Il corale consenso che ha accompagnato la scomparsa di Mandela, è stato occasione per il recupero della memoria dei personaggi che, nel corso della storia, hanno lottato per l’emancipazione dei neri dalla schiavitù bianca. Tra questi, un posto particolare spetta al francese Victor Schoelcher (1804-1893), qui ricordato a centoventi anni esatti dalla scomparsa. Uomo politico e scrittore, fu l’autore del decreto del governo repubblicano che, il 27 aprile 1848, abolì definitivamente la schiavitù in Francia e nelle sue colonie.
Dalla metà del 16mo sino al 19mo secolo, gli europei avevano caricato come schiavi su navi dirette in Atlantico circa 12 milioni di africani, acquistati da altri africani, in particolare arabi, che li avevano razziati nei villaggi d’origine. L’economia schiavista delle piantagioni aveva realizzato il primo carico nel 1619: venti neri trasportati nella colonia britannica della Virginia da nave con bandiera olandese. Dopo l’indipendenza di Haiti, i francesi mantenevano schiavi in Guyana, Martinica, Saint-Martin e Guadalupa. Intellettuali e Chiesa cattolica condannavano su base morale ed economica la schiavitù, ma provvedimenti abolizionisti arrivarono solo a fine Settecento.
La Convenzione, in pieno fervore rivoluzionario, cancella la schiavitù il 4 febbraio 1794, ma il “liberatore” negriero Napoleone la restaura nel 1802. Nel 1807 il parlamento britannico vieta la tratta degli schiavi. Anche Danimarca e alcuni stati unionisti americani denunciano la pratica della tratta, prima che nel 1834 l’Inghilterra, potenza centrale dell’economia schiavista, si orienti per un piano che progressivamente bandisca nell’impero l’ignobile pratica. L’umanesimo socialisteggiante e massonico di Schoelcher tocca con mano l’orrore delle piantagioni nel viaggio d’affari che compie, su incarico paterno, a Cuba, Messico e Stati Uniti tra il 1828 e il 1830. Nel 1833 pubblica “De l’esclavage des Noir et de la législation coloniale”. Nel 1840, “Abolition de l’esclavage. Examen critique du préjugé contre la couleur”. Più studia il fenomeno, più si attesta su posizioni radicali, arrivando nel 1842 a proclamare l’abolizione totale e immediata, col libro: “Des colonies françaises. Abolition immédiate de l’esclavage”.
Firmando il provvedimento abolizionista del 1848 si è fatto molti nemici, e quando all’effimera seconda repubblica che ha favorito il suo ruolo di governo succederà Luigi Napoleone Bonaparte, dovrà prendere la strada dell’esilio, dove godrà l’amicizia di Victor Hugo e scriverà un libro su Händel. Ancora troppo diffuso era il pregiudizio schiavista, condiviso anche da Luigi Napoleone. Per capirne il peso, si guardi lo scritto “scientifico” di un autorevole contemporaneo di Schoelcher, il chirurgo e psicologo Samuel A. Cartwright, apparso sul New Orleans Medical Journal, nel 1851: “La ragione che induce un negro a fuggire dal padrone è, in molti casi, una malattia della mente: tuttavia è facilmente curabile. Con appropriati consigli medici, questa fastidiosa abitudine che molti schiavi hanno di scappare via può essere quasi interamente prevenuta”.
Rientrato in Francia, dopo l’abdicazione di Napoleone III, Schoelcher riprende il suo posto nell’Assemblea nazionale per essere poi eletto senatore a vita. Continua inarrestabile ad occuparsi di cause umanitarie e dei diritti dei detenuti nei bagni penali della Caienna aperti, con la sua opposizione, nel 1852. Alla morte è sepolto a Père-Lachaise, e traslato al Panthéon nel 1949. Nelle Antille sarà venerato come un santo laico. Un biografo l’ha definito “uno dei rari aliti d’aria pura che siano soffiati su una storia di assassini, saccheggi, estorsioni”.