Rosy Canale ha una storia in bianco e in nero. Bianca è la luna che nel 2000, mentre Rosy è sdraiata sul deserto di San Pedro de Atacama, in Cile, si specchia nella Terra, il suo riflesso oscuro. Che è Malaluna, un nome che tornerà poco dopo a Reggio Calabria nell’insegna di uno dei posti più glamour d’Italia. E’ il locale di Rosy Canale, in quegli anni solo una ventenne ambiziosa, “colpevole” di essersi ribellata alla ‘ndrangheta. Che invece è nera. Bianche sono le lenzuola che avvolgono il corpo maciullato di Rosy al suo risveglio, nel 2004, dopo aver subìto un pestaggio quasi a morte. Nero è il suo futuro in quel momento cancellato dalla ferocia criminale. Bianca è la maglietta indossata nel 2007 da Teresa Strangio, una madre che ha perso suo figlio nella strage di Duisburg, in Germania, e che, indossando quel colore nel giorno dei funerali del figlio, perdona i suoi assassini e sigla la pace a San Luca, un paesino dell’Aspromonte, dopo 23 anni di faide.

Rosy Canale riceve il Premio Paolo Borsellino durante la cerimonia tenuta al Campidoglio
“Quando mi sono risvegliata -racconta Rosy Canale- vedevo solo bianco e per un certo verso ho cominciato a credere di essere morta. Ero lì in questo limbo che poi è durato almeno un paio di anni. Cercavo qualcosa di vivo: un chiodo in una parete, un quadro, un crocefisso. Cercavo qualsiasi appiglio alla vita ma non lo trovavo. Finché ho visto alla tv gli occhi di Teresa Strangio dove ho trovato il mio stesso dolore lacerante ma non scomposto. A San Luca c’erano tante donne che avevano conosciuto la stessa violenza che avevo incontrato io. Mi sono detta: ricomincio da lì”.
L'impegno – Nasce così il Movimento delle donne di San Luca, un’esperienza cui aderiscono 400 donne, sorta nella villa confiscata alla ‘ndrina Pelle. “Quando sono arrivata a San Luca mancava tutto. Persino un luogo in cui i bambini potessero ritrovare la loro dimensione. E’ nata così la ludoteca dove c’era qualsiasi cosa: un piccolo cinema, la biblioteca, la stanza delle favole, la palestra. Le donne hanno lavorato a titolo gratuito. Ho scritto a tutti per cercare un sostegno, ma nessuno si è fatto sentire. Quello era un progetto così importante che partiva dal popolo, da quelle donne etichettate come “gente di ‘ndrangheta” che invece si sono rimboccate le maniche per cercare di salvare il proprio paese. Qualcuno pensava che la malavita potesse contrastarmi e invece quella non ci ha proprio calcolato. Le istituzioni, che gridano parole come legalità ed etica, sono i veri latitanti e ci hanno lasciato sole”.
Rosy Canale non si è mai arresa. Per lei il movimento delle donne di San Luca è solo archiviato. Nel frattempo si è trasferita a New York, dopo aver scritto insieme con la giornalista Emanuela Zuccalà il libro “La mia ‘ndrangheta”, da cui è nato un testo teatrale da ottobre in tournée nei teatri di tutta Italia per la regia di Guglielmo Ferro e le musiche di Franco Battiato.
Il monologo – Nel monologo “Malaluna”, lunedì al teatro Vittoria di Roma, Rosy Canale sul palco racconta due colonne della storia di San Luca. C’è Maria Strangio, morta nella strage del Natale del 2006 che ha lasciato tre bambini e poi c’è Teresa Strangio che, nonostante l’omonimia del cognome, appartiene a una fazione diversa dalla prima. “Una madre che piange suo figlio e 3 bambini che piangono una madre come a dire abbiamo perso tutti, non c’è né vincitore né vinto. Siamo tutti perdenti, tutti i calabresi, tutti gli italiani che potevano fare qualcosa per fermare questo massacro”.

Rosy Canale recita in Malaluna
Nel testo c’è ovviamente anche la sua storia personale, quella di una giovane donna calabrese che sognava di diventare una cantante e che si trasferisce a Pisa, si sposa, ha una figlia, poi si separa e torna a casa dove decide di diventare un’imprenditrice. Apre ‘Malaluna’, il locale dove l’ndrangheta voleva fare i suoi affari spacciando droga. “In questi anni ho lavorato tantissimo su me stessa sviscerando ogni singolo attimo prima dell’aggressione. Ho cercato di capire in cosa avessi sbagliato e poi ho iniziato a perdonarmi e lì ho ricominciato a riavvicinarmi alla vita. Dovevo perdonarmi del fatto di non avere avuto la forza di chiudere prima il mio locale ed evitare tutto quello che è successo. Dovevo perdonare la mia grande ingenuità di credere che la peggiore cosa che avrebbero potuto fare, era dare fuoco al locale. La più grande ingenuità della mia vita è stata quella di riconoscere un’umanità a queste persone”.
Il coraggio – La testimonianza di Rosy in giro per l’Italia è una piccola rivoluzione civile quotidiana che lei conduce senza paura “di cosa dovrei aver paura ormai?” E’ quel bianco che a una velocità rallentata comincia a far vedere i colori di cui è composto. Anche se Rosy sa bene che il percorso è ancora molto lungo. La chiave è nelle donne “perché sono il seme del cambiamento e perché sono quelle che partoriscono quegli uomini. Se tu cresci tuo figlio in un certo modo, quello non entrerà mai in circuiti malavitosi”. Prima però bisogna lavorare alle radici di un popolo che si vanta, ad esempio, di camminare sotto braccio al boss. “Quello è un motivo di prestigio e se tu non vai a scardinare questi valori radicati nella mia gente diventa tutto difficile”.
E’ ottimista Rosy Canale al contrario di sua figlia 18enne convinta che all’Italia interessi poco della legalità. “Forse mia figlia è più realista di me. Forse riesce a vedere cose che io non voglio vedere. Soprattutto perché non voglio credere che il mio paese sia dannato altrimenti anch’io dovrei esserlo”.
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