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June 27, 2013
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Strage di Ustica: 33 anni di verità stonate e il peso di certe morti collaterali

Simona ZecchibySimona Zecchi
Time: 100 mins read

“Sono passati 33 anni”… sembra sempre (o quasi, a seconda dell’anno esatto) l’incipit di molte storie italiane questo, a segnare la verità che passa mentre il tempo cancella e confonde i fatti, le prove si perdono in rivoli o in archivi e qualcuno muore. Il 27 giugno del 1980 la partenza del velivolo Douglas DC-9, I-TIGI  è prevista per le 18.15 ma il primo messaggio a scandire una storia diversa per  i passeggeri  (77 più 4 membri dell’equipaggio) della compagnia Itavia è quello di un ritardo:<>. Dopo due ore l’aereo parte verso Palermo ma l’ultimo messaggio che lo riguarda prima della perdita di ogni sua traccia tra i cieli estivi che sorvolano l’isola di Ponza , quello del comandante Domenico Gatti  delle 20.50, racconta altro:<< Signore e signori buonasera (…) Stiamo procedendo a una quota di 7500 metri e circa due minuti fa abbiamo lasciato l’Isola di Ponza per volare in linea retta su Palermo (…) Il tempo, procedendo verso sud è in miglioramento (…) La nostra rotta dopo il decollo è stata, da Bologna poi Firenze, abbiamo lasciato Roma alla nostra destra, poi la cittadina di Latina verso Ponza. La nostra velocità al suolo è di circa 800 Km/h. Grazie.>> . Dopo 9 minuti, il Dc-9 rimane inghiottito in un punto, il Punto Condor, tra le nuvole per  sprofondare poi  nelle acque. (https://maps.google.com/maps?ll=39.716667,12.916667&spn=0.03,0.03&q=39.716667,12.916667 questo il punto preciso). Così raccontano i due giornalisti nel sito Stragi80 e la notizia finalmente scuote gli animi e le penne dei media (radio, TV e giornali) che la riprendono in modo virale dopo il torpore degli ultimi tempi. A scuotere tutto un po’ era stato già il giudizio in Cassazione di un tribunale civile a gennaio di quest’anno: “non fu una bomba ma un missile” a far precipitare il Dc9 “e i radar civili e militari non vigilarono come avrebbero dovuto sui cieli italiani.” La cassazione ha condannato i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i familiari di alcune vittime che intentarono la causa.

Il messaggio di Gatti è importante perché risuona come il controcanto di verità troppo spesso annunciate tutte già nelle ipotesi sempre tenute in conto (collisione con velivolo militare, cedimento strutturale, bomba a bordo e la stessa ipotesi del missile) e segna un punto fondamentale: tono e contenuto del messaggio ai passeggeri, di cui 13 bambini, segnalavano se non la perfetta situazione del volo almeno un’atmosfera serena dove nessuna tragedia
 sembrava essere in corso.

Mentre si attendono sviluppi anche da parte penale per la nuova inchiesta che ha portato alla richiesta di una  nuova rogatoria alla Francia con successiva risposta,   e che fa pensare ai magistrati che se ne occupano a un vero e proprio assetto di guerra in corso quel 27 giugno 1980 (lo rivela Andrea Purgatori il 13 aprile scorso sull’Huffington Post Italia http://www.huffingtonpost.it/2013/06/13/strage-ustica-portaerei-ha-visto-tutto-inchiesta-magistratura_n_3432930.html) abbiamo intervistato Fabrizio Colarieti sull’ultimo libro da lui scritto per  le edizioni Adagio Ebook   in uscita oggi 27 giugno:  “Vittime Collaterali – I suicidi sospetti della strage di Ustica”.

 

 

 

S.Z.: Tu hai scelto delle 13 morti che si ritengono in qualche modo collegate alla strage, due storie specifiche  le cui dinamiche, come ha scritto il giudice Rosario  Priore,  presentano forti analogie. Cosa differisce queste storie dalle altre, perché queste due morti?

F.C.: Innanzitutto è lo stesso Priore a nutrire dei fortissimi dubbi in particolare sulla morte di Mario Alberto Dettori e  Franco Parisi, rispetto agli altri 11 casi finiti tra le carte dell’inchiesta di Ustica, come “sospetti”. Penso le stesse cose, perché entrambi i militari di cui narro le storie ebbero ruoli molto importanti, la notte di Ustica e il giorno della presunta caduta del Mig libico sulla Sila (18 luglio 1980). Considero Dettori e Parisi gli anelli deboli di una catena che doveva essere perfetta e infallibile nel garantire il silenzio e il segreto sui fatti di quella notte, ancora oggi poco chiari. Sono due storie emblematiche, simili tra loro, narrano il dramma di due persone schiacciate da un grande peso. Priore scrive che “venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano anche in maniera talmente pesante da restarne soffocati”. Non ci sono le prove che furono eliminati, ma i loro gesti, se suicidi, furono comunque determinati da un malessere psichico molto profondo e certamente connesso a quanto era avvenuto quella sera. Le somiglianze tra i due casi, come sottolinea lo stesso Priore, sono impressionanti, sia nelle cause, sia nella decisione che, infine, nei sospetti.

S.Z.:  Quali i tasselli che riguardano i ruoli rispettivi di Dettori e Parisi quel 27 giugno che potrebbero essere stati decisivi nella ricostruzione di ciò che è successo quella sera?

F.C.: Dettori e Parisi erano due radaristi in servizio in due centri radar dell’Aeronautica molto coinvolti nell’affaire Ustica. Dettori era a Poggio Ballone, quindi in Toscana, a ridosso della zona dell’Appennino Tosco-Emiliano dove, secondo l’inchiesta condotta da Priore, la rotta del Dc9 fu disturbata e poi invasa da un velivolo che sfruttò l’ ”ombra” del volo Itavia per attraversare indisturbato lo stivale. Parisi era a Otranto, il 18 luglio, in servizio la mattina in cui, secondo l’Aeronautica, il Mig libico bucò il nostro spazio aereo finendo sulla Sila. Come scrivo nel libro, a Dettori e Parisi, in vita e in morte, è toccato lo stesso destino. Erano avieri, erano entrambi marescialli, lavoravano ai radar ed erano – tutti e due – in servizio quando l’affaire Ustica montava. Dettori – con alta probabilità – la sera del 27 giugno 1980, mentre il Dc9 finiva nel Tirreno, era al radar della base di Poggio Ballone. Parisi – con certezza – il successivo 18 luglio, il mattino in cui secondo l’Aeronautica quel MiG libico cadde sulla Sila, era al radar della base di Otranto. Erano, perciò, testimoni oculari e in servizio con ruoli delicatissimi. Testi diretti, non passibili di smentite. Dettori, rientrando a casa, confessa ai familiari che quella notte era successo qualcosa di molto grave; Parisi, di fronte a Priore, si mostra nervoso, accenna a delle strane manovre fatte alla consolle del radar per mascherare qualcosa, subisce pressioni e alla fine non parla, si chiude in sé.

S.Z.: Su Dettori si è giunti sinora almeno alla certezza che quella sera era di turno al centro radar? (Nel corso della storia giudiziaria tra le varie sparizioni rilevate anche il rapporto di servizio dove si evinceva la sua presenza come radarista il 27 giugno)  

F.C.: Dettori la notte del 27 giugno 1980 era sicuramente in servizio e con ogni probabilità era seduto proprio davanti alla sua consolle radar, le indagini hanno consentito di accertare che questa circostanza fu negata per anni dall’Aeronautica con motivazioni grottesche e davvero poco credibili.

S.Z.: La storia di Parisi sembra meno nitida, eppure ha lasciato un biglietto a firma del suo gesto: il giudice Priore cosa dice sulle pressioni che gli sarebbero state fatte? 

F.C.: Priore registra che il clima intorno agli interrogatori di Parisi era tesissimo e che sicuramente l’ambiente e le pressioni dei suoi commilitoni lo condizionarono molto. Priore scrive: “per tutto quello che era venuto a sapere, che era capitato sotto i suoi occhi o aveva percepito nei comportamenti dei suoi compagni di sala operativa, e per il fatto di non poter riferire, probabilmente per i contrasti tra il senso del dovere e imposti spiriti di corpo, egli, con tutta probabilità, era caduto in depressione, come attestano anche le certificazioni mediche”.

S.Z.: Quali sono stati negli anni le iniziative di governo più convincenti che hanno tentato di arrivare alla verità cercando collaborazioni con la Francia e gli altri Paesi coinvolti? Nel libro citi Amato, hai mai intervistato Cossiga al riguardo?

F.C.: Cossiga non l’ho mai intervistato, eccetto uno scambio epistolare quando era già malato. Sicuramente tra le iniziative da ricordare le sollecitazioni di Amato, verso Stati Uniti e Francia, ma l’impegno più concreto fu quello di Prodi e Veltroni nel 1996 quando fu chiesto alla Nato di collaborare fornendo, come fece, una parte delle sigle degli aerei militari che erano in volo quella sera. Non fu una risposta esaustiva, ma certamente un tassello verso la verità e la conferma che attorno al Dc9 c’erano altri aerei, certamente militari. La Francia è stata sollecitata a rispondere alle domande della nostra magistratura anche recentemente e delle risposte sappiamo che le ha fornite. La Procura di Roma sta lavorando molto seriamente al caso Ustica, ma anche con la massima riservatezza. Credo che la giustizia non possa fare più di quello che ha fatto finora, il passo successivo tocca alla diplomazia, ai governi. Conosciamo il contesto e le bandierine, manca la confessione, in una parola: il perché di tutto questo.

 

Colarieti ha iniziato a occuparsi di Ustica nel 1998, quando Priore stava concludendo la sua inchiesta. Ha  seguito i primi processi e i successivi, sia penali che civili, ha raccolto nel sito  stragi80.it gli atti ufficiali dell’inchiesta (oltre 600mila pagine che fanno parte anche di un database fornito all’autorità giudiziaria), ha scritto il primo libro sul processo nel 2002 “Punto Condor Ustica: Il processo” edizioni Pendragon con Biacchessi e “Vittime collaterali” è il terzo libro che dedica al caso Ustica.

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Simona Zecchi

Simona Zecchi

Simona Zecchi giornalista d'inchiesta e autrice per Ponte alle Grazie e La nave di Teseo. Scrive su Il Fatto Quotidiano e ha collaborato con la emittente televisiva europea Euronews. Ha pubblicato i libri inchiesta Pasolini, Massacro di un poeta (2015-2018) e la Criminalità servente nel Caso Moro (2018). Recente il suo saggio uscito per Marsilio sul Pasolini giornalista (2020). E' in uscita il suo terzo libro per Ponte alle Grazie.

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