Il “Big Bang” tra Donald Trump ed Elon Musk, prevedibile e scontato, è giunto prima del previsto. Lo si poteva aspettare ragionevolmente entro la fine dell’anno. Vuoi per lo smisurato ego dei due protagonisti, vuoi per indicibili sia pure intuibili concreti interessi in campo, la situazione è deflagrata. Sembrava la perfetta saldatura del potere dei complessi militari industriali congressuali evocati nel suo messaggio di commiato dalla Casa Bianca dal presidente-generale Dwight D. Eisenhower nel lontano 1961 e più recentemente dall’uscente Joe Biden.
Difficile calcolare gli effetti della situazione che si è creata. Anche se ancora non ne sappiamo l’entità il prezzo che gli americani e il resto del mondo saranno chiamati a pagare per le “politiche” adottate dall’attuale amministrazione, sicuramente sarà elevatissimo. Già sarebbero sufficienti l’instabilità e le turbolenze delle Borse mondiali di queste settimane. L’imprevedibilità, la confusione, l’inaffidabilità possono produrre ancora e per un tempo difficilmente calcolabile, effetti micidiali. Forse, chissà, anche consistenti quote di elettorato MAGA cominceranno a rendersene conto: non tanto per l’inconsistenza dei piani di pace per quel che riguarda i conflitti in Ucraina, a Gaza e in altre parti del pianeta. La politica estera non è mai stata materia a cui l’elettorato medio statunitense sia stato particolarmente sensibile, se non li riguarda in modo diretto. Piuttosto si prenderà atto che è il sistema delle pensioni a essere messo in discussione; che i dazi procurano più problemi che soluzioni; che, per andare al concreto, per far lievitare verso il basso il costo di patate e uova non basta esibire cappellini rossi con inciso “Make America Great Again”.
La domanda, cruciale, da porsi ora: si saprà fare tesoro dell’accaduto e lavorare per assicurare più efficaci contravveleni dal momento che gli esistenti si sono rivelati non più sufficienti?
Chi ha dato fiducia all’attuale inquilino della Casa Bianca è un magma caratterizzato da fideismo irrazionale. Semplicemente rifiuta di vedere quello che era sotto gli occhi non ora ma già durante il primo mandato: anche nel corso della prima presidenza si sono commessi clamorosi errori che hanno provocato disastri e guasti. È un elettorato irrazionale, che agisce e si comporta sulla base di impulsi. Social e network conservatori hanno avuto buon gioco nel cavalcare questi sentimenti, hanno creato una narrazione secondo la quale con la presidenza Biden tutto andava male e con la precedente Trump invece tutto viaggiava a gonfie vele. Si è inoltre creata una schizofrenia: una durissima polemica anti-establishment; cosa serve per far funzionare una corrotta Washington? Cambiarla radicalmente. Chi la può cambiare? Uno che ha già governato e a cui i democratici hanno rubato l’elezione. Si salda un miope populismo con la leggenda di saper governare situazioni e apparati grazie a una maturata esperienza: promessa di un “nuovo” garantito da un “vecchio”. È questo il mix costruito con indubbia abilità e astuzia. Sottovalutare questa abilità e astuzia è un errore che puo’ risultare fatale. L’attuale inquilino della Casa Bianca ha già dimostrato in passato di possedere sorprendenti risorse per “rinascere” e affermarsi.
È saltato il delicato sistema dei contrappesi. Tutto il potere reale (Casa Bianca, Congresso, Corte Suprema) in mano a un’oligarchia senza bilanciamenti. Alla fine della fiera, le domande basiche sono: come mai gli Stati Uniti d’America, la nazione più progredita e potente del mondo, non ha saputo individuare un cinquantenne preparato, un ex militare o un vero uomo d’affari, pronto e disposto a “correre”? E riuscirà a trovarlo? Come e cosa fare per uscire dalla situazione in cui si è precipitati?