’Italia paga ancora le conseguenze.

Croce fu anche uno straordinario studioso dell'arte. La sua Estetica (1900) viene ancora studiata ed elaborata. Eppure il concetto di arte in Croce viene considerato elitista. Lei condivide questa affermazione. Cos'è l'arte per Croce? 

La questione dell’elitismo nasce da un errore di interpretazione dovuto al fatto che Croce usa l’espressione pura per qualificare l’arte, l’intuizione. Quelli che lessero superficialmente il testo crociano, o conobbero il pensiero del filosofo di seconda mano, leggendo solo le definizioni dei libri di scuola, ritennero che il filosofo sostenesse una tesi del tipo: l’arte per l’arte. Croce, invece, con il termine pura intendeva dire che l’arte è una funzione della vita autonoma. In correlazione con la vita tutta ma con una sua specifica (distinta) funzione. In poche parole , l’arte non è la morale, la politica, il pensiero. L’arte rappresenta la vita nei suoi aspetti particolari, individuali. Rappresenta un uomo morale o immorale, un panorama bello o brutto, un’azione politica positiva o negativa. Ecco, l’arte può essere bella rappresentando un paesaggio brutto e può essere brutta (ossia non arte) rappresentando un paesaggio bello.  L’arte, di conseguenza, non si identifica con i sermoni,  comizi, prediche, non deve necessariamente  inseguire il successo (per far soldi, per narcisismo), e così via. In questo senso è pura. Ma si nutre, come abbiamo visto, della vita in tutti i suoi aspetti.

croceL’arte è per Croce una forma di conoscenza e, precisamente, conoscenza dell’individuale, mentre la filosofia è conoscenza dell’universale. Senza l’arte non è possibile la conoscenza universale. Qui non dobbiamo pensare solo alla grande arte, a Dante, Caravaggio, così come il pensiero non è solo quello di Aristotele e Platone. Tutti siamo artisti e filosofi perché tutti intuiamo e pensiamo. Altro che elitismo, dunque. In qualche mio scritto ho provato a semplificare in questo modo. Mi scuso per l’esempio troppo semplice, ma può servire a capire. Se devo incontrare una persona che non conosco, sottolineo conosco, non mi sarà d’aiuto nessuna descrizione filosofica o scientifica: ha l’anima, è un mammifero bipide etc.  Mi si dovrà dire : “È alto, molto magro, capelli biondi, naso un po’ grosso…” Insomma potrò conoscerlo solo attraverso la rappresentazione individuale della sua fisionomia. In questa rappresentazione individuale vi è universalità, l’universalità tipica dell’arte (tutti possiamo potenzialmente comprendere la rappresentazione dell’individuale).

Sono concetti non facili, ma una volta compresi risultano fondamentali. Quante discussioni inutili si fanno attorno ad opere d’arte sul loro “contenuto”,  sul messaggio politico o morale che dovrebbero trasmettere.  È successo anche con il film di Sorrentino La grande bellezza. Soprattutto in Italia.

Croce e la storia. Una straordinaria avventura che parte da Vico. L’evoluzione della storia Europea sembra aver confermato l'impianto teorico di Croce. Davvero l'Europa è la patria della libertà? 

Lo storicismo di Croce  capovolge la tradizionale idea della storia. La celebre frase crociana, “Ogni storia se è vera storia è storia contemporanea”, mostra come il filosofo pensi che nel percorso storico non possiamo ritrovare leggi eterne che ne determinano lo svolgimento.  Croce critica le filosofie della storia che sul piano politico possono condurre a  costruire e giustificare regimi totalitari. Il filosofo, inoltre, ci mostra come non è possibile conferire primati all’economia, alla religione, al pensiero e così via. Non esiste un principio assoluto che meccanicamente condiziona l’intera vita dell’uomo.

Siamo noi che dal nostro presente, partendo dai nostri bisogni, dai nostri interessi, dai nostri ideali, proviamo a comprendere lo sviluppo della storia e, una volta compresolo, proviamo a modificarlo. Ecco il titolo di uno degli ultimi volumi del filosofo: La storia come pensiero e come azione. Anche in questa prospettiva possiamo ritenere la concezione della storia del filosofo come  una filosofia della libertà.

In questo quadro  Croce (fu anche un grande storico) traccia la storia dell’Europa dell’Ottocento, il secolo nel quale il liberalismo nato con l’Illuminismo si afferma anche come concezione nazionale, come storicismo. Pensiamo al ’48, al Risorgimento italiano , al consolidarsi delle istituzioni democratiche in tutti i paesi liberi. Durante il Fascismo, con il volume sull’Europa che è del 1932, il filosofo si augura e quasi prevede profeticamente un’Europa unita sotto il segno della libertà e della democrazia. Ciò che poi è accaduto. In questo senso l’Europa è la patria della libertà.  Naturalmente il filosofo italiano sapeva bene che gli Stati Uniti d’America erano la più grande democrazia del mondo e anch’essi patria della libertà. Riteneva l’America e l’Europa profondamente unite proprio nel segno della  religione della libertà.

Veniamo al rapporto Croce/ Napoli. Una simbiosi mascherata oppure un auto esilio per concentrasi sull'evoluzione del liberalismo in Europa? 

Croce ebbe un rapporto strettissimo con Napoli. Ne ha scritto la storia, ne ha indagato  la creatività artistica e letteraria. Sempre con misura, senza esagerare i meriti o negare i difetti. Non  sentiva la sua condizione come di esilio. Aveva scelto di vivere a Napoli perché Napoli era una grande capitale mondiale della cultura di cui il filosofo si sentiva parte. La città di Giordano Bruno, Giambattista Vico, Vincenzo Cuoco, Francesco De Sanctis, di Pietro Giannone, di Filangieri e degli illuministi della rivoluzione del ‘99.  Senza contare, sul versante artistico, Torquato Tasso, Giambattista Marino, Giambattista Basile e tanti altri. La città che ha creato l’Opera Buffa,  ha dato vita alla grande stagione della canzone (si pensi alla grandezza di Salvatore Di Giacomo), ad una tradizione teatrale ancora oggi molto viva.  Penso sia questo il motivo di fondo che spinse Croce ad amare la sua città di adozione al di là di vicende private che non possiamo conoscere. Da Napoli condusse la sua battaglia per la libertà anche durante gli anni della dittatura così come si poteva in quei tempi, tenendo rapporti, sia pure con difficoltà, con i maggiori studiosi del mondo libero.

Quale era la posizione di Croce sul Mezzogiorno e sull'Unità d'Italia?

Croce ritenne il Risorgimento italiano e la conseguente Unità dell’Italia, uno dei più grandi capolavori politici della storia. Ammirava Cavour, il suo liberalismo e la sua concretezza. L’uomo che, diversamente da Mazzini e Garibaldi, riusciva a tenere assieme l’ideale e il reale. I tanti episodi discutibili del Risorgimento non potevano oscurare l’andamento complessivo della storia. Piemonte e Lombardia, Campania e Sicilia, Firenze e Roma, Genova e Venezia, pur nelle diversità si trovavano a dover conquistare la libertà dallo straniero, le libertà politiche, le libertà economiche. Insomma mettersi al passo con la storia, se così possiamo dire. Con mille limiti e tante difficoltà. Così, anche il Sud d’Italia, unificandosi al resto dell’Italia, pur pagando un duro prezzo, acquisiva una relativa libertà, si apriva, sia pure timidamente, alla democrazia.  Il che non significa mettere a tacere gli episodi oscuri, l’eccessivo centralismo dei primi anni dei governi unitari, le meschinità che si accompagnano ad ogni svolta della storia, ad ogni rivoluzione o guerra.  Croce non ebbe un atteggiamento retorico (sentimento del tutto estraneo alla sua personalità) nei confronti del Risorgimento: ne difese l’essenza, per così dire, la dimensione etico-politica, come amava dire. Come, del resto, la parte migliore della cultura e della borghesia napoletana e meridionale, la quale lottò per l’unità pagando un alto prezzo di sangue e di sofferenze.

 

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Vincenzo Pascale

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