Ha appena lanciato un nuovo album sul mercato americano e si prepara a partire per un lungo tour che lo poterà in più di 40 città tra Canada e Stati Uniti. Zucchero, all'anagrafe Adelmo Fornaciari, ha alle spalle più di 30 anni di carriera e, artisticamente parlando, non ha nemmeno un capello bianco. Con l'entusiasmo e la semplicità di sempre, è stato a New York per presentare La Sesión Cubana, uscito il 18 febbraio per Manhattan Records e ora è pronto a salire su un bus per la prima tappa del tour che lo vedrà a Toronto martedì 13 marzo. Dodici le date canadesi a cui seguirà un lungo viaggio che, dal Nord-Ovest degli USA lo poterà giù fino a Los Angeles, Phoenix, Las Vegas, poi di nuovo verso est con Dallas, Lafayette, Nashville, New Orleans, e fino al Midwest di Milwaukee e Chicago per poi farlo approdare a New York il 23 aprile e infine nel Sud della East Coast per la conclusione del tour, i primi di maggio. Un vagabondaggio musicale che è un po' l'immagine della sua arte e dei suoi suoni. Un viaggio sulla strada che lo porterà alle radici della musica americana e della sua musica che da quella americana trae il colore e il calore.
Lo abbiamo incontrato a Manhattan, in una fredda mattinata di inizio marzo, a pochi giorni dall'inizio della tournée.
Stai per iniziare un lungo tour negli USA. Sei pronto per l'avventura?
L'idea mi diverte. Con un tour così lungo, per motivi di logistica e per contenere i costi, abbiamo scelto di viaggiare su un bus, di quelli che usano anche i cantanti country. Sono bus confortevoli, con i bagni e le cuccette. Saremo tutti lì, la crew e la band. A me hanno ritagliato in fondo all'autobus uno spazio con un letto matrimoniale – beh, una piazza e mezzo, dai – con una doccia e una TV. Questo è tutto il comfort che mi spetterà… Ma, sì, sarà divertente.
Un vero viaggio on the road.
L'idea è proprio quella. Volevo fare un coast to coast e girare l'America con la mia famiglia. Poi l'ho trasformato in un tour. Certo è diverso, perché dovrò lavorare quasi tutte le sere. Ma qualcosa avrò certamente tempo di vedere.
La tua famiglia quindi verrà con te?
Non per tutto il tempo, anche perché mio figlio va ancora a scuola. E il tour finisce a maggio. Mi raggiungeranno, facendo una settimana qui una lì, per alcuni periodi.
Ci sono più di 40 date e viaggerete su un autobus. Suona divertente, ma anche faticoso…
Eh, sì. Anche perché ci sono parecchie date attaccate, senza day off. C'è un blocco di sei date tutte in fila che non so come farò. Fino a quattro di fila c'ero arrivato ed era andato tutto ok, adesso vedremo. Però, sai, l'adrenalina fa un grande lavoro.
Dopo tutti questi anni di carriera hai ancora l'adrenalina quando sali sul palco?
L'approccio è migliore adesso di prima. Prima avevo meno sicurezze e l'ansia mi rubava un bel po' di energia prima di andare sul palco o in tour. Ho lavorato molto su questo aspetto e ora riesco ad affrontare il pubblico e le tournée con meno ansia e più saggezza e mi diverto di più. Sono più libero, ecco.
Andrete in molte città dove non c'è il classico pubblico che conosce la musica italiana. Cosa ti aspetti?
È vero, gli artisti italiani che vengono in America di norma fanno il solito circuito: New York, Atlantic City, Toronto e poco altro. Sono le città dove ci sono grandi comunità italiane. E anche io per anni ho fatto più o meno sempre le stesse tappe. Magari aggiungevo qualcosa, Los Angeles, San Francisco, Boston, Chicago, ma era tutto lì. Con il pubblico finora mi sono sempre trovato bene. C'erano di solito molti italiani e italo-americani. Però anche un po' di americani.
In effetti tu e Pino Daniele siete tra i pochissimi artisti italiani che riescono ad arrivare anche a un pubblico non necessariamente di origine italiana. Qual è il segreto?
Sicuramente dipende dalla musica che facciamo. Non è una musica tipicamente melodica italiana. Sia io che Pino attingiamo molto al soul e al rhythm 'n' blues, alla matrice nera, insomma. C'è la melodia italiana e mediterranea, ma il suono e i ritmi, la voce e il modo di cantare, vengono dall'amore per la musica afro-americana e questo facilita l'ascolto degli americani. O degli inglesi. Però non avendo mai fatto un tour così capillare, soprattutto toccando città del Midwest, o posti come Houston, Memphis, eccetera, immagino che ci saranno meno italiani e più americani. E sono curioso. Confido nel fatto che in tutti questi anni, quando ho lavorato con produttori, ingegneri e artisti americani o inglesi, mi hanno sempre incentivato, mi hanno sempre detto che amavano la mia musica e quello che faccio. In fondo la credibilità me l'hanno data loro. Però mi hanno sempre raccomandato di cantare in italiano perché quella è la cosa originale. Se canti in inglese ti mescoli con tanti altri e con una musica che loro hanno già. Anche se poi le mie ballate, sono sempre piaciute e sono state amate. Tanto che abbiamo fatto il disco The Ballads. Però salta comunque fuori la melodia italiana che fa la differenza con la loro musica.
Cosa rappresenta per te quella musica americana da cui la tua in qualche modo deriva?
Mah, sai… da piccolo, crescendo a Roncocesi, Reggio Emilia, alla radio, alla TV o alla fiera di paese al “calci in culo”, si sentiva la musica di allora: Morandi, Mina, Celentano. C'era anche qualche gruppo che io ho amato, come i Nomadi e l'Equipe 84. Poi ovviamente i Rolling Stones e i Beatles. Ma io, non so perché, mi innamorai del rythm 'n' blues. Quando sentii Otis Redding, quando sentii per la prima volta quella musica diversa…. Sai al tempo non era una musica popolare, era per pochi. Ma io mi innamorai di quel modo di cantare, di quell'andamento ipnotico del rhythm 'n' blues, quei colori nella voce dove c'è tenerezza, ma anche rabbia, c'è pianto e allegria. Come in Ray Charles che per un bel po' è stato il mio idolo e come voce lo è ancora. Sai, molti mi dicono “tu hai preso da Joe Cocker”. E lui, sì, certo, mi colpì ai tempi di Woodstock soprattutto perché era un bianco che cantava con la voce e l'anima del nero, ma lui stesso ha ammesso di aver attinto da Ray Charles. All'origine c'era lui. In fondo penso di non essermi mai davvero posto il problema. Ho sempre saputo che volevo cantare quella musica lì. Probabilmente per il tipo di voce che ho. Se mi chiedi di cantare una canzone melodica alla voce bianca, lo posso anche fare, ma non succede niente…
E non ti sembra che ci possa essere anche un legame tra la tua terra d'origine e i luoghi da cui nasce quella musica?
Io sono nato vicino al Po e da piccolo, quando nel Po si poteva ancora fare il bagno, d'estate andavo con mio padre a pescare. Era la pesca tipica della Bassa Emiliana, c'era il pesce gatto, l'anguilla, i gamberi di fiume. Fui sorpreso quando arrivai per la prima volta a New Orleans e mi portarono sulle rive del Mississippi. Era in scala 100 volte superiore, ma la vegetazione era la stessa e anche il modo di vivere la vita era simile ai nostri contadini e c'erano tutti i campi intorno. Poi ho scoperto che il piatto principale in Louisiana è il fried cat fish che da noi si mangiava regolarmente. O anche lì i gamberi di fiume. E mi sono detto: ma guarda che strana combinazione, io sono attratto da queste terre e quando sono atterrato, mi sembrava un posto familiare, sai quando succede che dici “ma io qui ci son già stato”. Poi ci portarono in barca attraverso il bayou, tra le paludi e anche lì il paesaggio mi ricordava molto certi posti del Po.
Tu hai lavorato con tanti artisti internazionali, inglesi e americani in particolare. Se ne dovessi scegliere uno con cui ti sei trovato particolarmente bene?
A parte Pavarotti con cui è stata una cosa speciale, per le radici e l'amicizia di anni a anni, ti direi che con Bono e con Sting mi trovo molto bene. Sono due persone molto dirette, semplici, intelligenti, che apprezzano quello che faccio e io apprezzo loro. Di Sting sono anche il padrino della figlia. Tra noi non ci sono muri, siamo liberi nel dirci le cose, nel frequentarci. Sono entrambi aperti, insomma non se la tirano. Anche con Eric Clapton ho un bel rapporto. Lui mi ha dato una grande possibilità all'inizio: mi ha invitato a fare il tour con lui in Europa quando i miei dischi erano conosciuti solo in Italia. Infatti da lì in poi hanno iniziato a pubblicare i miei dischi anche all'estero.
Queste sono tre persone che sono ancora lì, non è cambiato niente, sono importanti. So quello che provano per me e io so quello che provo per loro.
E come te la cavi con il loro accento british?
Mmm, beh, quello… preferisco l'americano. Io a volte li prendo un po' in giro. Sai, quell'accento “ba-ba-ba”, sono un po' noiosi.
Nelle tue canzoni è raro il riferimento alla politica. Ma se ti obbligassero a fare un pezzo dedicato a un personaggio pubblico attuale, nel bene o nel male, chi sceglieresti?
Sì, è vero, non vado direttamente a far politica ma ci sono brani dove i doppi sensi sono evidenti. E si capisce come la penso. Come personaggio sarebbe facile parlare di Berlusconi, proprio nel bene e nel male, ma lo fanno già molti comici e giornalisti italiani che ne hanno dette di cotte e di crude e lui è ancora lì che spinge… Adesso c'è Renzi che ha un sacco di energia, sembra che voglia fare sul serio. Speriamo che glielo lascino fare. Certo la sua ascesa è stata repentina, non me lo aspettavo… così velocemente. E poi c'è Grillo che conosco molto bene personalmente. Anche lui grande amante del blues. E Grillo mi fa pensare. Mi fa pensare che sia importante che ci sia questo movimento come strumento di controllo, come una bilancia, un ago che equilibra gli altri. È importante che ci sia per avere qualcuno col fiato sul collo. Ma non so se potrebbe governare… Quello che dico alla fin fine è banale, credo sia quello che pensano in molti..
Sì, ma tu conoscendolo personalmente magari hai una visione più approfondita.
Lui ovviamente adesso è preso al mille per mille… Secondo me potrà convincere ancora. Potrà avere altre chance di convincimento sull'elettorato, ma se poi dovesse governare non so come andrebbe.
Un po' forse anche per via della tua regione d'origine, nelle tue canzoni e nella tua vita emerge spesso un atteggiamento anticlericale. Che ne pensi di Papa Francesco?
E già, ma invece lui mi è simpatico, così come non mi piaceva per niente il pastore tedesco, Ratzinger. Poi, poveretto, sarà stato un buon papa, ma mi arrivava poco umano, freddo, perché forse è tedesco. Papa Francesco invece ha il calore latino, mi piace come parla, usa parole semplici ma decise, sta facendo un bel repulisti nella Chiesa. Mi arriva bene, come anche Giovanni XXIII. Poi anche lì bisogna vedere se lo lasciano fare, se non lo fanno fuori prima o se non gli fanno cambiare idea. Per adesso lo seguo volentieri. Anche se… Io rispetto la fede e l'ho sempre rispettata, però il potere Vaticano, insomma, non è il prete di campagna: stiamo parlando di poteri forti.
https://youtube.com/watch?v=Z3S_jRM2F7M
Nel video qui sopra:
Raccontaci della tua prima volta a New York
Un promoter mi chiamò alle 4 di mattina e mi disse che Miles Davis aveva sentito una mia canzone in macchina, si trattava di Dune Mosse e che gli sarebbe piaciuto suonare su quel pezzo. Io ero alle Maldive con mia moglie per cercare di salvare il matrimonio. Mi dissero che dovevo andare a New York se volevo incontrare Miles. Ovviamente io pensai a uno scherzo e non gli diedi retta più di tanto. Ma il promoter mi richiamò e disse, guarda che è vero, non è uno scherzo e se ti interessa devi essere a New York il primo aprile. Quindi ho dovuto scegliere se stare lì in vacanza o andare da Miles Davis. Sono andato da Miles, tanto il matrimonio era già rotto. Mi sono ritrovato per la prima volta a New York ed è stato uno shock: mi sentivo così piccolo di fronte a queste altitudini, questi palazzi enormi. Per uno che non era mai andato fuori dall'italia, l'impatto è stato enorme. Poi siamo andati in studio, dove è arrivato Miles Davis, senza dire né ciao, né niente. Lo sanno tutti che era molto duro come persona. Poi invece ho scoperto, una volta finito il lavoro, quando ha preso confidenza e si è sciolto, che era una persona dolcissima. Quindi abbiamo registrato questa canzone ed è stata la mia prima collaborazione importante. Con uno che si chiama Miles Davis.
E dopo quella prima volta il rapporto con New York non si è mai interrotto.
Poi sono tornato altre volte, ho fatto concerti. Ho conosciuto amici. E ora vengo anche da solo, senza suonare. È una città eccitante. È una delle città più interessanti, energiche e creative del mondo. Adesso mi sento bene. La cosa bella di New York è che hai degli angoli dove ti puoi sentire benissimo a casa tua, anche essendo in una grande metropoli.