Molte culture si specchiano nella “virtù” pianistica di Rosa Antonelli. Argentina di nascita, italiana d’origine e americana per cittadinanza. Chi più multietnica di lei? L’occasione per conoscerla da vicino e fare un po’ di chiacchiere insieme ci viene dalla pubblicazione del suo recente album «Remembranza» (Albany Records), sottotitolo “Remembrance of latin sounds”: pagine suggestive e coinvolgenti di Piazzolla, Villa-Lobos, Nazareth, Granados e Albéniz. Ma, prima di conoscerne persona e gusti artistici, il discorso va subito a un altro italo argentino eccellente, Papa Francesco, appena salito sul trono di Pietro.
Cosa pensa lei, artista italoargentina, di Francesco I, Papa italoargentino?
«E' stato un piacere immenso sapere che fosse stato eletto a Papa un cardinale argentino di discendenza italiana; oltretutto ci sono delle somiglianze fra di noi. Entrambi abbiamo infatti studiato filosofia, suo padre era un ferroviere come uno dei miei nonni. Io son cresciuta vicino a San Miguel, una provincia nell’area di Buenos Aires, e Papa Francesco ha studiato proprio lì filosofia e teologia. Quand'ero studentessa presso la Facultad de Filosofia y Letras a Buenos Aires, sentivo parlare molto di lui e cominciai subito ad ammirarlo. Volevo infatti, da bambina, diventare suora, ma mia madre mi convinse che il mio futuro era invece nella musica. Sono cattolica, ma come Papa Francesco credo che tutte le religioni venerino uno stesso Dio. Dopo l'attacco terroristico, nel 1994, ad un edificio ebraico, vicinissimo a dove vivevo io, tutti gli ebrei – e non solo argentini – riconobbero il gran senso di solidarietà mostrato dal futuro Papa verso la loro comunità. Credo che la sua umiltà e la sua semplicità avranno molto da insegnare al mondo intero. Il mio sogno è poter dare, in un futuro non troppo lontano, un concerto in suo onore, in Vaticano».
«Remembranza»: solo ricordomemoria di ritmi latini? Memoria anche di chi e di che?
«Il titolo simbolizza il mio amore per la musica latino-americana, espressa particolarmente da paesi come l'Argentina, il Brasile e la Spagna. Ognuno di essi ha comunque un suo stile, una sua espressione, anche se noi riuniamo tutto nel termine "latino-americano". Granados e Albeniz, ad esempio, sono solo superficialmente riconducibili a Villa-Lobos e Ginastera. E che dire di Piazzolla? Un artista argentino, d'origine italiana e che s'è nutrito di cultura europea e americana. Si potrebbero scrivere trattati sulle loro somiglianzediversità. Molti dei miei ricordi, essendo io d'origine italiana, mi riportano ai miei concerti a Palazzo Visconti a Milano, all'Istituto Italo Ibero Americano di Roma, o a quelli tenuti a Napoli, Venezia e in altre città. C'è una stretta connessione fra il modo di sentire la musica in Italia e nell'America Latina, per via del romanticismo, delle emozioni e del liricismo vivo in ognuna delle due culture. In diversi modi e per diverse vie "Remembranza" raccoglie tutte le mie esperienze artistiche al di qua e al di là dell'Atlantico».
Pagine coinvolgenti, ricche di malinconie e nostalgie, ma anche di gioie improvvise e piene. In quali si riconosce di più e perché?
«Le emozioni più forti per me sono la malinconia e la nostalgia, perché simbolizzano l'anima e gli struggimenti degli emigranti come la mia famiglia, costretta ad andare in Argentina per sfuggire alle devastazioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale e tentare di costruirsi una nuova vita in un nuovo paese. E nel tango si possono ritrovare la loro passione, i loro drammi e tutte le loro malinconie. Inoltre, le gioie improvvise, come hai notato tu, per me significano l'attesa fiduciosa del futuro. Ed "Esperanza", il mio album precedente, aveva per sottotitolo proprio "Sounds of Hope"».
Quando ha cominciato a suonare il piano? E perché “proprio” la scelta di questo strumento particolare?
«Mia madre era una cantante d'opera, non faceva altro che cantare sempre quand'ero bambina, per cui con la musica in genere mi son sempre sentita a mio agio. Molti altri miei familiari, del resto, erano musicisti per hobby e suonavano diversi strumenti. La scelta del piano è stata piuttosto misteriosa. Ne vidi uno, da piccola, e desiderai subito suonarlo. Ho cominciato davvero quando avevo solo quattro anni. A sette tenni il mio primo concerto, ricordo che ero nervosa prima ma quando cominciai a suonare tutto cambiò. Non mi eccitavano i vestiti nuovi o le bambole, ma solo i concerti che avrei dovuto tenere. Mia madre è stata la mia grande musa e, con lei, lo è stata anche Maria Luisa Carfi, la mia prima insegnante di piano».
Piazzolla, Gianneo, Guastavino… c’è in essi qualche “traccia” italiana? E, se sì, come la si può individuare?
«C'è una grande presenza italiana, istintiva e primordiale, nelle loro opere, un fascino direi spirituale. E' una presenza essenziale anche se non sempre esplicita. Non solo ricordavano tutti le loro origini, ma tutti poterono giovarsi di studi in Europa, per cui si può parlare di influenza vera, non solo come aneddoto o "mistica". Piazzolla aveva molto dell'Italia dentro, figlio unico di emigranti italiani. Suo nonno era un marinaio di Trani, in Puglia. Negli anni '30 visse nel Lower Manhattan e quando formò un ottetto, quasi tutti i componenti erano d'origine italiana. Lo stesso suo maestro, Alberto Ginastera, era italiano d'origine. Piazzolla è sempre stato legato alle sue origini culturali ed artistiche e una delle sue più belle composizioni, "Adios Nonino" (che l'Antonelli interpreta in questa "Remem branza", ndR) è un atto d'amore verso il padre chiamato affettuosamente "nonino", un termine derivante da nonno. Gianneo stesso, nato a Buenos Aires, aveva genitori italiani e suonava nella chiesa di San Francesco e nel '38 usufruì di una borsa di studio in Italia per studiare a Roma, e uno dei suoi figli nacque nella Città dei Cesari. Guastavino stesso è di ovvie radici italiche, pur se rivela influenze da mezza Europa, e molti dei suoi "canti musicali" – così amava definire le sue opere – s'ispiravano ad arie del Bel Canto, soprattutto di Bellini, Rossini e Donizetti».
Qualche influenza da altri grandi pianisti argentini come, ad esempio, Martha Argerich e Daniel Barenboim? Influenze europee (italiane in particolare)?
«C'è una connessione con Martha Argerich: ho studiato con maestri che erano stati studenti dello stesso maestro della Agerich, Vicente Scarmuzza, italianissimo anche lui. Domenico Scarlatti è invece uno dei miei compositori preferiti, delle mie ispirazioni artistiche, soprattutto per quella sua fascinosa mistione di ritmo spagnolo, invenzione armonica e melodia tipicamente peninsulare. In quanto a Barenboim, poi, lui unisce le inclinazioni musicali latine al rigore germanico. In lui coesistono i due mondi, l'antico e il nuovo, proprio come nel pianista cileno Claudio Arrau».
Che legame, non solo artistico, ha con la “vecchia” Europa, soprattutto con l’area mediterranea?
«Nelle riunioni familiari, i miei cantavano sempre "O sole mio", "Torna a Surriento", "Mamma", "Core 'ngrato" e tante altre canzoni tipiche dell’anime e del folklore dello Stivale. Come si fa poi a negare che il cibo italiano sia… irresistibile? La famiglia di mia ma Rememdre aveva un podere a Sant'Agapito, in provincia d'Isernia, un'ora e mezza da Roma. Quando voglio rilassarmi, chiudo gli occhi e penso a quelle campagne, a quei monti. Ho studiato in Italia e in Spagna, ho amici in Francia, Libano, Egitto e Israele. Sono perciò "mediterranea". Prima di decidere per gli Stati uniti avevo pensato infatti di tornare a vivere in Italia».
Cittadina americana dal 2006, argentina di nascita, italiana d’antiche origini: come più si sente la “persona” Antonelli?
«Si può essere italiani pur non vivendo in Italia? Sì. Sono italiana. Ma sono anche, al tempo stesso, argentina, e orgogliosa d'appartenere, come tutti gli emigranti, a due culture diverse, e non solo perché “segnate” sul passaporto che uno usa. E ora che sono anche cittadina americana e mi sento quindi parte di un triplice mondo, di una pluralità di affetti, d'emozioni e d'ispirazioni che si riflettono nella mia vita musicale di ogni giorno».
Da che parte d’Italia provenivano i suoi antenati? Che legame con i luoghi dei suoi antenati italiani?
«Mia madre e i miei familiai sono originari, come detto prima, delle montagne molisane. Sant'Agapito è un meraviglioso paese su una "quasi" montagna, con una veduta panoramica mozzafiato. Ho ancora una casa lì, sulla valle dove scorre un fiume. La casa è stata ricostruita dopo la guerra e dopo anche i danni causati da un terremoto terribile. Mi piace andarvi, mangiare le pietanze locali, l'olio, la frutta, il vino che si faceva in casa. Una mia cugina vive ancora a Sant'Agapito, e i suoi figli hanno studiato all'Università di Napoli. Ad Isernia, anni fa, tenemmo un concerto in ricordo di mia madre nata il 18 agosto, proprio lo stesso giorno in cui si celebra la festa del patrono che dà il nome al paese stesso; mi son sentita subito e completamente a casa».
Cosa ricorda dell’“essere di discendenza italiana” nell’Argentina della sua adolescenza?
«Non è stato facile realizzare il mio sogno per la musica quand'ero bambina e poi adolescente. Non avevo un pianoforte con cui esercitarmi. Avevo difficoltà con lo spagnolo del luogo, perché a casa si parlava solo italiano. Soffrivo inoltre per aver visto mia madre dover rinunciare al suo sogno artistico perché, per difficoltà economiche, per mettere un po' di cibo sulla tavola s'era dovuta adattare a far la stiratrice e i lavori domestici in case altrui. Mio padre fu costretto, quindicenne, a partecipare alla guerra e ne restò traumatizzato, tanto da non riuscire più a riaversi dai traumi subiti. Mio nonno Antonio, padre di mio padre, che io chiamavo affettuosamente "papanoni", è stato colui che ci ha aiutato in tutto e per tutto, padre e nonno insieme. L'altro nonno morì purtroppo il giorno in cui mia madre si sposò; era architetto. Non potevamo permetterci un piano! La mia insegnante notò comunque la mia passione, aveva una casa per gli ospiti nel suo giardino con un piano, e mi permise di adoperarlo finché volessi, anche tardi la sera. Era il mio "posto segreto”, e quando mia madre non mi vedeva in giro, sapeva dove venirmi a cercare. Fino a che, con l'aiuto dei fratelli, riuscì poi a comprarmene uno: ed è quello che ancora ho! Continuava a lavorare sempre, per poter pagare fino in fondo la sua maparte. Avevo allora quindici anni».
Da che è derivata la “scelta americana”: dalla situazione socio-politica del suo paese o da ragioni culturali e artistiche?
«Due ragioni fondamentali. La prima: nel giro di otto mesi morirono molti dei miei amici, oltre a mia madre, mio nonno e al mio insegnante di piano per quindici anni, Roberto Caamano. Un periodo devastante. E poi, seconda ragione, la situazione socio-politica che negli anni '90 era instabile a dire il meno. Non era possibile lavorare nel settore culturale e artistico. dirigevo il Conservatorio Provinciale a Buenos Aires e insegnavo musica all'università, ma non si poteva nemmeno avere i pianoforti accordati. Non c'erano concerti, non si organizzavano eventi musicali; non c'erano fondi, e la gente aveva paura di muoversi, di fare qualcosa, anche quando poteva farlo. Stavo per tornarmene in Europa quando mi venne offerta la possibilità di diventare Steinway Artist, che significò venire negli Stati Uniti, a New York. Nuovo stile di vita, quindi, di nuovo emigrante e con nuova lingua da imparare. Quando mi sono trovata dinanzi all'orrore delle Twin Towers, non mi resi subito conto se quel che vedevo in Tv fosse un film o la tragica realtà. Rimasi terrorizzata e smarrita. Ora sono americana anch'io, e con l'aiuto della musica posso guardare con più fiducia al domani».
Quali progetti per il futuro immediato e quali per quello più lontano? Altri album in preparazione?
«Alcuni concerti a Manhattan, la promozione di questo mio nuovo album e la presentazione di un mio libro, a maggio, presso il Consolato Argentino in occasione del mio compleanno, l'8: “The Spirit of Technique and Interpretation: for Teachers and Students", un nuovo Cd con tanghi argentini e poi concerti in Brasile, Argentina, Colombia ed Europa».
Con l'augurio di tenerne uno davvero "speciale", in Vaticano, per il suo Papa Francesco.
*Articolo pubblicato il 31/03/2013 su America Oggi/Oggi7