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June 27, 2025
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L’Europa e i suoi dintorni: declassati rispetto alle potenze chiave

Le ultime vicende fra Iran, Israele e USA hanno sancito la marginalità assoluta dell'Unione Europea

Emanuela ScridelbyEmanuela Scridel

Riunione del Consiglio europeo a Bruxelles/ANSA/Uff. stampa EU

Time: 5 mins read

“Israele e Iran hanno accettato un “cessate il fuoco completo e totale”, che nel giro di 24 ore porterà alla “fine ufficiale della guerra dei 12 giorni”. Lo ha annunciato il presidente Trump sul suo profilo di Truth Social, alla fine di una giornata convulsa e piena di sorprese. Ma la notizia di poco fa annuncia che la tregua è già stata violata…”

Quali che siano gli sviluppi, l’intervento americano ha quantomeno e in modo definitivo sancito la marginalità assoluta dell’Unione Europea nel contesto internazionale, a cui viene assegnato – direi a questo punto “giustamente”, dato l’atteggiamento non sempre limpido della presidente che la rappresenta e che spesso non corrisponde alle posizioni espresse dagli Stati membri – un ruolo ancillare.

E così, Russia, Iran, Israele, etc., insieme naturalmente agli Stati Uniti e alle altre potenze economiche, risultano i very player globali, interlocutori chiave per il riassetto delle dinamiche economiche e geopolitiche oggi cruciali. Il quadro si capovolge: l’UE e i suoi Staterelli diventano i dintorni delle potenze chiave.

Tuttavia, pur non avendo voce o quasi dal punto di vista decisionale, l’Unione Europea ha contribuito in modo massiccio ai finanziamenti bellici di numerosi di questi Paesi, incluso a taluni che potenze non sono, quali l’Ucraina. Anche in questo caso siamo stati ancillari e non protagonisti, assecondando praticamente ogni richiesta di Zelensky, il presidente ucraino che pare, tra l’altro, disporre di un patrimonio personale superiore al miliardo di dollari (perlomeno secondo diverse fonti, tra cui da quanto emerso dall’inchiesta sui “Pandora papers”) e che spesso ha trattato l’UE come fosse un bancomat da cui attingere con pretese del tutto inaccettabili – e per fortuna non sempre accordate. Come l’”entrata seduta stante” – a seguito/per causa del conflitto con la Russia – nell’UE, senza seguire l’iter che tutti i Paesi che intendano farvi parte sono tenuti a rispettare, cosa accaduta, per esempio, anche a quelli della ex-Yugoslavia durante/dopo la guerra serbo-bosniaca.

Da fonti ufficiali europee, dall’inizio del conflitto russo-ucraino, l’UE ha fornito 149,8 miliardi di euro a sostegno dell’Ucraina. In particolare, l’aiuto militare fornito dagli Stati membri all’esercito ucraino si stima ammontare a 50,8 miliardi di euro.

Tra il 2022 e il 2024 l’UE ha mobilitato 6,1 miliardi di euro a titolo dello strumento europeo per la pace al fine di rispondere alle esigenze urgenti dell’Ucraina nel settore militare e della difesa. Con questo mezzo, l’Europa finanzia l’approvvigionamento di forniture e attrezzature militari letali e non letali, quali munizioni e missili. Nel marzo 2024, Bruxelles ha inoltre deciso di aumentare il massimale finanziario dello strumento di 5 miliardi di euro, istituendo un apposito Fondo di assistenza per l’Ucraina. Così facendo, il finanziamento stanziato ha raggiunto un totale di 11,1 miliardi di euro. L’UE sta cercando di massimizzare il proprio valore aggiunto fornendo un maggiore e migliore sostegno operativo all’Ucraina, integrando gli sforzi bilaterali degli Stati membri e concentrandosi su un aumento degli appalti congiunti presso le industrie della difesa europea.

La linea di azione, adottata il 20 luglio 2023, è il regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni (ASAP). Questo regolamento mobilita 500 milioni di euro dal bilancio dell’UE per finanziare il potenziamento delle capacità di fabbricazione ai fini della produzione di munizioni terra-terra e quelle di artiglieria nonché di missili. Ma già ad aprile 2023, il Consiglio aveva concordato un finanziamento da 1 miliardo di euro a titolo dello strumento europeo per la pace per fornire munizioni all’Ucraina. All’11 novembre 2024 il sostegno finanziario totale per l’EUMAM Ucraina (a titolo dello strumento europeo per la pace) ammonta a 382 milioni di euro. Di questi, l’importo di riferimento di 241,8 milioni di euro è stato destinato ai costi comuni della missione e 140,2 milioni di euro alla fornitura di attrezzature per la formazione letali e non letali. Senza contare poi i fondi messi a disposizione per la ricostruzione. L’UE ha istituito un fondo di 50 miliardi di euro, lo “strumento per l’Ucraina” che può essere utilizzato – per il momento – fino alla fine del 2027.

Passiamo ora all’altra sponda, quella che in Europa è chiamata la sponda Sud del Mediterraneo.

Per quanto concerne i rapporti fra UE e Israele, Paese che già dal 2011 secondo l’EIU era classificato come “democrazia imperfetta”, è di alcune settimane fa un’inchiesta portata avanti dalla stampa belga che ha svelato l’impiego di circa un miliardo di euro del fondo europeo per la ricerca e l’innovazione da parte di aziende del settore bellico israeliane. A cui si è aggiunta, qualche giorno fa, la pubblicazione da parte di Investigate Europe di dettagli sulla partecipazione del colosso delle armi Israel Aerospace Industries a 15 progetti finanziati con il fondo UE per la difesa. La stessa azienda avrebbe piede in 8 progetti del fondo Horizon. La Commissione europea ha assicurato di avere “solide misure di salvaguardia” per fare in modo che nessun centesimo proveniente da Bruxelles contribuisca a commettere violazioni dei diritti fondamentali. Ma sono molti i dubbi – condivisi anche dalla Corte dei Conti dell’UE – sull’efficacia dei meccanismi di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi europei.

Per quanto concerne l’Iran, l’Unione Europea non ha alcun accordo formale e non esiste una delegazione europea a Teheran. Le relazioni tra i due sono al momento basate sul mantenimento del Piano d’azione congiunto globale (PACG, accordo sul nucleare con l’Iran) firmato a Vienna nel luglio 2015, dunque assolutamente anacronistico che, ancora una volta , dimostra una mancanza di presa di posizione da parte dell’UE.

Tuttavia, se questa è la posizione ufficiale dell’UE, non si può non tener conto dei rapporti bilateri in ambito economico-commerciale che gli Stati membri portano invece avanti con l’Iran. Gli accordi tra imprese e istituzioni italiane e iraniane – stipulati nel corso degli anni passati (in particolare dal 2016 in poi) e che al tempo valevano sui 17 miliardi di dollari –, prevalentemente in ambito ingegneristico e cantieristica, non si sono certo esauriti, sebbene ad oggi risultino a poco meno di 1 miliardo di dollari. Oltre purtroppo ai traffici illeciti, quale ad esempio quello del 2020 relativo alla nave-traghetto costruita in Italia nel 1992 e convertita in una da guerra dei Pasdaran iraniani armata con droni, elicotteri e missili da crociera, che ha ovviamente riacceso i riflettori sugli intrecci iraniani nella Penisola.

Con un incremento del PIL europeo nel 2024 dello 0,7% e dello 0,6% per l’Italia, contro a un aumento medio dei BRICS (di cui la Russia fa parte) del 4,5%, puntare su uno dei beni più richiesti, le armi, qualcuno può ritenerlo vantaggioso per una crescita economica. In estrema sintesi, questo è anche quanto viene riportato nell’ormai noto Rapporto Draghi, il “Rapporto sul futuro della competitività europea”, che di fatto fa riferimento a un’economia basata sulla guerra.

Suona paradossale, stonato, che la nostra Europa, quella nata sui valori fondamentali di libertà, giustizia, uguaglianza, rispetto della legge e protezione dei diritti umani, paia oggi aver virato verso interessi del tutto estranei a quelli su cui dovrebbe poggiare e che sono invece volti “in primis” all’interesse economico – senza considerare se il Paese con cui fa affari sia o meno democratico e che rispetti i diritti umani – e a ingenti spese militari per un “riarmo” dell’UE, che non ha precedenti né emergenze tali da giustificarlo. Il Piano REarmEurope, da 800 miliardi di euro per finanziare le spese militari, bypassando peraltro il Parlamento Europeo, grazie all’utilizzo improprio di un articolo del TFUE, il 122, da utilizzarsi nei casi di emergenza, di cui non vi è però traccia, ne è un esempio.

L’Unione Europea pare dunque – così come è ora – inadeguata ad affrontare le nuove sfide. Non è coesa, pur non essendo una potenza economica la struttura economica è soverchiante. Manca di autorità, gli Stati membri mantengono la propria sovranità e non sono disposti a cederla se non in minima parte. È un’aggregazione più che un’integrazione di Stati e all’esterno non è percepita adeguatamente. Il peso che potrebbe avere, derivante dalla sua complessità storica, è spesso marginale. L’Unione Europea sembra un puzzle in costruzione al quale mancano i pezzi e quelli che ci sono non si incastrano a dovere. Il contesto globale è in continuo divenire, ma l’Europa pare bloccata. Bisogna pertanto riflettere se sia necessario che questo organismo complesso, questa “Europa imperfetta”, per perfezionarsi, si debba risolvere ad attuare un significativo mutamento diventando uno Stato Sovrano con tutte le attribuzioni che gli sono proprie, che devono però essere “espressione autentica” della volontà dei suoi cittadini.

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Emanuela Scridel

Emanuela Scridel

Economista esperta in Affari internazionali e Unione Europea.

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