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July 18, 2013
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La figlia del deserto

Marco PontonibyMarco Pontoni
Mariam Aborkeek, imprenditrice di origine beduina

Mariam Aborkeek, imprenditrice di origine beduina

Time: 4 mins read

 

I beduini, nell'era degli stati-nazione e dei passaporti, non hanno mai avuto vita facile. Figli del deserto, abituati ad un'esistenza nomade (il che non significa priva di regole), sono stati spesso oggetto di politiche di sedentarizzazione forzata, che di fatto hanno coinciso con la spoliazione dei loro diritti sull'uso del territorio. Ciò vale anche per i beduini di Israele, che nel 1948 vennero insediati in una serie di centri creati ad hoc nel deserto del Negev (o anche in città come Lod, precedentemente abitate da palestinesi stanziali). Proprio in questi giorni il governo israeliano ha lanciato un nuovo piano per reinsediare circa 40.000 beduini che vivono ancora in località "non riconosciute" del Negev, in alcune new town che spesso – lo dice un'esperienza lunga ormai più di sessant'anni – non sono altro che grandi dormitori, fonti di enormi problemi sociali.

Anche per questo è ancora più singolare la storia di Mariam Aborkeek, o desert daughter. Beduina di Tel Sheva, uno degli insediamenti più vecchi fra quelli creati dopo la nascita dello stato di Israele, ad un certo punto della sua vita ha deciso di recuperare le conoscenze del suo popolo per lanciare una propria linea di prodotto cosmetici. Si tratta della prima serie di prodotti – saponi, creme, essenze – basata sulle erbe e i frutti del deserto e sul latte di cammello, ovvero su ciò di cui i beduini dispongono da sempre. Il suo negozio è al momento una semplice costruzione alle porte del deserto, con una grande tenda in cortile dove ricevere gli ospiti (turisti, delegazioni di ong, clienti e grossisti). Ma grazie ad internet il suo sogno – raccolto assieme ad altri in un libro della United Nations World Tourism Organisation, che sarà lanciato alla fine di agosto nel corso dell'assemblea generale di Victoria Falls – può trovare un punto di approdo in ogni parte del mondo.

L'abbiamo intervistata a Tel Sheva durante la realizzazione di un documentario su una serie di progetti di solidarietà internazionale in Israele (Oltre il muro, di prossima uscita, sostenuto dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Fondazione Fontana). La sua è la storia di una donna che ha respinto alcune delle regole di base della sua comunità – in particolare quella che affida alle ragazze, e molto presto, il ruolo di mogli e di madri – ma che al tempo stesso ha costruito il suo futuro reimpossessandosi dei saperi della tradizione.

Mariam, com'è iniziata questa avventura?

Sono nata a Tel Sheva, in una tenda dove viveva anche la mia nonna, una guaritrice molto conosciuta nella regione del Negev. Da bambina la osservavo mentre preparava medicine e pozioni, ovviamente senza usare alcun prodotto chimico o conservante. Al tempo stesso però non mi sentivo così attaccata alle mie radici. Quando ho avuto la possibilità, anche grazie ad un aiuto esterno, sono andata in Inghilterra, per prendere una laurea in marketing alla Luton University. E solo lì ho capito il valore di ciò che avevo lasciato qui a casa.

Cosa ha fatto scattare questa "molla"? La nostalgia?

Non esattamente. Piuttosto, il rendermi conto che la gente nel mondo era sempre più interessata alle tematiche ecologiche, ad un ritorno alla natura e alle tradizioni. Questo mi ha aperto gli occhi. Ho deciso che una volta tornata a Tel Sheva avrei cercato di raccogliere il patrimonio delle conoscenze tradizionali della mia gente.

È stato difficile iniziare?

Innanzitutto ho cominciato a raccogliere e a mettere per iscritto le ricette di mia nonna. L'obiettivo era duplice: custodire i saperi della tradizione, ma anche creare dei prodotti miei e venderli. Mia nonna all'inizio non era contenta del fatto che utilizzassimo le conoscenze ancestrali del nostro popolo per fare del business, ma alla fine mi ha dato la sua benedizione. Comunque, mi ci sono voluti anni per avviare la mia linea cosmetica. C'erano difficoltà pratiche e difficoltà legate al mio essere una donna beduina, non sposata, con tutti i vincoli e le limitazioni che questo comporta. Ma credevo in quello che facevo e ho perseverato con costanza fino a diventare ciò che sono oggi: vendo i miei prodotti qui e anche on-line, e mi sto organizzando per portarli in tutto il mondo.

Quanto è difficile per una donna in particolare iniziare un'impresa del genere?

La gente non credeva che il mio sogno potesse avverarsi. Non avevo denaro, ho dovuto risparmiare, mi ci è voluto molto tempo per mettere da parte il necessario vendendo poco a poco i miei prodotti. E poi, tutte le autorizzazioni che all’inizio non riuscivo ad ottenere. Ero circondata dai problemi. Ma li ho affrontati con la convinzione che fosse solo una questione di tempo, che sarei riuscita a fare ciò in cui credevo. Anche mio padre, che era un allevatore, ad un certo punto ha creduto in me concedendomi uno spazio dove lavorare e alcuni vecchi animali. All'inizio vendevo i miei prodotti ai miei amici che avevo conosciuto a Londra. Oggi sono nel business da 10 anni. Ho alcune donne che lavorano con me, abbiamo trasformato la vecchia stalla in laboratorio dove produciamo i nostri prodotti e dove organizziamo anche incontri, conferenze. Ho clienti in America e in Europa e spero di poter assumere presto altre donne, per ingrandire l'attività.

Cos'hanno di speciale i tuoi prodotti?

In primo luogo sono unici perché sono fatti con materie prime (nella foto a lato) le cui proprietà sono conosciute solo dai beduini. Sono piante e frutti che fanno molto bene alla pelle perché crescendo in un ambiente estremo sviluppano oli essenziali e altre proprietà che non si trovano altrove. Alcuni sono speciali anche perché nel prepararli utilizziamo il latte di cammello, uno dei migliori in natura, molto ricco di vitamina C. Insomma, sono prodotti di cura, non possiedono solo proprietà cosmetiche.

Tradizione e innovazione. Il segreto della figlia del deserto è racchiuso in queste due parole. Le stesse che si sentono ripetere ovunque, oggi, nel mondo globalizzato. Un mondo dove tutto o quasi è accessibile e riproducibile, ma dove cresce al tempo stesso, in maniera quasi spasmodica, la domanda di originalità, unicità, tipicità.  

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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