Ve lo dice una verdiana delle più esigenti: il più bello spettacolo verdiano degli ultimi decenni a New York è stato il Macbeth di 2012 al Metropolitan. La Lady non era delle migliori (neanche delle passabili), ma gli altri protagonisti, in primis Thomas Hampson nei panni del re malvagio, erano splendidi. Il regista Adrian Noble aveva rivisto e ridotto all’essenziale un allestimento fischiato alla sua prima nel 2007, rendendolo teso e stringente. Ed i mirabili coristi del Metropolitan ci hanno regalato una Patria oppressa mozzafiato, di quelle che ne diremo “eh sì l’età d’oro della lirica che voi giovincelli non conoscerete mai” quando saremo a nostro turno vecchi, passatisti e pallosi come i melomani nostri maggiori.
Elemento trainante di quel Macbeth memorabile è stato il direttore d’orchestra Gianandrea Noseda. Che valgano per l’opera shakespeariana gli elogi della stampa internazionale per il suo Rigoletto del mese scorso ad Aix: direzione che “strabilia”, “vivace, nervosa, sensuale”, “di fuoco e sangue”, una “divina sorpresa”. Del Macbeth newyorchese aggiungerei pure “fosforescente” e “febbrile”: meglio di qualsiasi altro maestro da me sentito, Noseda ha colto la tinta Unheimlich, l’irrequietezza da incubo, del capolavoro verdiano.
Classe ’64, milanese di nascita e formazione, Noseda farà i suoi debutti al Mostly Mozart Festival la settimana prossima con una serata che unisce la Seconda Sinfonia di Beethoven e lo Stabat Mater di Rossini ( martedì 13 e mercoledì 14 alle 20,00 all’Avery Fisher Hall). Direttore musicale del Teatro Regio di Torino, principale direttore ospite della Israel Philharmonic Orchestra (un milanese di nome Toscanini ne diresse il concerto inaugurale) e direttore artistico dello Stresa Festival tra altri impegni, Noseda è stato il primo direttore ospite principale straniero nella storia del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo.
Dal 2002 Noseda dirige al Metropolitan, che gli affida uno dei compiti più prestigiosi della stagione ventura: il Principe Igor d’Alessandro Borodin, assente dalle scene del Met dal 1917. A New York dirigerà pure l’Andrea Chénier di Giordano, un po’ prima l’Aida alla Scala per il bicentenario verdiano e opere e concerti orchestrali su almeno tre continenti. Nelle prossime settimane lo potrete sentire pure a Saratoga (a tre ore e mezza da New York) con la Philadelphia Orchestra il venerdì 16 eil sabato 17. E in rete potete trovare due suoi concerti recentissimi: su la medici.tv la Messa da Requiem di Verdi dal Festival di Verbier e sul BBC Radio 3 un suo concerto dal Proms 2013.
Il maestro ha gentilmente risposto alle domande de La VOCE di New York durante le prove ad Aix.
La lirica in Italia, si sa, è in crisi: nel 2013-14 alla Scala solo dieci opere in cartellone e una programmazione che sa decisamente di muffa. Al Regio di Torino come vivete la situazione?
Al Regio nella stagione 2013-14 abbiamo incrementato il numero di opere portandole da undici a tredici. In un periodo difficile bisogna essere creativi senza dilapidare risorse. Abbiamo quindi deciso di puntare su artisti importanti (cantanti, direttori d'orchestra, registi) così come su giovani talenti emergenti, presentando opere di repertorio con cantanti diversi e opere importanti con nuovi allestimenti coprodotti con teatri internazionali. L’obiettivo è di offrire la massima qualità senza sprechi.
Problema del calo dei contributi pubblici a parte, in Italia ci sono difficoltà più diffuse quali l’esterofilia e la sudditanza culturale, l’abbrutimento dei media, la disoccupazione giovanile, la fuga di cervelli, ecc. In un tale contesto e basandosi sulla Sua esperienza personale, come si può valorizzare e salvaguardare l’opera lirica e il patrimonio musicale italiano?
Bisogna essere consapevoli delle difficoltà, ma non bisogna lasciarsi “tarpare le ali” della fantasia e della creatività. Essendo italiani, credere nell'opera italiana e non solo, è un’opportunità incredibile oggi più di ieri. Lasciarsi la negatività alle spalle e guardare in avanti con fiducia è il primo passo. Abbiamo grandi talenti in Italia: bisogna semplicemente valorizzarli.
Passiamo al Suo concerto Mostly Mozart. Nel primo Ottocento, quando il repertorio “classico” fu costruito, Beethoven e Rossini venivano considerati agli antipodi: da una parte la cosiddetta profondità teutonica, dell’altra l’edonismo e la faciloneria presunti dei latini. C’è una piccola provocazione nel Suo programma – o forse, con Baudelaire, intende proporre profumi, colori e suoni che “si rispondono come echi”?
Beethoven non amava Rossini e forse Rossini non comprendeva Beethoven; ma Beethoven, essendo morto nel 1827 non conosceva il Rossini del Guillaume Tell, né tanto meno quello dello Stabat Mater. Non possiamo fare supposizioni, ma credo che lo Stabat Mater avrebbe suscitato la curiosità e forse l’ammirazione di Beethoven. Allo stesso modo credo che la Seconda Sinfonia di Beethoven non sia così distante, specialmente nel finale, dall’opera buffa rossiniana. Mi piace accostare due mondi apparentemente agli antipodi che hanno comunque molti aspetti in comune.
La settimana prossima la seconda parte della nostra conversazione con Gianandrea Noseda.